Il Nuovo Testamento che conosciamo oggi è stato fissato definitivamente alla fine del IV secolo. Nel 397 i vescovi riuniti in concilio a Cartagine decidono che al di fuori di queste “Scritture canoniche, nulla deve essere letto nella Chiesa sotto il nome di divine scritture…” Per l’essenziale, questa decisione dà riconoscimento a una lista di opere già menzionate nel corso di precedenti concili. In questo canone (parola di origine greca che significa “regola”) che riunisce ormai le “Sacre Scritture” appartenenti in proprio al cristianesimo figurano, accanto agli Atti degli Apostoli, alle Lettere e al libro dell’Apocalisse, i Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Ma se questi quattro racconti della vita di Gesù sono stati infine accolti, ne esistono molti altri, rifiutati dalla Chiesa dei primi secoli.
Perché e come si è operata questa selezione? Se i documenti che consentono di tentare una risposta a tale domanda sono relativamente numerosi, non coprono però tutte le zone d’ombra. La luce apportata dalla ricerca storica moderna si appoggia anch’essa su ipotesi ben fondate, ma non pretende di tracciare perfettamente le tappe di un processo durato circa tre secoli. Non si è tenuta la cronaca del periodo durante il quale il cristianesimo ha posto le sue basi affrontando la diversità delle sue correnti. E neppure c’era a quell’epoca, ricordiamolo, una vera autorità centrale come è la Santa Sede nella Chiesa cattolica romana.
Impossibile ricostruire la formazione del canone dei Vangeli senza ritornare alle stesse origini del testo. Si impone una precisazione: i Vangeli non tracciano la storia della vita di Gesù nel senso obbiettivo del termine. Come indica il significato della parola greca evangelion, questi racconti si presentano come una “buona notizia”. Il loro scopo è di suscitare l’adesione al messaggio di Gesù e di confortare la fede dei primi cristiani. Questa predicazione si appoggia sulla testimonianza dei primi discepoli sulla vita di Gesù alla luce di quel che costituisce il punto centrale della loro fede: la morte e la risurrezione di colui che è divenuto, per loro, il Messia (christos in greco) atteso dal popolo ebraico.
Di fatto questi insegnamenti di fede sono già una prima selezione dei fatti salienti della vita di Gesù, trasmessi dai suoi discepoli dopo la sua scomparsa, verso l’anno 30.
Accanto a questa tradizione orale, dominante della cultura dell’epoca, sono esistiti probabilmente alcuni scritti frammentari in forma di promemoria, nei quali hanno attinto anche gli autori dei Vangeli. Ma dopo la scomparsa degli ultimi testimoni diretti della vita di Gesù, il bisogno di assicurarne una trasmissione fedele ha provocato la stesura in forma letteraria del patrimonio ereditato. Questo era divenuto necessario per la vita religiosa delle comunità che vi si riferivano per celebrare l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli, la sua morte e la sua risurrezione a Pasqua, per battezzare i convertiti…
Il primo secolo
La maggior parte degli storici ritiene oggi che il testo di Marco sia stato redatto verso l’anno 70 e quelli di Matteo e di Luca intorno agli anni 80-90. Questi quattro Vangeli sono chiamati sinottici perché concordano su molti punti, Il testo attribuito a Giovanni, sensibilmente diverso dagli altri, tanto per la forma quanto per il contenuto, è stato redatto intorno all’anno 100.Questi scritti erano i soli che fossero in circolazione alla fine del I° secolo? No. I primi testi cristiani sono state delle epistole, lettere indirizzate dagli apostoli alle diverse comunità cristiane dell’ambito del Mediterraneo, per sostenere quei piccoli gruppi e regolare i conflitti che li dividevano, scritte a volte fra il 50 e il 63. Così le Epistole di Paolo sono i testi più antichi conosciuti della letteratura cristiana.
Circolavano anche altre tradizioni orali sulla vita e l’insegnamento di Gesù, ma non abbiamo la prova che siano state messe per iscritto prima della fine del I° secolo. Ma hanno tuttavia alimentato una buona parte dei vangeli che non sono stati accolti nel canone cristiano. Molti di questi testi, qualificati più tardi come apocrifi, sono stati redatti durante il II° secolo e sono legati a diverse correnti del cristianesimo, specialmente a quella dei “giudeo-cristiani” e agli gnostici.
I primi, cristiani di origine ebraica, volevano conservare la loro identità rispettando le prescrizioni del giudaismo e riconoscendo in Gesù il Messia. Due ragioni hanno condotto alla loro marginalizzazione e a quella dei loro scritti, molto radicati nella tradizione ebraica. Da una parte, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 a opera degli eserciti romani, il giudaismo quale si ristrutturò intorno ai Farisei condannò queste posizioni e li espulse dalle sinagoghe. D’altra parte, questo rifiuto orienta definitivamente il dinamismo missionaria dei primi cristiani verso i “pagani”, per la conversione dei quali non era più necessaria l’insistenza sulle radici ebraiche del cristianesimo…
I gruppi gnostici si collocano in una prospettiva totalmente diversa. Al di là delle loro differenze, essi hanno in comune l’idea di proporre la salvezza mediante la conoscenza (gnosis in greco) di verità segrete che Cristo avrebbe rivelato ad alcuni rari privilegiati e che non potevano essere trasmesse che a gruppi di iniziati. Il primo titolo del Vangelo detto “di Tommaso” lo esprime a modo suo: “Parole segrete che Gesù il vivente ha detto e che ha scritto Didimo Giuda Tommaso”. La produzione letteraria gnostica è stata abbondante e la sua influenza si è estesa ben al di là del II° secolo, nonostante le condanne precoci e ripetute pronunciate dalla maggior parte dei vescovi e teologi. Essi giudicavano tali scritti, molto impregnati di speculazioni, troppo lontani dalla testimonianza degli apostoli.
Nella sua opera intitolata Contro le eresie, datata della fine del II° secolo, Ireneo, allora vescovo di Lione, condanna così quel che chiama “la gnosi dal nome ingannatore”. Nella stessa occasione egli stabilisce una lista di quattro Vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) i soli che costituiscono, secondo lui, la “Buona Notizia”. Altre testimonianze indicano che diverse comunità cristiane, senza dubbio già fin dalla metà del II° secolo, ricorrevano allo stesso insieme di testi. Giustino, che scrive a Roma verso l’anno 150, racconta che vi si leggevano le “memorie degli apostoli che sono chiamate Vangeli”. Designato con il nome del bibliotecario milanese che lo ha scoperto nel 1740, il “Canone di Muratori” si riferisce a Pio, vescovo di Roma, morto verso il 154. Questo documento, datato dal VII° secolo ma la cui origine risalirebbe, secondo alcuni storici, al II° secolo, menziona i quattro Vangeli fra i testi ai quali si riferiva la Chiesa di Roma al tempo di Pio. Fra i testi citati figurano in particolare gli Atti degli Apostoli, attribuiti a Luca, e alcune lettere di Paolo. Nella sua Storia ecclesiastica, scritta verso il 325, Eusebio di Cesarea indica egualmente che questi scritti erano letti nella Chiese orientali, citando la testimonianza di Papia, vescovo di Gerapoli alla fine del II° secolo.
A questo fascio di testimonianze convergenti si aggiungono elementi probanti più indiretti. Un certo Taziano, verso la metà del II° secolo in Siria, aveva fuso i Vangeli una sola opera chiamata Diatessaron (quattro in uno, in greco). Verso la stessa epoca, Marcione volle, da parte sua, concentrare l’essenziale del messaggio cristiano in una versione epurata del vangelo di Luca e delle Epistole di Paolo, rigettando tutti gli altri scritti cristiani così come le Scritture ebraiche. Fautore di una rottura totale con il giudaismo, riteneva che il cristianesimo dovesse sbarazzarsi di tutto ciò che lo legava ancora al “falso Dio” degli Ebrei… Ma questa opinione fu respinta dalla maggior parte delle Chiese.
Un inizio di unificazione dal II° secolo
Per gli storici, il tentativo di Marcione mirante a creare un corpus di testi specificamente cristiani ha rafforzato certamente il movimento verso l’istituzione del canone cristiano, che diventerà il Nuovo Testamento. Di fronte al moltiplicarsi di correnti divergenti in seno al cristianesimo, di scritti sui quali ognuna di esse si appoggiava per giustificare la propria conformità al messaggio di Gesù, tale evoluzione era inevitabile. Altrimenti la religione, in quel momento in piena strutturazione, avrebbe potuto frammentarsi. L’unificazione intorno a un insieme di testi comuni si disegna con chiarezza fin dalla fine del II° secolo, almeno per ciò che riguarda i Vangeli, le lettere di Paolo e gli Atti degli Apostoli. Ma quali sono i criteri che hanno permesso di fare la scelta?
Non poteva bastare i nome dell’autore, perché nella cultura antica era normale attribuire un testo a un autore prestigioso dopo la sua morte, senza che per questo il testo fosse considerato falso. Vari argomenti furono invocati per superare la difficoltà. Il primo di essi: l’antichità del testo, assicurata dal loro collegamento con gli apostoli, che permetteva di pensare che fossero stati scritti o dettati da uno di essi. È l’argomento invocato da Ireneo, menzionato anche dal documenti di Muratori. Un altro argomento fu indicato da Tertulliano, quello della consuetudine: esso ha portato a verificare presso le diverse comunità cristiane quali fossero i testi che esse riconoscevano come apostolici, cioè realmente riconducibili alla testimonianza dei primi apostoli.. Infine ha avuto il suo posto anche la preoccupazione dell’ortodossia. I testi sono stati accettati nella misura in cui sono stati giudicati conformi ai primi dogmi cristiani la cui definizione comincia nel III° secolo…
Come per la definizione della regola di fede cristiana (il “Credo”), - sulla quale si dà un primo consenso durante il concilio di Nicea nel 325, senza che siano regolati tutti i problemi – così il canone delle Scritture cristiane è il risultato di un processo di unificazione che durerà fino alla fine del IV° secolo. Vari concili, fra cui quello di Laodicea nel 369, e di Roma nel 382, stabiliranno una selezione molto vicina a quella che poi s’imporrà. Da molto tempo ormai le divergenze non riguardavano più i quattro Vangeli; esse riguardavano testi più problematici come l’Apocalisse attribuita a Giovanni che sarà incorporata nel canone in extremis nel concilio di Cartagine nel 397. Ma se ancora oggi sussistono piccole differenze fra il Nuovo Testamento delle Chiese occidentali e orientali, non ce n’è nessuna per quel riguarda i quattro Vangeli. Essi sono i soli racconti della vita di Gesù riconosciuti veri da tutte le chiese cristiane. E il simbolo di una unità che non ha potuto realizzarsi senza riconoscere la diversità originaria del cristianesimo, testimoniata ancora di più dall’insieme dei testi del Nuovo Testamento.
Serge Lafitte
(da Le Monde des religions, n. 14 - Dossier: Les Évangiles)
Il cristianesimo epurato di Marcione
Figlio di un vescovo, originario delle rive del Mar Nero, si stabilisce a Roma verso l’anno 140. L’opera di questo armatore, appassionato di teologia, ci è nota essenzialmente dagli scritti di coloro che lo hanno denunciato, specialmente il Contra Marcionem di Tertulliano, scritto verso gli inizi del III° secolo. Per Marcione il Dio degli Ebrei è un Dio tirannico e imperfetto, come il mondo da lui creato. E gli oppone il Dio di amore di Gesù, il solo vero Dio capace di salvare quelli che credono. Di qui la sua convinzione che i primi discepoli, dominati dalla origine giudaica, non hanno compreso bene il messaggio di Gesù. Ai suoi occhi soltanto l’apostolo Paolo ha predicato il vero Vangelo riferito dal suo compagno Luca. Perciò Marcione non vuol conservare che le lettere di Paolo e il Vangelo di Luca, che epura dai suoi riferimenti alla religione giudaica… Questo tentativo di epurazione è stato condannato per due ragioni principali. La prima è d’ordine teologico: il cristianesimo poteva difficilmente rigettare le Scritture ebraiche nelle quali attingeva molti argomenti per legittimare Gesù come Messia promesso da Dio agli Ebrei. Il secondo è più politico: preoccupate di preservare la loro esistenza ancora precaria nell’Impero romano, le comunità cristiane avevano bisogno di riferirsi a una religione antica, il criterio essenziale di riconoscimento di una religione da parte delle autorità romane…
La testimonianza di Ireneo
Divenuto vescovo di Lione nel 177, Ireneo è originario di Smirne in Asia Minore, oggi Izmir in Turchia. Ha portato con sé in Gallia la tradizione cristiana appresa e studiata in quel focolare del cristianesimo orientale. Nella sua opera Contro le eresie afferma che i cristiani conoscono la salvezza quale Gesù l’ha annunciata non «da altri (…) ma proprio da quelli per opera dei quali ci è pervenuto il Vangelo. Questo Vangelo, lo hanno dapprima predicato; poi per la volontà di Dio ce lo hanno trasmesso nelle Scritture perché sia il fondamento e la colonna della nostra fede (…). Dopo che nostro Signore fu risuscitato di tra i morti e che gli apostoli furono, per la venuta dello Spirito santo, rivestiti della forza dall'alto, furono pieni di certezza riguardo a tutto e possedettero la conoscenza perfetta; allora se ne andarono fino alle estremità della terra (…). Avevano tutti insieme e ciascuno per proprio conto “il Vangelo di Dio”. Così Matteo pubblicò fra gli Ebrei, nella loro lingua, una forma scritta di Vangelo, nel tempo in cui Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondavano la Chiesa. Dopo la morte di questi ultimi, Marco, il discepolo e l’interprete di Pietro, ci trasmise, anche lui per iscritto, ciò che Pietro predicava. Da parte sua, Luca, il compagno di Paolo, consegnò in un libro il Vangelo che questi predicava. Poi Giovanni, il discepolo del Signore, quegli proprio che aveva riposato sul suo petto, pubblicò anche lui il Vangelo mentre soggiornava a Efeso in Asia».