Formazione Religiosa

Domenica, 29 Maggio 2011 18:08

Tempo pasquale (Daniele Gianotti)

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La "redenzione" pasquale si presenta non solo come rimedio alle deficienze di un'umanità e di una creazione segnate dal peccato, ma prima ancora quale compimento del disegno originario di Dio. I battezzati e le comunità cristiane sono chiamati ad entrare nel dinamismo pasquale per annunciare al mondo la risurrezione.

Pasqua di Cristo, pasqua della Chiesa

Tempo pasquale

 di Daniele Gianotti

La "redenzione" pasquale si presenta non solo come rimedio alle deficienze di un'umanità e di una creazione segnate dal peccato, ma prima ancora quale compimento del disegno originario di Dio. I battezzati e le comunità cristiane sono chiamati ad entrare nel dinamismo pasquale per annunciare al mondo la risurrezione.

Della pasqua, come del resto di ogni altro "mistero" della fede e della vita della Chiesa e dei cristiani, si dovrebbe parlare anzitutto nel registro della lode, della dossologia: e, dunque, nel registro della poesia e del canto. Per ciò, all'inizio di queste riflessioni ci sta bene uno dei numerosi testi con i quali la tradizione delle Chiese ha meditato e cantato il grande evento del Risorto e della nuova creazione inaugurata dalla sua pasqua.

«Pasqua di Gesù, il Salvatore!/ Cristo regna vittorioso,/ Trionfo dell'amore:/ Le braccia aperte in croce/ Portano a Dio il peso della vita/ E volgono i nostri cuori a lui.

Risorti, vivere per Dio/ In una luce nuova,/ Aurora della gioia:/ Gli uomini sorgeranno/ Per la grande speranza/ Che sale nei loro corpi/ Nell'alba di questo mattino.

Popolo di battezzati, segnàti/ col Sigillo della promessa,/ Testimoni di Cristo,/ Venite a mangiare la carne/ A bere il sangue/ Del Figlio amato da Dio/ Per vivere del suo Spirito.

L'ora è vicina ormai: vegliate!/ Dio prepara la tavola/ Per le nozze dell'Agnello:/ Il Maestro, il Signore/ Viene per servire/ Il vino del suo avvento:/ Vittoria di carità».

Sviluppando con una certa libertà suggestioni e immagini di questo testo, ci lasciamo trascinare prima di tutto nel movimento pasquale, nel passaggio del Figlio «da questo mondo al Padre» (cf. Gv 12,1s): passaggio che, nella vittoria sulla morte di Colui che i suoi discepoli hanno incontrato e proclamato vivente, trova senza dubbio il suo vertice, imprevedibile e stupefacente, vero culmine escatologico della creazione e della storia; ma che, come ogni altra dimensione della vicenda di Gesù Cristo, è già anticipata nell'insieme della sua vita terrena. Il "passaggio verso il Padre", infatti, è già iscritto nel cuore di un'esistenza che si è fin dall'inizio abbandonata a colui che Gesù di Nazaret chiama «il Padre mio»; e non tanto perché "questo mondo" debba essere oltrepassato o, peggio, "disprezzato", quanto perché appunto soltanto nella dinamica pasquale esso trova la sua verità e consistenza: soltanto "risorgendo", potremmo dire - e dunque accettando di entrare nella "morte"- il mondo e l'uomo potranno accedere alla loro autentica pienezza.

La pasqua è il "desiderio" di Gesù

È per questo che l'attesa della pasqua costituisce, si direbbe, il solo grande "desiderio" di Gesù. È noto che la Scrittura non utilizza la parola eros, e sembra così trascurare un dinamismo antropologico fondamentale, che sta alla base di quella potente visione "unitaria" del mondo che, da Platone in poi, non ha cessato di attraversare e segnare la storia culturale dell'Occidente, tanto nella sua versione "mistica" che nelle versioni "secolari" che si riconoscono oggi nelle diverse forme di "monismo" più o meno materialistico. E tuttavia, vi sono alcuni testi, in particolare nel vangelo di Luca, che mettono in luce una dimensione "desiderante" di Gesù: che è appunto rivolta alla pasqua. «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!» (Lc 12,49s); «Ho tanto desiderato mangiare questa pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio» (Lc 22,14s). Potremmo leggere in queste parole un desiderio di verità e di compimento; desiderio che ogni ombra sia fugata, ogni ambiguità dissolta; desiderio che si mostri con verità ciò che sta racchiuso e, al tempo stesso, progressivamente si manifesta in ogni gesto, in ogni parola di Gesù: il fatto che egli «vive per Dio», il fatto che l'intera sua esistenza è attraversata dal passaggio pasquale, il fatto che ogni suo passo è un tratto di quell'esodo (cf. Lc 9,31) che lo conduce verso il Padre.

Al tempo stesso, questo desiderio è certo un desiderio "redentore". Come suggerisce l'inno di Delvaux che abbiamo riportato in apertura: «Le braccia aperte in croce/ Portano a Dio il peso della vita/ E volgono i nostri cuori a lui». L'esodo pasquale di Gesù è senza dubbio solitario: e dobbiamo pensare che sicuramente l'abbandono, il rinnegamento, la fuga dei discepoli abbiano avuto un peso non secondario nella sofferenza appassionata che porta Gesù verso la croce. Dal centro più profondo della coscienza filiale di Cristo scaturisce, tuttavia, una convinzione inamovibile: «Ecco, viene l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (Gv 16,32). In questa certezza di essere con il Padre e nel Padre, Gesù può muovere anche verso di lui, nel passaggio decisivo, portando con sé quelli che il Padre gli ha affidato; e, con essi, l'intera creazione. Come canta un altro inno della stessa tradizione liturgica già richiamata:

«Il Figlio di Dio, a braccia aperte/ Ha preso tutto nella sua offerta:/ La fatica dell'uomo, il suo lavoro,/ Il peso perduto della sofferenza.

Lo slancio potente del suo amore/ Attira a lui il mondo intero;/ Egli fa entrare nel suo riposo/ Il mondo incamminato verso il Padre».

La "redenzione" pasquale si presenta così non solo come rimedio alle deficienze di un'umanità e di una creazione segnate dal peccato, ma anche e prima ancora quale compimento di un orientamento promesso sin dall'inizio all'intera creazione: perché la pasqua di Gesù Cristo manifesta il segreto della creazione secondo il disegno originario di Dio, che è invito rivolto all'uomo e al mondo ad entrare nello spazio della vita trasfigurata dallo Spirito (la risurrezione, appunto!), camminando fiduciosamente nella via dell'esodo, che è la risposta credente alla parola amorosa di Dio. La frattura del peccato, che conferisce alla croce di Cristo tutta la sua drammaticità, non dovrebbe distorcere agli occhi del credente il primato di un "disegno amoroso", in virtù del quale Dio fa della pasqua del suo Figlio il cuore originario di tutta la realtà.

Entrare nel dinamismo pasquale

Si tratterà allora, per chi accoglie il Cristo morto e risorto e nella vita sacramentale si lascia inserire nel suo dinamismo pasquale, di tradurre nell'esistenza secondo il vangelo questa "chiave di volta" pasquale della realtà: «Risorti, vivere per Dio/ In una luce nuova,/ Aurora della gioia». Se indubbiamente tutta l'esistenza del cristiano può e deve diventare, nella forza dello Spirito, attestazione di che cosa significhi «vivere per Dio» (precisamente allo stesso modo in cui «vivere per Dio» è la descrizione sintetica perfetta di tutto l'atteggiamento di Gesù di Nazaret: e dove si vede che la cosa coincide perfettamente nel «porre la vita» per coloro che si amano: cf. Gv 10,11.17s; 15,13 ecc.), la pasqua sollecita il credente a cercare e a porre in atto veri e propri "segni di risurrezione", anticipazione e promessa di quanto la risurrezione di Cristo ha già posto irrevocabilmente nel mondo.

Segni, dicevamo, che sono anche da cercare. Perché non si tratta in primo luogo di un impegno volontaristico. Per il credente, il frutto immediato e decisivo della pasqua è l'effusione dello Spirito, principio della nuova creazione (cf. Gv 20,22s). E i discepoli di Cristo sanno che lo Spirito è all'opera, che la sua potenza non è confinata dentro le forme strutturate e compatte di un'organizzazione umana: se dobbiamo far credito ai racconti apostolici, si direbbe anzi che proprio lo Spirito fa saltare i confini e gli steccati umani, proprio lo Spirito dischiude ai testimoni del Risorto campi nuovi e inaspettati per il loro annuncio, li previene inopinatamente (cf. At 10,44), a volte persino li ostacola (cf. At 16,6s), quando preferiscono continuare a battere i sentieri già sperimentati, anziché volgersi coraggiosamente verso l'ignoto di Dio.

C'è davvero bisogno, sempre, di far credito allo Spirito del Risorto; ma oggi forse più che in altri momenti, soprattutto per una Chiesa, qual è quella occidentale, che si scopre a volte timorosa, che si sente accerchiata, o che tende a giocare prevalentemente negli spazi della difesa e a lasciarsi condizionare da uno sguardo arcigno e severo nei confronti del "mondo".

Lo Spirito del Risorto ha liberato Pietro da incertezze e intralci di tabù religiosi, e gli ha permesso di entrare fiducioso in uno spazio abitato da «pagani», ma che la Parola e lo stesso Spirito già orientavano al Risorto; lo Spirito ha permesso a Paolo e ai suoi compagni di missione di non vedere, negli ostacoli e nei contrasti inevitabilmente incontrati durante l'attività apostolica, solo qualcosa di negativo, ma di presentire altri appelli, altre ricerche del Dio vivente. Nello Spirito sarà possibile scorgere ancora oggi il grande lavoro di fermentazione che la pasqua di Cristo opera nella pasta del mondo.

Il tutto, naturalmente, a patto di riconoscere e "ospitare" lo Spirito senza dubbio operante nel «Popolo di battezzati, segnàti/ col Sigillo della promessa,/ Testimoni di Cristo»; e di decifrare anche e prima di tutto nella comunità cristiana i segni della potenza del Risorto che, nel suo Spirito, la raccoglie e la invia al mondo.

Comunità capaci di diventare sempre più spazi dell'accoglienza lieta, gratuita e perdonante dell'altro (giacché ogni volta che il fratello viene accolto nella pace e nella riconciliazione, colui che era morto «è tornato in vita»: cf. Lc 15,32).

Comunità che lasciano fiorire i semi della fraternità in Cristo, e la attestano in particolare nei confronti di coloro che la mentalità comune tende piuttosto a escludere, perché privi di successo, di potere, di risorse: insomma, comunità capaci di accogliere il «povero» e di farne il loro Signore (e che cos'è la pasqua di Gesù, se non appunto il fatto che il povero è costituito Signore, la pietra scartata e disprezzata è resa pietra angolare?), attestano che il dinamismo pasquale non orienta soltanto alla speranza ultima, ma trasforma già il mondo.

Comunità che credono all'evangelo non soltanto come "contenuto" teologico o etico da trasmettere e insegnare, ma lo scelgono per così dire anche come metodo, in modo da non voler sapere altro in mezzo agli uomini, se non il Cristo crocifisso, così da volerlo testimoniare non basandosi sui discorsi persuasivi della sapienza, ma fondandosi sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza (cf. 1Cor 2,2-4), saranno comunità per le quali la pasqua di Cristo è al cuore della loro esistenza, e non solo un capitolo del catechismo o un tempo, fosse pure il più "forte", dell'anno liturgico.

L'eucaristia "luogo" dei chiamati

Il "luogo", nel quale il cristiano si sente più che mai convocato per inserirsi nel dinamismo pasquale del Signore, è la sua eucaristia: «Venite a mangiare la carne/ A bere il sangue/ Del Figlio amato da Dio/ Per vivere del suo Spirito». Il memoriale della beata passione e della gloriosa risurrezione è il luogo dove sempre da capo la Chiesa ripete e rinnova il racconto della sua origine, che è anche, al tempo stesso, racconto "fondativo" offerto e proposto al mondo, perché vi riconosca il senso ultimo, entro il quale raccogliere la vastità delle sue acquisizioni, misurare l'estensione dei suoi scacchi e fallimenti (inclusi quelli che dipendono dal peccato), aprirsi ad una speranza senza la quale il suo respiro sarebbe corto e le sue iniziative, per quanto strabilianti nelle capacità tecniche, si rivelerebbero incerte e, alla lunga, persino a rischio di catastrofe.

Nell'eucaristia, il cristiano può riconoscere e offrire al mondo le linee del «meraviglioso scambio» realizzato dalla pasqua di Cristo, e che trova la sua icona più forte nel linguaggio nuziale sul quale si chiude la rivelazione biblica (cf. Ap 21,9), e che anche l'inno pasquale già citato riprende a suo modo: «L'ora è vicina ormai: vegliate!/ Dio prepara la tavola/ Per le nozze dell'Agnello:/ Il Maestro, il Signore/ Viene per servire/ Il vino del suo avvento:/ Vittoria di carità».

Nella pasqua, la verità dell'uomo e del mondo è proposta nella verità di Cristo: il cui compimento pasquale consiste nella vita «trovata» (e in pienezza: egli è il Risorto, per sempre!) perché «perduta», nella vita trasfigurata dalla potenza dello Spirito, perché non è stata mai difesa, mai «trattenuta» come rapina o possesso da difendere (cf. Fil 2,6). Il Figlio, che vive nella piena docilità al Padre, e fa della sua volontà il «cibo» di cui nutrire la propria vita (cf. Gv 4,34), giunge fino all'estremo della sua dedizione, «offrendosi al Padre in uno Spirito eterno» (cf. Eb 9,14), e portando con sé quelli che il Padre gli ha dato - e portando in loro quella stessa umanità che lo respinge, sicché anche il peccato è assunto nella dedizione radicale di Cristo.

Nello stesso Spirito (cf. Rm 1,3s), il Padre risponde definitivamente al Figlio, accogliendolo nella pienezza della vita. Così si dischiude l'accesso del mondo alla pienezza della vita: perché nello Spirito del Risorto sarà d'ora in poi possibile entrare nella stessa logica, secondo la quale non la preoccupazione ossessionante di salvare se stessi, non l'autosufficienza del sapere o del potere salva l'uomo, ma il consenso alla Parola di vita con la quale Dio interpella l'uomo e gli dischiude, nel momento stesso in cui gli domanda di "morire" non solo al peccato, ma anche a una propria autosufficienza di corto respiro, la pienezza della vita che nulla potrà più minacciare.

(da Settimana, n. 15, anno 2011)

Letto 2661 volte Ultima modifica il Venerdì, 06 Aprile 2012 22:37
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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