«Fu elevato in alto» (At 1,9-11) di Francesco Mosetto
Nel racconto lucano delle origini cristiane il primo evento, quello che separa il tempo di Gesù dal tempo della Chiesa, è l'ascensione. Separa e congiunge, dal momento che il Signore risorto e innalzato alla destra di Dio ha effuso lo Spirito Santo che suscita la missione e l'annuncio della salvezza a tutti i popoli della terra.
In realtà, l'ascensione è narrata sia all'inizio degli Atti sia, in forma più breve, alla fine del Vangelo (Lc 24,50s). Questa ripetizione presenta qualche problema. Prima ancora, la «cerniera» tra il primo e il secondo volume della cosiddetta «opera lucana» (espressione sulla quale non mancano le riserve)[i] merita qualche considerazione, in ordine all'esegesi del nostro brano.
1. I quaranta giorni
Nell'evento pasquale si compiono le Scritture, ossia il disegno di Dio. È questo il ritornello del cap. 24 del Vangelo di Luca (cf Lc 24,6-7.25-27.44-47). I tre racconti che lo compongono - le donne al sepolcro, i discepoli di Emmaus, l'apparizione agli Undici - non documentano solamente la risurrezione di Gesù; sono anche una catechesi cristologica, che si apre al tempo dell'annuncio universale. Nelle parole di Gesù stesso: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risorgere dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme» (Lc 24,46s).
Abbiamo qui il programma anticipato di quanto lo stesso evangelista - probabilmente in un secondo tempo - si accingerà a scrivere nel suo secondo volume. All'inizio di questo, Luca riprende il filo della prima narrazione: riallacciandosi al proemio del Vangelo (At 1,1-2), mettendo in evidenza i protagonisti di questa nuova fase, «gli apostoli, che [Gesù] si era scelto nello Spirito Santo» (ivi), con una sintesi delle apparizioni del Risorto (vv. 3ss).
Qui si inserisce una precisazione temporale, che segna una prima differenza rispetto alla finale del Vangelo lucano: «apparendo loro per quaranta giorni» (v. 3). Sono evidenti il carattere tradizionale e il valore simbolico della cifra, che ritroviamo sia nell’Antico Testamento (cf Es 24,18; 34,28: Mosè rimane sul Sinai quaranta giorni e quaranta notti) sia nei Vangeli (cf Lc 4,1: Gesù nel deserto per quaranta giorni): è il tempo classico di un'esperienza religiosa forte, il tempo fondante rispetto alla vicenda successiva, che ha inizio con l'allontanarsi di Cristo dalla scena della storia.
Apparendo agli Apostoli, Gesù li rende certi «con molte prove» che egli è «vivo» (At 1,3; cf Lc 24,5.23); preannuncia loro «la promessa del Padre», ossia il dono dello Spirito (At 1,4; cf Lc 24,49); li illumina intorno alla direzione e al senso della nuova fase della historia salutis: questo non è il tempo in cui Cristo «ristabilirà il regno per Israele» (At 1,6; cf traduzione CEI riveduta), bensì quello nel quale i suoi discepoli gli renderanno testimonianza fino ai confini della terra (cf At 1,7-8). In altre parole: il tempo nel quale il «regno di Dio» - che Gesù ha annunciato per primo (cf Lc 4,43 ecc.) - deve essere proclamato dagli Apostoli come evento di salvezza legato al nome di Gesù stesso (cf At 1,3; 8,12; 14,22; 19,8; 20,25; 28,23.31).
2. Esaltazione o innalzamento
In questa cornice è racchiusa la scena altamente suggestiva dell’ascensione del Signore risorto. Prima di considerarla più da vicino, è utile estendere lo sguardo ai testi lucani ed anche a quelli non lucani disseminati nel Nuovo Testamento, che presentano il medesimo evento. Quando Gesù s'incamminò decisamente verso Gerusalemme, «stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto» (Lc 9,51: traduzione CEI riveduta;gr. analempsis): l'annotazione è dell'evangelista, il quale evidentemente si riferisce all'evento pasquale. Con linguaggio diverso, insieme personalistico e spaziale, il viandante spiega ai due discepoli di Emmaus che il Cristo doveva soffrire la passione «per entrare nella sua gloria» (Lc 24,26): la risurrezione è letta come movimento, passaggio da una condizione di umiltà a una condizione di esaltazione e potenza. Allo stesso modo, e riprendendo l'immagine di un movimento verso l'alto, nel libro degli Atti Pietro afferma che Gesù è stato «innalzato alla destra di Dio» (At 2,33), o che «Dio lo ha innalzato alla sua destra» (5,31; in ambedue i passi si allude al salmo 110, v.1); per cui attualmente «il cielo lo accoglie» fino al tempo della «restaurazione di tutte le cose» (3,21).
Il tema dell'innalzamento, riferito a Gesù e alla sua Pasqua di risurrezione, è presente anche nelle lettere di Paolo, sia quelle sicuramente autentiche sia quelle della tradizione paolina. Nel celebre inno della Lettera ai Filippesi del quale si riconosce generalmente il carattere tradizionale - è detto di Cristo che «umiliò se stesso» e «per questo Dio lo esaltò» (Fil 2,8s). Con qualche leggera differenza terminologica, lo stesso si legge nelle lettere agli Efesini (E! 4,8-10) e a Timoteo (l Tm 3,16).[ii]
Ma soprattutto il quarto evangelista ama parlare della glorificazione di Gesù in termini di «innalzamento» o elevazione o ascensione al cielo. Tra i diversi passi, basti citare Gv 3,14: «...come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo», ove il verbo «innalzare» può essere riferito sia alla crocifissione sia alla esaltazione nella gloria (cf 8,28; 12,32-34; v. anche 20,17).
Si può pertanto parlare di un duplice schema o linguaggio relativo alla risurrezione di Gesù: uno che esprime l'evento come passaggio dalla morte (e al giacere del cadavere in posizione orizzontale) alla vita (e alla postura verticale del vivente); l'altro che esprime il medesimo evento come passaggio dalla situazione umana, terrestre (quaggiù) alla situazione divina, celeste (lassù). Dunque, risurrezione ed esaltazione non sono per sé due avvenimenti consecutivi, ma due modalità complementari di descrivere il medesimo evento, che è anche «mistero», in quanto supera l'esperienza e la possibilità di una descrizione empirica. Risorgendo, Gesù è entrato nella sfera del divino, nella «gloria». Questo è meglio suggerito dal linguaggio dell'innalzamento, della esaltazione, della «ascensione».
3. Modelli biblici
Leggendo il testo di At 1,9-11 l'attenzione è colpita da alcuni dettagli: il cielo, la nube, i due personaggi dalle vesti bianche ... Il fatto stesso dell'innalzamento e del rapimento di Gesù, che un nuvola sottrae allo sguardo intento degli Undici, richiama alcuni episodi, si direbbero «leggende», narrate dalla Bibbia: quella di Enoc, il quale «camminò con Dio e non fu più perché Dio l'aveva preso» (Gn 5,24; cf Sir 44,16; 49,14: «fu rapito dalla terra»); quella di Elia, che fu «assunto in un turbine di fuoco, su un carro di cavalli ai fuoco» (Sir 48,9), mentre Eliseo «gridava: "Padre mio, padre mio, cocchio di Israele e suo cocchiere"». Il racconto continua: «E non lo vide più» (2 Re 2,12). Nella tradizione giudaica si parla ancora del rapimento o assunzione di Mosè, Baruch, Esdra, né mancano paralleli ellenistici.[iii]
Nella «geografia» simbolica della Bibbia - e non solamente della Bibbia - il cielo è il luogo della divinità, mentre la nube è un segno classico della sua presenza nascosta (cf Es 13,21s; Dn 7,13); gli angeli, a loro volta, compaiono come interpreti di eventi o di visioni apocalittiche (cf Ez 40,3ss; Dn 8,15ss).
Questi confronti permettono d'intuire che la descrizione lucana va intesa secondo un codice convenzionale: Gesù passa dal mondo degli uomini al mondo di Dio. L'evento, preparato dal dialogo con i discepoli dei versetti precedenti, è ulteriormente commentato dal «due uomini in bianche vesti» che si rivolgono agli «uomini di Galilea».
4. Fu elevato in alto
Leggiamo ora con attenzione i vv. 9-11 del l° capitolo degli Atti. Al termine dei «quaranta giorni», dunque dieci giorni prima del «cinquantesimo», ossia della Pentecoste (At 2,1), in quella che si suppone l'ultima delle apparizioni di Gesù risorto, preparato da un ultimo dialogo (1,6-8), accade il fatto che fa da spartiacque tra la presenza di Cristo sulla terra e la sua definitiva appartenenza al mondo di Dio, tra il tempo di Gesù (il Gesù della storia) e il tempo della Chiesa. Il v. 12 (v. anche il parallelo di Lc 24,50) consente di localizzare l'evento sul monte degli Ulivi.[iv]
Dopo le ultime parole (« ... mi sarete testimoni ... »), Gesù «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi». Il movimento ascendente è sottolineato con insistenza in ciò che segue: «mentre egli se ne andava» (v. l0); «assunto in cielo» (v. 11; v. anche At 1,2: «fu assunto in cielo», e Lc 24,51: «fu portato verso il cielo»). L'immagine è quella di un movimento fisico graduale, come nel "rapimento" della tradizione biblico-giudaica; il passivo suggerisce l'azione di Dio (il "passivo divino" del greco biblico). La nube, elemento teofanico, segna il passaggio alla sfera celeste; essa appartiene anche alla coreografia del ritorno glorioso (cf Lc 21,27), che accadrà «allo stesso modo», come diranno i due personaggi (v. 11). I discepoli sono testimoni diretti del fatto, che si svolge «sotto i loro occhi»: ciò corrisponde al tema dei discepoli «testimoni» della risurrezione di Gesù (cf At 2,32 ecc.).
Gli angeli sono già comparsi al sepolcro (cf Lc 24,4ss), con il medesimo ruolo: interpretare l'evento. La parola di Dio, recata dai suoi messaggeri, manifesta il significato dell'esperienza straordinaria di cui gli Undici sono spettatori. Il messaggio ovviamente è anche rivolto al lettore. Il rimprovero («Uomini di Galilea, perché ... ?») suppone un errore, un atteggiamento non adeguato (v. già Lc 24,5.25; At 1,7). «I discepoli - commenta lo Schneider - non devono attendere con le mani in mano e stare a guardare il cielo, speculando sulla parusia e sul tempo in cui verrà, ma dedicarsi piuttosto alla testimonianza del risorto, secondo le ultime parole di Gesù».[v]
«Questo Gesù ... ritornerà un giorno allo stesso modo ... ». La prospettiva della Parusia non è esclusa; anzi il suo necessario fondamento sta precisamente nella esaltazione di Gesù alla destra di Dio (cf Lc 22,69). Cristo ritornerà «allo stesso modo», ossia «con potenza e gloria grande» (Lc 21,27), per salvare i suoi (cf Lc 21,28) e attuare l'attesa restaurazione (At 3,21) non solamente a favore di Israele (cf At 1,6), ma dell'universo («di tutte le cose»: l'universalità della salvezza è sottolineata dalla citazione di Gn 22,18 in At 3,25).
5. Due «ascensioni»?
Come spiegare il doppione di Lc 24,50-53? Stando a questo primo racconto, Gesù sarebbe asceso al cielo «in quello stesso giorno» (24,13), «il primo giorno dopo il sabato» (24,1): visita delle donne al sepolcro vuoto, incontro sulla via di Emmaus, apparizione agli Undici si susseguono senza interruzione nel giorno di Pasqua. L'ascensione conclude l'apparizione pasquale e sigilla il saluto di Gesù ai suoi apostoli.
La scena finale del terzo Vangelo contiene tratti specifici: la benedizione (sacerdotale, cf Sir 50,20s) di Gesù; l'adorazione dei discepoli (rivolta al Kyrios, cf At 2,36); la gioia e la lode a Dio come risposta all'evento della salvezza (cf Lc 1,46ss.68ss; 2,13s.20). Dicendo che, al termine dell'incontro con gli Undici, Gesù «si staccò da loro», l'evangelista conserva una traccia dell’esperienza originaria: l'apparizione termina con il distacco (vedi Lc 1,38: «e l'angelo si allontanò da lei»). Il secondo verbo («e fu portato verso il cielo») precisa il senso dell' allontanarsi di Gesù, il «luogo» al quale appartiene il risorto e nel quale ritorna dopo essersi mostrato sensibilmente agli apostoli. Lo stesso si deve supporre per le numerose apparizioni, di cui all'inizio degli Atti: Gesù viene dal mondo di Dio (il «cielo») e immancabilmente vi fa ritorno!
Nel libro degli Atti, con la cifra dei «quaranta giorni» Luca delimita un tempo sacro, che ha un carattere di fondazione rispetto alla storia che segue, e coordina le apparizioni di Gesù con la prima esperienza dello Spirito Santo, effuso da Gesù risorto il cinquantesimo giorno. Il ciclo delle apparizioni pasquali - come sa anche Paolo (l Cor 15,5-7) e come testimonia la finale lunga del Vangelo di Marco (Mc 16,9-20) - è ben delimitato. Luca lo racchiude in una cifra canonica: quaranta giorni.
Certamente Luca non pensava di contraddirsi, raccontando «due ascensioni»! Ciascuno dei due racconti ha la sua prospettiva. Il secondo è diventato classico e ha suggerito una scansione del tempo liturgico, che celebra l'esaltazione celeste di Cristo, diventato il Kyrios, il Signore. Ma non occorre immaginare - come si è fatto talora, accostando At 1,9-11 con Gv 20,17 - che Gesù risorto si sia aggirato su questa terra per quaranta giorni prima di salire al Padre. Semplicemente, la risurrezione è anche esaltazione o innalzamento, grazie al quale Cristo è «salito al Padre» (Gv 20,17), è «entrato nella sua gloria» (Lc 24,26), si è «assiso alla destra» di Dio (cf At 2,32.34).
Luca ha dunque «inventato» l'ascensione? È più prudente dire che l'ha descritta, con grande audacia narrativa e ispirandosi a un modello biblico, ma basandosi sull'affermazione del kerigma condiviso da tutto il Nuovo Testamento e mettendo in risalto uno degli aspetti del grande e insondabile evento della risurrezione: quello riguardante la trascendenza della realtà cui oramai Gesù appartiene. Il risorto è il «vivente» (cf Lc 24,5), il Signore (cf At 2,36), non più presente in modo sensibile, eppure operante nel mondo per mezzo dello Spirito e della Chiesa.[vi]
(da Parole di vita, n.1, 1998)
[i] Cf M. LÀCONI, Gli Atti degli Apostoli e l'opera lucana, in ID. e Coll., Vangeli Sinottici e Atti degli Apostoli (Logos 5), Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1994, pp. l77s.
[ii] Vedi anche Col 3,1; Eb 9,24; 1 Pt 3,22.
[iii] Cf G. SCHNEIDER, Atti degli Apostoli, Paideia, Brescia 1985, vol. I, pp. 287s; R. PESCH, Atti degli Apostoli, Cittadella, Assisi 1992, pp. 83s.
[iv] A ricordo dell'ascensione del Signore, sulla sommità del monte degli Ulivi venne eretto fin dal IV secolo un piccolo santuario a pianta circolare, sostituito dall'attuale edicola ottagonale al tempo delle crociate. Cf J. MURPHY-O’CONNOR, The Holy Land. An Archeological Guide ... , Oxford University Press 1986, p. 112.
[v] Op. cit., I, p. 282
[vi] Cf M. LÀCONI, op. cit., pp. 573-575; R. O'TOOLE, L'unità della teologia di Luca, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1994, pp. 43-55.