La presenza dei nuovi credenti
di Lorenzo Prezzi
Il cristianesimo di conversione
Da noi non c'è ancora la percezione del fenomeno, se non in minima parte per la presenza di ricomincianti e di catecumeni. In alcuni movimenti ecclesiali e in comunità cristiane non cattoliche, invece, si registra una crescita imponente di conversioni. Al di là di elementi fragili e contestabili, questo fatto nuovo in che cosa può sollecitare le Chiese storiche?
Si va verso un "cristianesimo di conversione"? O meglio, quale peso potrà avere la corrente di conversione riconoscibile in alcuni movimenti ecclesiali e in comunità cristiane (non cattoliche) come quelle evangelicali sulle strutture e sul sentire ecclesiale? Che cosa stanno chiedendo e come condizioneranno le assemblee cristiane le nuove figure credenti come i ricomincianti e i catecumeni? In Italia non c'è ancora la percezione del fenomeno, ma altrove sì. Vale forse la pena di guardarci dentro.
Sono fenomeni non solo interni alla Chiesa cattolica ma che trovano in essa consonanze significative. Il Rinnovamento nello Spirito è nato sulle sponde protestanti ma ha una radice assai robusta anche dentro la Chiesa. Le nuove figure dei credenti allargano i numeri delle comunità affettive e identitarie degli evangelicali, ma interessano ormai tutte le parrocchie. La domanda veritativa e apologetica è spesso declinata sul versante della conservazione, ma trova riscontri in molti altri ambienti cristiani.
Ci è di aiuto una riflessione di p. Étienne Grieu, docente di teologia dogmatica e pastorale al Centre Sévres di Parigi, apparsa su Documents Episcopat n. 8 (2010) e che è stato tradotto su La Rivista del clero italiano sui numeri 1 e 2 del 2011. Ma prima vale la pena ricordare alcuni tratti delle nuove figure dei credenti: i ricomincianti, i catecumeni e i convertiti.
Ricomincianti, catecumeni, convertiti
Nella pratica pastorale sono sempre più numerosi gli uomini e donne maturi che, giunti a una svolta della loro esistenza (dalla paternità-maternità alla vecchiaia, dal lutto sperimentato a incontri considerati decisivi) sentono il bisogno di interrogarsi circa il senso della loro vita. Ci si ritrova nell'esperienza descritta da Paolo ad Atene: si dicono religiosi ma non conoscono la vera identità cristiana e soprattutto non vivono in modo coerente tale identità. Il problema pastorale è come aiutare a risvegliare la fede in coloro che non hanno mai fatto una vera iniziazione cristiana, ma hanno solo celebrato dei gesti religiosi, senza capirli e senza viverne le conseguenze. Magari dimenticandoli poi per lunghi anni. Pur non ignorando il fatto che il battesimo già ricevuto costituisce la persona in una nuova identità, diventa urgente porre in atto un accompagnamento che aiuti il cristiano a passare da un'appartenenza debole ad un consapevolezza compiuta. Non ci sono ancora statistiche in merito, né è possibile fornire numeri che diano figura quantitativa a quello che sta succedendo. Ma i preti e gli operatori pastorali conoscono direttamente il fenomeno.
Più facile quantificare i catecumeni che arricchiscono le nostre comunità. Don Guido Benzi, direttore dell'Ufficio catechistico nazionale, ritiene che il fenomeno stia diventando significativo. Sono oltre un migliaio le persone che ogni anno chiedono il battesimo da adulti. Ma la cifra è approssimata per difetto perché solo la metà delle 226 diocesi italiane ne dà informazione puntuale. Tre le motivazioni per cui queste persone scelgono di diventare cristiane è molto significativa la voce "ricerca personale", segno della serietà con cui esse si avvicinano alla Chiesa. Tra costoro il 41% sono italiani e il 59% sono stranieri provenienti da numeroso etnie. Al di là dei numeri sta diventando importante la loro presenza nelle comunità, non solo nelle aree metropolitane, ma anche nei piccoli centri rurali.
Il coinvolgimento diretto dei sacerdoti, dei catechisti e delle comunità, per i vari passaggi celebrativi, confermano la consapevolezza che il catecumenato sia una realtà in grado di innestare elementi di rinnovamento nelle comunità cristiane in Italia. Con importanti ricadute sia culturali che spirituali. Culturali, perché essi rafforzano il valore centrale della libertà religiosa, soprattutto nel dialogo con l'islam. Spirituali, perché mostrano come la missione e l'evangelizzazione non riguardino solo aree geografiche lontane, ma siano compito immediato di ogni comunità cristiana.
Sui convertiti vi sono oramai molte testimonianze dirette sui media. Mi limito a seguire alcune indicazioni che un credente avveduto come Luigi Accattoli mostra in molti dei suoi scritti (dai libri alla rubrica che tiene su Il Regno, "Non mi vergogno del Vangelo", a vari saggi apparsi su pubblicazione diverse, come su Communio n. 226, ottobre-dicembre 2010).
Basta un croce illuminata intravista dalle inferriate della prigione alla brigatista Fulvia Miglietta per chiedere una Bibbia e cominciare un cammino di conversione. Un piccolo crocifisso è all'origine della fede di Giuseppe Totaro, pugliese emigrato a Milano che scopre la chiamata dopo l'ultraventennale preghiera della propria sposa per questo. Franca Ferretti, davanti al cadavere del marito ucciso, si sente trascinata da una forza spirituale a ciò che riteneva impossibile: il perdono. Tonino Colombani, comunista mangiapreti ferrarese, si confessa e si comunica prima di morire ricordando l'Ave Maria di sua madre. Enrica Plebani, drogata e afflitta dall'Aids, ritrova la gioia di credere accompagnando fratel Ettore nelle sue opere di carità. Il raffinato letterato Giovanni Testori riconosce nello sguardo della madre morente una luce che attraversa la morte e lo chiama alla fede. Il cantante Giovanni Lindo Ferretti, dopo molte scelte errabonde, torna alla sua sensibilità cattolica infantile e vi ritrova il senso della vita invano cercato altrove. La giornalista Barbara Palombelli resta colpita dal perdono di Giovanni, figlio di Vittorio Bachelet, ucciso dalle BR, e Marco Tosatti dal fascino spirituale di Giovanni Paolo II. Il rivoluzionario Arrigo Cavallina muove i primi passi spirituali a partire dalla lettera di un suo antico professore, Cesare Cavalleri, mentre il regista Guido Chiesa è convinto dal racconto di un dialogo della moglie con una donna ad avviare un film su Maria. La radicale infelicità muove l'editore Leonardo Mondadori alla fede e una domanda a bruciapelo del card. Schuster fa profondamente riflettere lo scultore Francesco Messina. Il bandito Pietro Cavallero conosce la conversione al Sermig di Ernesto Olivero e Alessandra Borghese in una messa a cui è trascinata da una amica di sangue blu, Gloria Thurn und Taxis.
Crisi nelle Chiese storiche
Queste e mille altre storie appartengono al vissuto delle nostre Chiese locali, ma da sole non sembrerebbero in grado di chiedere modifiche nei comportamenti della grande Chiesa cattolica. I convertiti, si sa, mostrano radicalismi e sottolineano elementi che i cristiani comuni, limati e formati da una lunga appartenenza, guardano con qualche perplessità se non accondiscendenza. Per capire la loro importanza è necessario guardare fuori. Fare cioè attenzione a tutti quei fenomeni di cristianesimo di conversione di cui abbiamo qualche traccia in alcuni movimenti ecclesiali (dai neocatecumenali al Rinnovamento dello Spirito, dai Focolari alle fondazioni monastiche).
Fuori della Chiesa cattolica sta succedendo un fatto sorprendente. Tutte le Chiese storiche (dagli anglicani ai luterani ai riformati; fra gli ortodossi bisognerebbe distinguere la Chiesa russa da quelle greco-bizantine) sono in grande affanno e vedono una rapida riduzione dei propri effettivi (soprattutto in Occidente). Oltre ad una moderata crescita cattolica, l'unico ceppo cristiano in formidabile espansione a livello mondiale è quello neoprotestante, nato dal ceppo del risveglio delle Chiese anglo-protestanti americane all'inizio del '900. In un secolo gli effettivi aderenti di queste comunità sono arrivati a 4-500 milioni e la loro previsione per la metà di questo secolo è quella di arrivare al miliardo, raggiungendo e superando la Chiesa cattolica. A parte le ottimistiche previsioni, se uno legge in parallelo il fenomeno del cristianesimo di conversione dentro la Chiesa cattolica, nelle Chiese del ceppo protestante e in queste Chiese (non più «sette») evangelicali ha la netta impressione di un moto di vasto respiro che può davvero interpellare la grande Chiesa cattolica.
A questo punti ci viene in aiuto la riflessione di Etienne Grieu. «La crescita di quello che i sociologi chiamano "cristianesimo di conversione" (incremento delle Chiese evangelicali e sviluppo delle correnti pentecostali) ci permette di guardare un fenomeno profondo, ampio e rapido che interroga le Chiese storiche e rappresenta per esse una sfida: non sono forse messe in questione nei loro modi tradizionali di annunciare il Vangelo? Dovranno prenderle come modello, o quantomeno fare evolvere il loro stile verso quello del "cristianesimo di conversione"? La questione è tanto più acuta in quanto il fenomeno non rappresenta solo una provocazione dall'esterno a queste antiche istituzioni, ma le attraversa dall'interno; i movimenti pentecostali, ad esempio, si sviluppano dal di dentro, senza contare i numerosi gruppi preoccupati di una proclamazione chiara e diretta della fede, che possono avvicinarsi a questo cristianesimo dallo stile molto affermativo».
Ci sono 40 milioni di evangelicali negli USA, 27,7 in Brasile, 22,3 in Nigeria. Il movimento pentecostale conta 79,9 milioni in Brasile, 75,2 in USA, 54,3 in Cina, 33,5 in India, 21,2 in Sudafrica, 20 nelle Filippine. Si racconta che è difficile trovare sale da cinema a Kinshasa (Congo): sono tutte sequestrate per le chiese evangelicali o pentecostali. In Brasile la frequenza domenicale di queste Chiese sarebbe più alta di quella dei cattolici. In Cina il numero dei cattolici non supera i 10-15 milioni, mentre le comunità protestanti sono in forte espansione. E c'è chi assicura che il futuro del cristianesimo nel paese avrà il sapore del cristianesimo da conversione.
Le due grandi correnti che compongono il movimento evangelicale sono, da un lato, i nuovi evangelici di ascendenza protestante e, dall'altro, i pentecostali che attraversano l'appartenenza di varie confessioni. Essi si contraddistinguono per alcune caratteristiche comuni. La prima è una predicazione tranciante e perentoria. Parole semplici, messaggi chiari, di immediata evidenza: «il Signore ti salva», «sei amato da Dio», «Dio può trasformare la tua vita». La seconda è la diretta interlocuzione personale: sono io che debbo rispondere al messaggio di Dio. Rispetto alle pratiche collettive della nostra infanzia qui c'è il pieno riconoscimento della libertà e della responsabilità dell'individuo. La terza caratteristica è la sottolineatura della "differenza cristiana". Con l'indicazione di pratiche specifiche: basta alcol, basta vestiti seduttivi e sguaiati, apprezzamento per i segni cristiani come la croce. In un contesto sociale ansiogeno come l'attuale, il credente si trova dentro indicatori precisi. Infine, la quarta caratteristica: credere può effettivamente cambiare la vita. Non è il territorio che aiuta (la parrocchia), ma la rete delle testimonianze.
Perché ci si converte?
Perché si fa l'esperienza di una fede che trasforma veramente la propria vita, incontrando anzitutto l'amore di Dio (prima del riconoscimento del proprio peccato). Con il conseguente frutto della pace, custodita con piccoli e precisi mezzi spirituali. Tutto questo rafforza la capacità di stare in un mondo duro, conflittuale e concorrenziale. Gesù Cristo è il solido appoggio per persone che hanno coscienza della propria fragilità. Dal legame spirituale assumono un'identità più sicura. Sono tratti in parte comuni a quel cattolicesimo attestatario, in parte tradizionale in parte intrepido e assertivo, che cominciamo a conoscere fin dentro le nostre comunità (basta esami di coscienza, basta richieste di perdono, coraggio per una nuova apologetica, il mondo che cosa ci può insegnare?).
Tutto questo cosa può dire alle grandi Chiese storiche? Esse hanno a che fare con un calo di consensi e di suggestione. E con molti fenomeni viciniori agli evangelicali. Come, ad esempio, gli itineranti dello spirito: tutta quella gente in cerca di armonia interiore che si affaccia su molte tradizioni sia spirituali cristiane come di altre fedi e tradizioni, anche lontane (come il buddismo, il taoismo, e tutti i loro derivati). Gli itineranti, rispetto ai convertiti, hanno qualcosa in comune: la valorizzazione della loro singolarità e della loro autonomia personale. Ma sono diversi perché, mentre gli itineranti vanno da soli e cercano argomentazioni complesse, i convertiti vanno nella comunità e cercano semplificazioni.
Le grandi Chiese storiche sono in difficoltà sia con gli uni che con gli altri perché si pensano subito come corpo e comunità, non immediatamente come collettivo composto da singoli. Inoltre, il dispositivo con cui rendono presente Dio è rigorosamente celebrato e definito (dogma e teologia), poco adatto agli svolazzi personali. Ancora, lo sguardo con cui giudicano il loro contesto è di tipo istituzionale, vedono l'insieme della società e ne sentono la responsabilità. Cosa che spesso sfugge sia agli itineranti come ai convertiti. Hanno anche il problema di valorizzare gli elementi cristiani sedimentati nella cultura diffusa, l'eredità delle radici cristiane. E talora questo è percepito come la volontà di riconquistare spazi di potere perduti. Nulla da fare quindi?
In realtà, «si tratta di inventare una nuova maniera di declinare la vocazione della "grande Chiesa" in un contesto fortemente segnato dalla secolarizzazione». Anche la grande Chiesa (il testo utilizza il termine «Chiesa multitudinista») può valorizzare di più le piccole comunità cristiane e, senza rinunciare ad uno sguardo sull'insieme della comunità e della società, valorizzare alcuni elementi che possono essere suggestivi anche per le nuove figure dei credenti. Per esempio, l'esperienza della lunga durata nella storia. Il linguaggio e la comunicazione ecclesiale sono letteralmente invasi da una moltitudine di simboli, riti, gesti, opere d'arte, riflessioni, metodi che permetterebbe loro di entrare in comunicazione con la cultura contemporanea in maniera assai più efficace di quanto gli evangelicali o gli itineranti sappiano fare. Il messaggio evangelico è molto di più della semplice confessione di fede dei singoli.
In secondo luogo, l'ancoraggio al territorio obbliga a confrontarsi con una popolazione non scelta e non ricondotta alla rete dei conoscenti. Nella Chiesa cattolica convivono sia le forme a rete (religiosi, monaci, movimenti ecclesiali), sia le forme territoriali (parrocchie). L'ancoraggio al territorio permette una prossimità reale che nessuna "setta"è in grado di garantire.
In terzo luogo, la grande Chiesa è in grado di accogliere tutti senza richieste previe, se non il fatto di abitare in un determinato territorio. Ha da sempre la saggezza di far coesistere dentro di sé sensibilità culturali, ecclesiali, spirituali e teologiche diverse. Figura reale e profetica, ad un tempo, della riconciliazione e della comunione che si perseguono. Sono cioè in grado di dire lo straordinario di Dio nell'ordinario della vita dell'uomo.
Cosa imparare?
Per rendere attive queste possibilità la grande Chiesa è chiamata a non scivolare nella governance comune al sistema sociale condiviso, ma di tener vivo il fondamento del riferimento a Dio. La relazione non nasce dal patto, ma dal sacramento, non per una legge, ma per la relazione con Dio. Per questo è importante porre ogni credente nella condizione di fare l'esperienza della prossimità di Gesù Cristo. Mostrando come la dinamica della confidenza personale con Gesù non si limita al singolo o a una celebrazione calorosa fra pari, ma dà spazio ad un impegno sociale e politico a vantaggio di tutti.
Alla grande Chiesa spetta «di mostrare come questa dinamica di confidenza non è destinata a restare confinata nel cuore dei credenti e nell'evento eccezionale di una calda celebrazione, ma che essa dà luogo a impegni del tutto profani». La grande Chiesa ha il dovere di valorizzare e riscoprire le sue tradizioni spirituali, offrendo ai fedeli le molte vie e possibilità di giungere all'esperienza di Dio in Gesù, riscoprendo «la pluralità delle grandi tradizioni spirituali (agostiniana, benedettina, francescana, carmelitana, ignaziana…), portatrici ciascuna di punti d'attenzione specifici». Sono via plurali da sempre, a partire dai quatto racconti evangelici.
Infine, chiedere alle singole comunità che esse diventino luoghi propizi per un'autentica esperienza spirituale. Il che suppone una certa qualità dei rapporti personali e la rimozione delle forme tradizionali del clericalismo. Questa possibile comunione dei diversi e non degli uguali costituisce un'eredità preziosa della grande Chiesa, suggestiva anche per i convertiti e gli itineranti e costituisce un segnale forte per tutti i nostri contemporanei. Il benessere individuale perseguito dalle "sette" non si confronta fino in fondo all'intero dell'esperienza umana. «Ma le Chiese che cercano che il loro messaggio arrivi anche al mondo, si confrontano con esso e si lasciano modificare dal contesto in cui sono, danno alla loro speranza ben altra consistenza».
Queste note sono ispirate dalla duplice domanda: cosa sta spegnendosi e cosa sta nascendo nelle nostre comunità? Credo dobbiamo liberarci anzitutto dall'annuncio di un declino irreversibile, dalla paura della scomparsa, dall'erosione inevitabile delle nostre comunità. Non dobbiamo essere prigionieri dei numeri, né delle statistiche. La minorità del cattolicesimo è evidente, le prospettive future sono molto sobrie. Potrebbe capitare anche a noi, come nel Nord Europa, di assistere a un'"ex culturazione" del cristianesimo. Ma questo non significa il venir meno del compito della speranza e della testimonianza cristiana. È più urgente avere la percezione del rinnovamento in atto già ora. La società democratica e postmoderna è un luogo favorevole al Vangelo e non la sua tomba.
Come dice mons. C. Dagens, vescovo di Angulême, nel saggio Un segno di contraddizione? (conferenza tenuta a Parigi il 4 dicembre 2010), dobbiamo superare gli ostacoli che ci impediscono di vedere il nuovo che nasce. Abbandonare la percezione esclusivamente funzionale della vita delle nostre comunità, il numero di preti da attendere, la presenza dei religiosi da difendere, i servizi finora erogati da proseguire, ecc. Cominciare a guardare a quanti si fanno carico di funzioni essenziali come la preparazione ai sacramenti, l'introduzione al matrimonio, le molte iniziative di solidarietà, l'assunzione di responsabilità sociali e politiche. Rinunciare al facile modello di una Chiesa erede dell'intransigentismo, quella del monolitismo ecclesiale. Non possiamo accontentarci dello scontro liberali-ultramontani, ma valorizzare il percorso delle persone e le loro domande di vita. E, infine, affrontare con coraggio la cultura contemporanea. Non confondere la spiritualità come la fuga dall'intelligenza o la riduzione della fede a semplice patrimonio culturale del passato.
A partire dalla rivelazione unica di Gesù Cristo e dalla irripetibilità di ciascuno si può meglio comprendere che cosa significa l'universalismo cristiano, la maniera in cui il cuore della fede è legato ed è capace di interpretare al meglio la nostra umanità. L'annuncio evangelico è la grammatica elementare dell'esistenza umana. In essa il dono di Dio si sposa e verifica le attese profonde della nostra umanità.
E, come ha scritto T. Radcliffe (www.queriniana.it), la crisi dell'Illuminismo è luogo propizio per il Vangelo. Sta infatti saltando la contrapposizione fra tradizione e progresso che aveva imprigionato la Chiesa nel suo passato. Oggi si capisce, grazie al successo e all'insufficienza dell'illuminismo, che la tradizione è parte essenziale del futuro e di ogni progettazione.
Così sta tramontando la semplice contrapposizione fra autorità e libertà. Un'autorità condivisa e riconosciuta facilita l'uscita dalla crisi di docilità. Abbiamo tutti bisogno di insegnamento e di ammaestramento, e non solo i bambini e gli schiavi.
Così la democrazia ci deve insegnare la preziosità del dialogo. Non è uno strumento del relativismo, è il modo nuovo di essere Chiese e di annunciare il Vangelo. È tempo di lasciarci alle spalle la cultura del controllo che abbiamo assunto dalle forme politiche del moderno per fare della Chiesa un'oasi di libertà che viene dal Cristo.
E abbiamo bisogno di una cultura dinamica, di collaudare idee e formulare ipotesi, anche in campi delicati come la teologia morale. Valorizzando al meglio alcune essenziali dimensioni del cristianesimo come la concezione olistica dell'uomo (spirito, anima e corpo), il primato del bene comune della tradizione della dottrina sociale, il ruolo del simbolico nella vita quotidiana. Anche i passaggi storici più grigi e apparentemente meno felici, come quello che attraversiamo, possono essere luoghi di incubazione e di fecondità; anche la propria martiriale consunzione può diventare terreno propizio di capacità creative sorprendenti.
(da Settimana, n. 12, anno 2011)