Formazione Religiosa

Domenica, 12 Dicembre 2010 19:43

L'interpretazione matteana dell'Emmanuele

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Il brano ha una sua unità e un suo centro gravitazionale verso cui tutto con­verge. Infatti, osserviamo che il nome di Gesù apre e chiude il brano, così da formare una inclusione, e a ricordare, semmai fosse necessario, che è il mistero della sua persona a dominare la scena.

L'interpretazione matteana dell'Emmanuele
(Mt 1,18-25)

di Mauro Orsatti

«Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17) è un prin­cipio interpretativo dell'Antico Testamento che vale per la Legge e per i pro­feti e, estensivamente, per il rapporto di Gesù con tutto quanto l'ha precedu­to. Anche il titolo di Emmanuele, che tanto aveva vivacizzato le speranze di Israele facendo scrivere a Isaia pagine memorabili, trova in Gesù il suo com­pimento e la sua piena realizzazione. Il primo evangelista è il più interessato a tale rilettura, data la sensibilità e la conoscenza che il suo primo uditorio aveva dell' Antico Testamento.

La sequenza genealogica apre il Vangelo di Matteo e scorre regolare fino al v. 16, dove subisce un brusco cambiamento, proprio mentre sta giungendo al suo punto culminante, quando cioè annunciava la venuta di colui che fonda­va e giustificava la presenza di tali nomi. Punto di arrivo è quindi Gesù. Per Lui viene cambiata la formula: il verbo diventa intransitivo, non si accenna ad una paternità e il generato è legato direttamente alla madre: «Giacobbe ge­nerò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato il Cristo» (v. 16). La irregolarità della presentazione letteraria e il fatto di aver raggiun­to l'apice teologico sono correlati tra loro ed esigono una spiegazione. E ciò che l'evangelista offre nei vv. 18-25, chiamati a ragione «la lunga nota a piè di pagina del v. 16».[i]

Il materiale e la sua organizzazione

Il brano ha una sua unità e un suo centro gravitazionale verso cui tutto con­verge. Infatti, osserviamo che il nome di Gesù apre e chiude il brano, così da formare una inclusione (cf vv. l e 16), e a ricordare, semmai fosse necessario, che è il mistero della sua persona a dominare la scena. La importanza prima­ria di Cristo viene confermata dal titolo della pericope (cf v. 18a) che in gre­co colloca enfaticamente il nome di Gesù Cristo all'inizio.

Esamineremo dapprima il materiale e la sua organizzazione, quindi alcuni punti di non immediata comprensione e infine qualche considerazione teologica.

A livello organizzativo, dopo il titolo (v. 18a), possiamo ripartire il materiale in quattro momenti:

- l. Status quaestionis: apparente relazione anomala di Giuseppe e di Maria con Gesù: vv. 18b-19.

- 2. Intervento e messaggio angelico per illuminare e motivare tale relazione: vv.20-21.

- 3. Conferma biblica della validità di tale relazione: vv. 22-23.

- 4. Realizzazione del messaggio: vv. 24-25.

Il titolo presenta il tema del brano e richiama il fatto singolare della nascita di Gesù, annunciata nella genealogia con caratteri inediti. Il seguito si impegna quindi a dare una spiegazione.

1. Non si dà ragione della pericope se non si capisce la difficoltà in cui ven­gono a trovarsi Maria e Giuseppe. Potrebbe sembrare a prima vista che la dif­ficoltà sia tra loro, nei loro rapporti di reciproco amore. Ma la vera difficoltà proviene da Gesù, il bambino non ancora nato, il cui concepimento introduce il problema tra i due. È a motivo del bambino che porta in grembo che Maria si trova in una situazione imbarazzante, essendo impegnata con Giuseppe ep­pure già incinta. Proprio di questo bambino Giuseppe non riesce a trovare una soddisfacente spiegazione. A motivo di lui, quindi, la relazione tra i due coniugi si presenta anomala, intendendo con questo termine una situazione non comune e di non immediata comprensione.

2. Da tale situazione intricata e umanamente insolubile, Giuseppe viene libe­rato con il messaggio angelico che rischiara la duplice relazione che dovrà avere, sia nei riguardi di Maria, sia nei riguardi del nascituro. Verso la sposa egli avrà il dovere di completare la seconda fase del matrimonio, introducen­dola nella sua casa; verso il bambino dovrà esercitare la patria potestà con l'imposizione del nome. Il messaggio informa chiaramente la posizione dei due nei confronti di Gesù: Maria sarà Madre e Genitrice, Giuseppe sarà Pa­dre, non genitore. Proprio perché padre, Giuseppe inserirà Gesù nella linea davidica e questo atto giuridico si verifica nel momento in cui egli accoglie in casa sua Maria e il frutto del suo grembo.

3. Interviene il redattore a confermare con la citazione di Is 7,14 la validità della nuova relazione che si è instaurata tra Giuseppe, Maria e Gesù. La cita­zione non contiene espressamente il nome di Giuseppe, tuttavia parlando del­la vergine che concepirà e partorirà il figlio, esclude categoricamente un con­tributo del padre all'atto generativo. Giuseppe ricoprirà altri ruoli, non quello della procreazione. Ancora una volta si vuole sottolineare che la figura prin­cipale è il bambino che deve nascere: gli altri personaggi vivono di lui e per lui. A questo bambino viene dato un nome simbolico, quasi un programma: «Immanuel» che tradotto significa «Dio con noi». L'importanza di tale attri­buto si deduce dal fatto che l'evangelista lo correda di traduzione, non certo esigita dai primi destinatari cui Matteo li indirizzava, perché di lingua ebrai­ca. Se Matteo lo traduce - unico caso[ii] - significa che vi annette grande importanza.

4. Da ultimo viene registrata la fedele esecuzione del messaggio angelico, se­gno evidente che Giuseppe fa suo il progetto divino. L'esecuzione avviene se­condo l'ordine indicato che è anche quello logico: prima Maria è introdotta nella casa di Giuseppe divenendo definitivamente sua sposa. Il matrimonio non viene consumato, perché Giuseppe rispetta il mistero che si è operato in lei. Infine, quando il bambino nasce, il padre esercita la sua autorità dandogli il nome e rendendolo così un discendente di Davide.

Alcuni punti difficili

Tra i diversi punti che richiederebbero un approfondimento, per i quali ri­mandiamo ai commentari, scegliamo di soffermarci su due, che meglio pos­sono illustrare il nostro tema: l'azione dello Spirito Santo e la citazione di Isaia.

1. «Per opera dello Spirito Santo» (v. 18)

Il carattere inatteso, sorprendente ed eccezionale del concepimento viene espresso con la forma passiva, seguita subito dal nome dello Spirito: «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (v. l8b). In greco la preposizione ek che precede il nome dello Spirito non ha certo valore partitivo o emanativo, ma quello causale-storico, indicando un'azione unica dello Spirito. La descrizio­ne che in genere Matteo fa dello Spirito è molto riservata, limitandosi a pre­sentare un' azione sovrana di Dio che l'evangelista non si cura di spiegare e tanto meno di analizzare (cf 3,11; 4,1...).

Gli studiosi discutono se si tratta dello Spirito Santo in senso neotestamenta­rio o semplicemente della forza creatrice di Dio già operante nell'AT. Il fatto che al tempo dell'evangelista tutti gli avvenimenti di Cristo, compreso l'invio dello Spirito Santo, erano già possesso della tradizione, autorizza a credere che Matteo scrivendo queste parole abbia fatto riferimento non solo alla po­tenza creatrice di Dio, ma anche alla persona dello Spirito che di tale potenza è una delle espressioni più vigorose. Sconcerta non poco la disarmante so­brietà con cui l'evangelista parla del concepimento verginale. Il lettore mo­derno vorrebbe saperne di più, riuscire a capire anche attraverso i canali del­la ragione, visto che non può utilizzare quelli dell'esperienza. Il testo dice semplicemente che Maria entra nel mistero di Dio, è chiamata a collaborare con lui nella generazione umana di Cristo. Molto oltre non si può andare, sal­vo il rischio di scadere in descrizioni come quelle dei vangeli apocrifi che. non servendo la verità, mirano al dato fantastico più che a quello teologico.

Possiamo solo ricordare un interessante particolare linguistico che ci tiene lontano da false rappresentazioni a cui potremmo essere ricondotti dalla mitologia. I classici sia greci sia latini parlano spesso della nascita di eroi da un dio e da una donna: così nacquero, per esempio, Minosse, Esculapio, Romo­lo e Remo. Il testo evangelico impedisce tale riferimento: Maria e lo Spirito non possono in alcun modo formare una «coppia», perché «Spirito» è di ge­nere femminile in ebraico (ruah) di genere neutro in greco (pneuma). Non sussisteva quindi neppure la più remota possibilità di confondere lo Spirito con l'elemento maschile.

Il risultato rilevante è che colui che nascerà, avrà il duplice statuto, quello che la teologia posteriore esprimerà con la formula di «vero uomo e vero Dio».

2. La citazione di Isaia 7,14 (v. 23)

Matteo avalla e fonda la singolare condizione del nascituro con un esplicito riferimento veterotestamentario. Colui che nasce è visto come la conclusione di uno sviluppo, iniziato molto tempo prima. Antico e Nuovo Testamento si saldano nel rapporto di annuncio/profezia e di compimento. Veramente Gesù è la soddisfacente realizzazione di una plurisecolare speranza.

La citazione di Is 7,14 ha il valore di contenere il nome di Emmanuele, tutta­via fornisce un groviglio di problemi che gli studiosi non riescono facilmen­te a sciogliere. Matteo la riporta con una lezione diversa sia dal testo ebraico (= TM) sia dalla versione greca (= LXX). Compariamo i testi.[iii]

TM: Ecco la FANCIULLA ('almah) concepisce e darà alla luce un figlio e lo CHIAMERÀ con il nome di Emmanuele.

LXX: Ecco la VERGINE (parthenos) concepirà e darà alla luce un figlio e lo CHIAMERAI con il nome di Emmanuele, che significa «Dio con noi».

Matteo: Ecco la VERGINE (parthenos) concepirà e darà alla luce un figlio e lo CHIAMERANNO con il nome di Emmanuele.

Nel testo ebraico notiamo:

- È all'empio re Acaz che il profeta rivolge le parole di Is 7,14 che doveva­no essere un segno nella guerra siro-efraimita del 734 e quindi si riferisce a qualcosa di quel tempo.

- Il bambino non poteva essere il Messia perché il messianismo non era an­cora sviluppato al punto di aspettare un solo re futuro.

- 'almah indica una ragazza in età da marito. Non include necessariamente l'idea di verginità anche se a quell'età e in quella situazione di solito lo era­no.

- L'articolo determinativo «la fanciulla» rende probabile che Isaia facesse ri­ferimento a qualcuno in modo preciso; probabilmente è la stessa moglie di Acaz.

- La costruzione ebraica con il participio non specifica se la fanciulla fosse già incinta e se lo sarebbe diventata presto; la nascita sarebbe stata comunque un evento futuro.

- Sarà la madre a dare il nome.

Nel testo greco dei LXX notiamo:

- La scelta del termine parthenos supera il valore dell'ebraico 'almah, tra­dotto abitualmente con neanis (vedi le traduzioni di Aquila, Simmaco e Teo­dozione). Parthenos ha talora valore generico, come in Gn 34,4, ma di solito assume il sen o specifico di «vergine» e corrisponde all'ebraico betulah.

- In greco il tempo è chiaramente espresso al futuro.

- A dare il nome sarà il padre, cioè Acaz, espresso con la seconda persona singolare.

TM e LXX non parlano della straordinarietà del concepimento, ma del tempo particolare indicato dal profeta. Il testo dice che una fanciulla (o una che è an­cora vergine, secondo la traduzione greca) concepirà un bambino per via nor­male, unendosi a suo marito. È un segno perché Isaia parla di un concepi­mento non di una donna incinta, ma di una donna ben conosciuta, la 'almah, e non ancora esperta di maternità. Mai i giudei hanno inteso il testo di Isaia in senso di nascita verginale.

Dobbiamo quindi concludere che l'interpretazione verginale del testo risale a Matteo.[iv]

In Matteo notiamo:

- L'evangelista riporta il testo greco ma con la lezione LO CHIAMERANNO an­ziché lo chiamerai; egli può aver seguito un'altra lezione dei LXX oppure può aver corretto il testo alla luce dei Rotoli del Mar Morto dove si trova «sarà chiamato di nome» oppure «lo chiameranno con il nome» (1 QIsª). Il plurale allarga il riconoscimento nel nome Emmanuele a una più vasta cer­chia; non solo Giuseppe (ci sarebbe stata la seconda persona singolare), ma anche altri, come il popolo e gli stessi pagani;

- Matteo dà l'interpretazione del nome Emmanuele. Si tratta senz'altro di una sua aggiunta.

- Matteo intende in modo nuovo e completo il termine parthenos che il testo greco gli offriva; era facile interpretarlo alla luce del concepimento verginale, dopo aver conosciuto la storia di Cristo. Si potrebbe pensare che già i tradut­tori greci avessero inteso parthenos in senso pieno. L'ipotesi non si può ne­gare. Resterebbe comunque difficile dimostrare dove e come abbiano preso una simile interpretazione. Straordinario resta senza dubbio l'uso insolito di tale vocabolo: forse un loro uso più largo e improprio ha preparato la strada all'uso pieno e corretto che ne farà Matteo.

L'inequivocabile valore del termine «vergine» è suffragato dal v. 25a che la traduzione italiana rende «la quale [Maria], senza che egli la conoscesse, par­torì un figlio ... » e che letteralmente suona «e [Giuseppe] non la conobbe, fin­ché partorì un figlio ... ». Sappiamo bene l'uso semitico del verbo «conoscere» che in certi contesti, prende il senso di avere o no rapporti sessuali.[v] Nella formulazione negativa, si esprime l'astinenza dal rapporto. È il caso di Giusep­pe che non ha rapporti con Maria. L'affermazione ha forte valenza cristologi­ca, perché si afferma il concepimento verginale di Gesù e il suo appartenere totalmente a Dio, grazie all'azione dello Spirito Santo. Il problema nasce da quella congiunzione finché (heos hou) che potrebbe indicare che dopo la na­scita di Gesù, Giuseppe abbia condotto una normale vita coniugale con Ma­ria, come intende certa esegesi protestante. Il dogma cattolico è su questo punto chiaro e preciso, affermando la totale verginità di Maria in tutta la sua vita.[vi] Il testo in quanto tale non prova né smentisce nessuna delle due posi­zioni, volendo principalmente affermare la nascita verginale di Gesù, senza impegnarsi per quello che è successo dopo: «Sulla verginità di Maria "dopo" il parto di Gesù, questo testo non afferma nulla di esplicito».[vii] In seguito, la Chiesa cattolica, riflettendo su questo e su altri testi del NT, giunge alla con­vinzione che la verginità di Maria dopo il parto è implicita nelle verità che af­fermano la verginità prima e durante la gravidanza.

La teologia di Mt 1,18-25

Nel corso dell'esposizione sono già stati fatti accenni teologici. Più volte è stato ribadito che tutti i fili partono o arrivano a Gesù che è l'interesse cen­trale del Vangelo.

Di questo bambino che scandisce la storia del suo popolo (cf la genealogia, 1,1-17) e che determina la vicenda dei due coniugi, si fanno importanti affer­mazioni teologiche che costituiscono alcuni pilastri del credo cristiano: Gesù è concepito dallo Spirito Santo, è salvatore del suo popolo, è figlio di Dio.

1. Concepito per opera dello Spirito Santo

Il brano afferma a chiare lettere la origine soprannaturale di Gesù, dicendo che è stato concepito per opera dello Spirito Santo. L'evangelista lo afferma fin dal v. 18 e quindi toglie ogni suspence al lettore messo a contatto con la vera identità di questo bambino. Lo ripete l'angelo al v. 20 e lo certifica Giu­seppe con la sua condotta al v. 25: egli diventa pertanto il più autorevole te­stimone e garante della nascita soprannaturale. Tale nascita non vuole essere una apologetica per Maria o un suo vanto; piuttosto, ha valore cristologico in quanto prepara la successiva affermazione teologica.

2. Salvatore del suo popolo

Il bambino che nascerà riceverà il nome di Gesù che Matteo si sente autoriz­zato a spiegare, e certo a modo suo: «Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (v. 21b). Il nome Gesù o Giosuè non era infrequente nel mondo giu­daico e di esso si capiva subito l'etimologia. Matteo dice molto di più: parla di salvezza dei peccati, qualificando e precisando il ruolo di Gesù, semmai qualcuno dalla genealogia avesse potuto avere un sentore politico-nazionali­stico: egli sarà il redentore in quanto toglierà i peccati. I peccati di chi? Del popolo, ovviamente. Ancora una volta è possibile affinare lo sguardo e legge­re quel «suo popolo» come il popolo nuovo dei redenti, la Chiesa. Essa, quan­do Matteo scrive, era già realtà vivente e operante: per questo non è impossi­bile che Matteo abbia potuto nascondere in quel «suo popolo» un velato ac­cenno alla realtà ecclesiale. Sarebbe bastato il riferimento al popolo senza bi­sogno dell'aggettivo possessivo, essendo il nostro brano e anche la preceden­te genealogia limitato all' orizzonte di Israele. Israele però ha carattere limita­tivo; il «suo popolo», invece, raccoglie tutti coloro che attingono al mistero della sua nascita e, ben più, ai meriti della sua morte e risurrezione. Il suo po­polo è quello che ha infranto le barriere di razza, di sesso e di stato sociale (cf Gal 3,27s; Col 3,11). Il Gesù che redime un popolo così numeroso, pratica­mente tutta l'umanità, presenta le credenziali per essere il Figlio di Dio.

3. Figlio di Dio

Non è dato trovare nel nostro brano la esplicita attestazione di fede che Gesù è il Figlio di Dio. Tuttavia è possibile ricavarla con sufficiente sicurezza dal testo. Già il fatto che il concepimento sia avvenuto per opera dello Spirito Santo rimanda ad un contesto soprannaturale. Inoltre si è apertamente dichia­rato che questo bambino che porta il nome di Gesù «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (v. 21b). Ora, poiché la salvezza appartiene a Dio, se ne deduce che Gesù avrà almeno uno stretto legame con Dio.

Conclusione. Emmanuele: l'impegno di Dio

Tutte le tre affermazioni cristologiche trovano un adeguato compendio nel ti­tolo Emmanuele, Dio con noi. La nascita di Gesù non è altro che una nuova, incomparabile e definitiva presenza di Dio in mezzo agli uomini. Gesù rende possibile nella sua persona la vicinanza con Dio in quanto egli stesso è Dio. L'evangelista conclude il suo vangelo con le parole di Gesù: «lo sono con voi tutti i giorni» (28,20), che sono un manifesto richiamo a Immanuel (Dio con noi = io con voi): se all'inizio del vangelo si tratta di una profezia presentata come un impegno di Dio, alla fine la parola di Gesù assicura che la profezia ha trovato pieno adempimento nella sua persona. Il nome certifica la fedeltà di Dio, il suo impegno alla comunione con l'uomo, comunione che si realiz­za nella persona del Figlio. L'alleanza dell' AT raggiunge il suo zenit, la pro­messa di Isaia trova in Gesù il suo definitivo compimento.

Gesù si presenta ancora prima di nascere, ma già presente nel seno di Maria. come l'Emmanuele, la presenza piena e definitiva di Dio in mezzo agli uomi­ni. Giovanni lo confermerà con altre parole: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14) e Paolo da parte sua dirà: «Egli è l'im­magine del Dio invisibile» (Col 1,19).

 

(da Parole di vita, n. 2, 1999)



[i] K. STENDHAL, Quis et unde? An Analysis of Mt 1-2, in: Judentum, Urchristentum, Kirche (Fs. J. Jeremias), Berlin 1960, p. 101.

[ii] Gli altri evangelisti usano l'interpretazione anche per altre occasioni. Marco, ad esempio. due volte traduce frasi di Gesù (cf Mc 5,41; 15,34) e una volta spiega il termine «Golgota».

[iii] Cf R.E. BROWN, La nascita del Messia, Cittadella, Assisi 1981, pp. 181-196.

[iv] «Matteo risolve così un problema sconosciuto alla tradizione ebraica, che non s'aspettava una concezione verginale, e ne trova la giustificazione nella profezia di Is 7,14», R. LAURENTIN, I Vangeli dell'infanzia di Cristo, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1985, p. 359.

[v] Gn 4,1 dice «Adamo conobbe [trad. CEI: si unì a] Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino»: è facile vedere il collegamento tra il «conoscere» e il partorire.

[vi] Tra le numerose dichiarazioni, si può leggere l'affermazione della condizione di sempre vergine attribuita a Maria dal concilio ecumenico Lateranense IV (anno 1215) che combatteva Ca­tari e Albigesi, cf DS 801.

[vii] N. CASALlNI, Libro dell'origine di Gesù Cristo. Analisi letteraria e teologica di Mt 1-2, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1990,77.

 

Letto 3354 volte Ultima modifica il Lunedì, 09 Maggio 2011 16:18
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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