Formazione Religiosa

Lunedì, 15 Agosto 2011 21:20

Il discorso di missione (Francesco Mosetto)

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Nell'inviare i suoi primi collaboratori Gesù dà loro alcune norme, essenziali, così poche che Luca e Matteo sentiranno di dover arricchire il discorso con altri loghia attinti alla tradizione dei detti di Gesù.

Nei vangeli sinottici le parole che Gesù rivolse ai discepoli in ordine alla missione si leggono in quattro versioni, più o meno divergenti tra loro il discorso ai Dodici in Mc 6,8-13 è riprodotto assai fedelmente in Lc 9, 3 5 mentre il parallelo di Mt 10,5-42 e il testo di Lc 10,2-16 (discorso ai Settantadue) sono molto più sviluppati. Esamineremo anzitutto la forma più breve, per poi passare ai due testi lunghi, che completano e arricchiscono la semplice pagina marciana.

Cominciò a mandarli a due a due

La missione dei Dodici in Marco occupa una posizione chiave. L'arco narrativo precedente era cominciato con la loro chiamata e istituzione: «Salì poi sul monte e chiamò a sé quelli che volle... e costituì (lett. "fece", epotesen) Dodici, perché stessero con lui e per mandarli a proclamare (sott.: l'evangelo del Regno di Dio)...» (3,13s). Seguono i nomi. All'inizio di un nuovo arco narrativo, che si concluderà con la confessione messianiCa, l'evangelista riprende il filo lasciato in qualche modo sospeso: «Chiamò (di nuovo) i Dodici e cominciò a mandarli a due a due e (mentre li inviava) dava loro potere sugli spiriti impuri...» (6,7). Lo scopo è chiaramente quello già detto. Nel frattempo sono accaduti vari fatti: Gesù ha compiuto grandi miracoli, dei quali i discepoli sono stati gli spettatori privilegiati (4,35-5,43); a loro in disparte ha spiegato il significato delle parabole, dal momento che «a voi è dato il mistero del regno di Dio...» (3,11).
Dal seguito si arguisce che a quell'epoca nemmeno i Dodici avevano ancora del tutto chiaro il senso preciso della sua persona e della sua attività. Eppure Cristo già li coinvolge nella sua propria missione, ovviamente preparandoli a un futuro che lui conosce. È evidente infatti che l'episodio ha rilevanza in vista della missione definitiva post-pasquale (Mc 16,l5ss; cf Mt 28,18-20; Lc 24,46-48; At 1,8; Gv 20,21; cf 17,18). Ora Gesù «comincia» (erxato) a mandarli, come per una prima esperienza, in preparazione di quanto faranno più tardi a raggio universale. E tuttavia è significativo che già nella sua missione tra i figli di Israele Gesù non operi da solo: la buona notizia del Regno deve raggiungere tutti e richiede l'impegno di molti collaboratori.
Alcuni dettagli meritano ancora attenzione. Gli apostoli sono mandati «a due a due»: come testimoni (cf v. Il e Dt 19,15), senza escludere il vantaggio dell'aiuto reciproco (cf Qo 4,9). Questa, del resto, fu poi la prassi missionaria della Chiesa primitiva (cf Paolo e Barnaba, ecc.). Gesù conferisce loro un potere (exousia), che è partecipazione e irraggiamento della sua autorità e della energia salvifica che opera in lui, «il potere sugli spiriti immondi»: i discepoli e la Chiesa prolungano la missione di Gesù, che è quella di «esorcizzare il mondo» dall'azione del Maligno. (1)

Il vademecum del missionario

Nell'inviare i suoi primi collaboratori Gesù dà loro alcune norme, essenziali, così poche che Luca e Matteo sentiranno di dover arricchire il discorso con altri loghia attinti alla tradizione dei detti di Gesù. Nel vangelo più antico esse si riferiscono ai seguenti tre aspetti: a) l'equipaggiamento; b) l'alloggio; c) il comportamento in caso di rifiuto. Nella loro essenzialità e concretezza tali direttive danno certo per presupposto il senso e lo spirito della missione; eppure, a ben vedere, non riguardano soltanto una linea di condotta esteriore. Attraverso queste scarne indicazioni Gesù propone ai suoi collaboratori uno stile di vita e di azione.

a) L'equipaggiamento del missionario (Mc 6,8s).

È subito detto: nulla! «Nessuna delle proibizioni concerne un "superfluo" (quello è escluso a fortiori...), ma il necessario, anzi il più necessario. Esse colpiscono senza pietà non quei beni terreni che potrebbero essere d'intralcio all'attività missionaria, ma paradossalmente proprio quelli che potrebbero esserle d'aiuto. Da un punto di vista di efficienza operativa, i sandali, il bastone, la borsa e la bisaccia ben fornita, non sarebbero affatto un impedimento, anzi potrebbero aiutare ad andare più lontano, guadagnare tempo, raggiungere più gente... Ma evidentemente non è quello il criterio primario...: sul dato quantitativo prevale decisamente il dato qualitativo, sui risultati della missione il modo di svolgerla, sulla valenza pratica delle direttive... il segno che dev'essere offerto attraverso quello stile inconfondibile» (V. Fusco). (2)
La rinuncia completa all'equipaggiamento è conservata nella sua radicalità nei paralleli di Mt 10,9s; Lc 9,3; 10,4. La versione trasmessa da Marco, ove si concedono i sandali (per le strade sassose e arroventate dal sole) e il bastone (contro eventuali pericoli e come sostegno nei punti difficili), sa già di adattamento alte condizioni di un viaggio lungo e difficoltoso.

b) L'alloggio (Mc 6,10).

La norma di «rimanere» nella stessa casa implica che l'apostolo mandato da Gesù - a somiglianza del Figlio dell'uomo, il quale «non ha dove posare il capo» (Mt 8,20) - si affida all'ospitalità di quelli che accolgono il lieto annuncio. S'intravede l'esperienza dei primi missionari cristiani, che facevano di una casa privata la loro base operativa e il luogo d'incontro della comunità (v., ad es., At 16,14s; 18,lss).
Se l'apostolo di Gesù non deve «passare di casa in casa», come preciserà Luca (10,7), ciò ha un senso ovvio: non vada in cerca di maggiore comodità.

c) Il comportamento in caso di rifiuto (Mc 6,11).

Questa terza norma richiama l'ultimo episodio che precede la missione dei Dodici: a Nazaret Gesù incontra l'incredulità dei concittadini (6,1-6a). I suoi apostoli faranno la stessa esperienza; ma ciò non deve scuoterli o scoraggiarli.
Essi reagiranno con un gesto simbolico, che esprime dissociazione e prelude al giudizio divino. «Scuotere la polvere dai piedi» è il gesto dell'ebreo che ritorna da un paese straniero: traduce l'intenzione di allontanare da sé ogni impurità del paganesimo. Per il missionario di Gesù il luogo (le persone) che non l'accoglie sarà come un paese pagano. Il rifiuto dell'evangelo - testimoniato dal gesto simbolico degli apostoli respinti - peserà contro di loro nel giudizio ultimo.

Svolgimento della missione

Quanto tempo sia durata la missione, se fu una tantum oppure si ripeté in diverse occasioni, sono domande che non possono avere risposta. Ciò che la tradizione, raccolta da Marco, assicura è che di fatto i Dodici la eseguirono, secondo le indicazioni date da Gesù e con successo. Essi, «partiti, predicavano (ekeryxan)...»: dobbiamo supporre che il tema del loro annuncio fosse identico a quello dì Gesù, il regno di Dio che si è fatto vicino, anzi presente (cf 1,15). L'evangelista porta però l'attenzione sul risultato, cui mirava l'annuncio degli apostoli: «predicavano che si convertissero» (6,12). Ogni annuncio missionario non avrà altro scopo: che l'uomo ritorni a Dio, rispondendo al dono della salvezza che gli è offerta attraverso l'evangelo.
L'annuncio è accompagnato dai «segni», come sottolineerà la finale lunga del vangelo a proposito della missione post-pasquale (16.17s). Gli apostoli condividono di fatto il potere che è proprio di Gesù, anticipando quella economia sacramentale che renderà presente nella Chiesa la forza salvifica di Cristo risorto. L'accenno all'unzione con l'olio pare appunto riflettere una prassi documentata fin dalla lettera di Giacomo (Gc 5,14). In ogni caso, l'attività esorcistica e terapeutica degli apostoli (6,13) amplifica quella di Gesù, diffondendone i benefici e la fama: è quanto conferma la reazione del re Erode (Antipa), meravigliato per il «potere dei miracoli», che egli crede di dover attribuire a Giovanni il Battista risuscitato (6,14).

Il ritorno degli apostoli

Dopo la parentesi dedicata alle opinioni su Gesù e al martirio del Battista (6,14-29), Marco narra il ritorno degli apostoli, i quali «si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato» (6,30). Un momento significativo, anche se l'evangelista non aggiunge altro. Avranno raccontato dei loro successi, come leggiamo in Luca a proposito del ritorno dei Settantadue (Lc l0,l7ss); ci sarà stata una verifica... L'unica cosa certa è che il Maestro si prende cura di loro e li invita a riposare in una località appartata, nella solitudine (6,31s). Il seguito del racconto evangelico ci mostra gli apostoli ancora più vicini a Gesù, coinvolti nei suoi gesti prodigiosi (cammino sulle acque, moltiplicazione dei pani...) e destinatari di insegnamenti, esperienze, anche rimproveri, coi quali Gesù li porta a maturare la fede e la sequela. Essere diventati missionari non significa essere degli arrivati.

La fonte di Mt 10 e Lc 10

Mentre la versione lucana della missione e del discorso di Gesù ai Dodici dipende sostanzialmente dal testo di Marco, cui apporta mutamenti minimi - per questo non ci soffermeremo su Lc 9,1-6 - la versione di Mt 10,1-39 (il grande «discorso missionario») e quella di Lc 10,1-16 (la missione dei Settantadue), cui va aggiunta l'appendice 10,17-24 (ritorno dei Settantadue e vari detti di Gesù legati al contesto antecedente), presentano contenuti nuovi, in parte identici, che rendono plausibile la dipendenza da una fonte comune, la celebre fonte Q.
Cominciamo con l'elencare gli elementi riconducibili a tale fonte, distinguendo quelli nuovi da quelli già presenti in Mc 6:

a)    l'introduzione (Mt 10,1.5; Lc 10,1; cf Mc 6,7);
b)    il preambolo (Mt 9,37; Lc 10,2);
c)    il mandato (Lc 10,3 posticipato in Mt 10,16).
d)    l'annuncio da portare (Mt 10,7; cf Lc 10,9.11)
e)    l'incarico di guarire (Mt 10,8; cf Lc 10,8);
f)     la norma circa l'equipaggiamento (Mt l0,9s; Le 10,4; cf MC 6,8s);
g)    la norma circa l'ospitalità (Mt 10,1lb-13; Lc 10,5-7; più sviluppata che in Mc 6,10).
h)    la norma circa la (accoglienza) non accoglienza (Mt 10,14; Lc 10,8.l8s; cf Mc 6,11).
i)    la minaccia del giudizio (Mt 10,15: Lc 10,12).
l)    il loghion conclusivo (Lc 10,16 posticipato in Mt 10,40).
La versione Q, sulla cui esatta ricostruzione sussitono comprensibili incertezze, appare più originaria di quella trasmessa da Marco. (3) Qui ci interessa prevalentemente come punto di partenza per un'analisi degli altri due testi: Mt 10 e Le 10.

Il discorso di missione in Mt 10

Oltre a utilizzare le due fonti, il discorso di missione in Matteo presenta alcune aggiunte e modifiche. La più importante consiste nel lungo brano sulle persecuzioni che attendono gli inviati di Cristo (vv. 16-39, con paralleli in Mc 8,34-38; 13,9-13; Lc 9,23-26; 12,2-9.51-53: 14,26s; 21,12-19). Il loghion del mandato: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi» riceve in tal modo un'illustrazione quanto mai efficace. Rileviamo ancora:
- l'elenco dei nomi degli apostoli (tratto da Mc 3,16-19) inserito nella introduzione (vv. 2-4);
- la delimitazione della missione alle «pecore perdute della casa di Israele (v. 5b);
- il loghion: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (v. 8b);
- la norma prudenziale, a proposito dell'ospitalità: «...fatevi indicare se vi sia qualche persona degna... » (v. 11).
Insieme con queste aggiunte, a imprimere al discorso di Mt 10 un'impronta caratteristica sono il contesto e l'orizzonte totale del vangelo. Il contesto è significativo: la missione dei Dodici è collocata dopo la presentazione dell'attività di Gesù, che annuncia e insegna (cc. 5-7), guarisce e salva (cc. 8-9), ne è la partecipazione e il prolungamento, come suggeriscono i vv. 9,36s (Gesù vede le folle e ne prova pietà... Allora coinvolge i discepoli nella sua missione...) e l0,7s (incarico di annunciare il regno di Dio e compiere gli stessi miracoli di Gesù).! missionari mandati da Gesù agli uomini sono gli operai del Regno di Dio, i collaboratori del Messia pastore. Seguono i cc. 11-12, che registrano l'incredulità del mondo ebraico nei confronti di Cristo. Deve infatti avverarsi la parola: «Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone...» (10,24).
Ma il tema della missione, che emerge in Mt 10, attraversa l'intero vangelo e riapparirà incisivamente nella conclusione, ove si supera la delimitazione posta allora agli apostoli: dopo la Pasqua, essi dovranno «far discepoli di Cristo tutti i popoli» (28,19). Ne nasce così una tensione tra la missione temporanea, rivolta solamente al popolo ebraico, e quella definitiva universale. Questa appare preparata da una serie di episodi e detti del Signore: l'adorazione dei magi (2,1-12), l'elogio del centurione pagano (8,l0ss), la parabola della senapa (13,31s)..., nonché da annotazioni dell'evangelista che presentano il medesimo orientamento (per CS. 4,12ss: Galilea «delle genti»; 12,5ss: «annunzierà la giustizia alle genti...», citazione di Is 42,1-4).
Nell'insieme, Matteo sistematizza e attualizza l'insegnamento del Signore. Con l'occhio rivolto alle origini, mostra nei Dodici l'inizio e il modello dell'azione missionaria della Chiesa. Ma guardando al presente raccoglie tutte le parole di Gesù che servono di norma e di stimolo a un impegno che richiede dedizione assoluta, disponibilità al sacrificio, fede e speranza.

La missione dei Settantadue

Questa pagina è originaria di Luca, in quanto presenta un secondo gruppo, più vasto, di missionari e in quanto pone a fondamento della missione quella esperienza unica della persona di Gesù, che è il privilegio dei discepoli (10,21-24). Per il resto, il terzo evangelista attinge alle stesse fonti di Matteo, rispetto al quale è più conservatore, meno propenso a sviluppare e integrare con elementi nuovi. Piuttosto, vale anche per Luca quanto si è prima osservato per Mt 10: il contesto globale dell'opera lucana crea la prospettiva, in cui si deve collocare questa pagina fortemente suggestiva.
Sia o no allusivo alla missione universale, (4) questo secondo invio implica un allargamento di orizzonti, una moltiplicazione di soggetti, un coinvolgimento di «altri» discepoli, oltre ai Dodici, che rimangono i protagonisti della missione anche dopo la Pasqua. Si adombra pertanto la missionarietà della Chiesa, che negli Atti si traduce anche nell'impegno di figure secondarie e anonime, come gli «ellenisti» scacciati dalla persecuzione, i quali «andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio» (At 8,4; cf 11,l9ss).
Avendo cura di rendere più ordinato e chiaro il discorso, Luca comincia con il preambolo: «La messe è molta...» (10,2 par Mt 9,37), e con il mandato: «Andate, ecco io vi mando...» (10,3 par. Mt 10,16). La missione è così ancorata alla precisa volontà di Gesù, come sarà ribadito nel racconto degli Atti (At 1,8), e finalizzata alla realizzazione del progetto di Dio, il «padrone della messe».
L'istruzione sulla condotta dei missionari - equipaggiamento, ospitalità, ecc. - è ancor più esigente che in Marco. Non sono concessi nemmeno il bastone e i sandali, e si soggiunge il divieto di «salutare» chicchessia lungo il cammino (10,4). L'urgenza della missione esclude ogni perditempo dovuto alle convenienze sociali. Si tratta soprattutto di «annunciare il regno di Dio» (10,9.11), accompagnando l'annuncio con i segni della sua presenza, allo stesso modo che aveva fatto Gesù.
Tanto è confortevole l'autorizzazione ad accettare l'ospitalità della casa amica, ove abita un «figlio della pace» (10,5-7), tanto è sicuro che anche i discepoli incontreranno l'indifferenza e il rifiuto, che Gesù stesso incontrò nelle città della Galilea (10,8-15).
A conclusione, si sottolinea il legarne fortissimo dei missionari con Gesù e con il Padre: «Chi ascolta voi ascolta me; chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (10,16). Questa certezza fonda teologicamente la missione e sostiene i discepoli nel momento del fallimento e della crisi.
Così questo secondo discorso  o nuova versione lucana del discorso di missione - proietta su un piano più largo la breve istruzione rivolta ai Dodici (Lc 9,1-6) e salda in modo più evidente al cammino missionario di Gesù, che sta attraversando la Samaria nel suo viaggio verso Gerusalemme (da 9,51 fino a 19,28), il cammino missionario della Chiesa. L'evangelista però intende approfondire il fondamento teologico della missione ed esaltarne la grandezza. Per questo, riprendendo il motivo del ritorno dei missionari (già in 9,10 a proposito dei Dodici), inserisce una serie di loghia quanto mai illuminante.

Il ritorno dei Settantadue

Nell'appendice al secondo discorso di missione distinguiamo il breve dialogo tra Gesù e i Settantadue (10,17-20), la terakah che Gesù innalza al Padre (10,21-22) e il macarismo dei discepoli (10,23-24). Tre frammenti particolarmente ricchi già di per sé; qui inseriti, svolgono una tematica coerente con la missione affidata ai discepoli. Cercheremo di evidenziarla.

Primo momento: il successo della missione (vv. 17-20).

Ritornando presso Gesù, i Settantadue non solo gli riferiscono quello che hanno fatto (cf 9,10), ma «pieni di gioia» gli dicono i loro successi: «... anche i demoni si sottomettono a noi». Anziché invitarli a un atto di umiltà, il Signore conferma: si, nella loro attività missionaria Satana è stato sconfitto; il suo potere è spuntato nei confronti dei messaggeri del Regno di Dio. E tuttavia - continua Gesù - essi hanno un motivo ancora più grande di gioire: i loro nomi sono scritti nel cielo, presso Dio. In altre parole, il Padre li conosce, li ama, li ricompenserà eternamente.
La Chiesa in missione è partecipe della vittoria pasquale di Cristo, è rivestita della sua forza, è sicura della gloria, nella quale Gesù per primo è entrato. Queste certezze accompagneranno gli apostoli e gli altri missionari secondo il racconto degli Atti (v. i miracoli di Pietro e di Paolo, il martirio di Stefano, la visione di Paolo a Corinto...).

Secondo momento: la rivelazione del Padre (vv. 21-22).

La gioia dei discepoli è anche la gioia di Gesù, che si esprime nella preghiera, più precisamente in un «inno di giubilo» che riveste la forma tipicamente ebraica della benedizione (berakah).
Gesù benedice-loda-ringrazia il Padre per il dono concesso ai suoi discepoli: la rivelazione del Figlio e del Padre stesso. I discepoli di Gesù sono i «piccoli», gli umili, contrapposti ai dotti e ai sapienti (i maestri della Legge, le guide religiose del popolo ebraico, ma anche i filosofi dell'ambiente ellenistico, cf At 17) ai quali il mistero di Dio e del suo progetto di salvezza è rimasto nascosto. Essi invece lo hanno compreso e accolto (cf 8,10.21). Perché destinatari e depositari della rivelazione di Dio in Cristo, i discepoli sono in grado di annunciarlo.

Terzo momento: la beatitudine dei discepoli (vv. 23-24).

L'idea è completata dal macarismo o beatitudine, con cui termina l'intera sezione. I discepoli di Gesù hanno la fortuna dì «vedere e udire», fare l'esperienza, essere testimoni del compimento della speranza di Israele.
Siamo nuovamente alla radice della missione. All'inizio del discorso si indicava l'iniziativa di Dio, il «padrone della messe», e la volontà di Cristo («io vi mando»). Nella conclusione del v. 16 si sottolineava l'autorità trasmessa da Gesù agli evangelizzatori: essi lo rappresentano pienamente; e nel dialogo dei vv. l7ss risaltava la comunicazione della potenza di salvezza da Gesù alla Chiesa in missione. Nei due ultimi frammenti (la rivelazione del padre e la beatitudine dei discepoli) si indica nella esperienza immediata di Cristo, nel vissuto del discepolo che incontra Gesù e coglie in lui la presenza del Padre il presupposto logico e necessario della testimonianza.
Quando Gesù dirà agli apostoli: «di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48), voi «mi sarete testimoni» (At 1,8), le sue parole avranno una portata molto ampia. Da un lato, esse riguarderanno non solo i Dodici, bensì l'intera comunità cristiana. Dall'altro, esse implicheranno quella «esperienza» di Cristo, che non è appannaggio solo dei discepoli diretti, ma attraverso il loro annuncio e i testi evangelici passa alle nuove generazioni di credenti. Ildiscorso di Gesù ai Settantadue è oggi rivolto anche a noi.

Francesco Mosetto

Nota bibliografica

VITTORIO FUSCO, Dalla missione di Galilea alla missione universale. La tradizione del discorso missionario (Mt 9,35-10,42; Mc 6,7-13; Lc 9,1-6; 10,1-16), in: G. GHIBERTI (a c. di), La missione nel mondo antico e nella Bibbia (Ricerche storico-bibliche 1/1990), Dehoniane, Bologna 1990, 101-125.
LUCIEN LEGRAND, Il Dio che viene. La missione nella Bibbia, Borla, Roma 1989.
GIUSEPPE FRIZZI, La missione in Luca-Atti. Semantica, critica e apologia lucana, in Rivista Biblica 32 (1984), 395-423.


1) Cf R. Pesch, Il vangelo di Marco, I, Paideia, Brescia 1980, 512 (ma v. l’originale tedesco, p. 327: die Welt zu entdämonisieren).
2) Vittorio Fusco, Dalla missione di Galilea, cit., 115s.
3) Cf V. Fusco, cit., 104-106.
4) Cf V. Fusco, cit., 123


(in Parole di vita, n. 1, 1991, pp. 16-26)

 

Letto 3960 volte Ultima modifica il Giovedì, 25 Agosto 2011 16:18
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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