Formazione Religiosa

Lunedì, 08 Marzo 2010 21:28

Pensare secondo gli uomini, pensare secondo Dio (Caroline Runacher)

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La confessione di Pietro è certo uno dei testi più conosciuti del Nuovo Testamento soprattutto nella versione di Matteo. Così si ricordano facilmente le parole di Gesù al discepolo che lo ha appena riconosciuto come il Messia: “Beato te, Simone, figlio di Giona…” e: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”.


Pensare secondo gli uomini,
pensare secondo Dio
La confessione di Pietro (Marco 8,27–33)
di Caroline Runacher, o. p.


La confessione di Pietro è certo uno dei testi più conosciuti del Nuovo Testamento soprattutto nella versione di Matteo. Così si ricordano facilmente le parole di Gesù al discepolo che lo ha appena riconosciuto come il Messia: “Beato te, Simone, figlio di Giona…” e: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Matteo 16, 17-18).

Ci si ricorda anche, però, delle parole dure che in Matteo e Marco seguono immediatamente la proclamazione di fede di Pietro: “Dietro di me, Satana!”.

Come Pietro ha potuto attirarsi un tale rimprovero? Rimprovero che ha potuto mettere in imbarazzo alcuni commentatori al punto che spesso hanno cercato di giustificare o di scusare l’apostolo. Eppure, inserendo al centro del suo vangelo, l’insieme costituito dalla confessione di Pietro seguita dal primo annuncio della passione e dal rimprovero indirizzato a Pietro (8, 27-33), l’evangelista Marco aveva certamente a cuore di proporre un messaggio che va oltre la sola figura di Pietro per domandare ad ogni discepolo, di ieri come di oggi: “E voi chi dite voi che io sia?”

Vedo delle persone, le vedo come alberi…

Situata nel cuore del vangelo, la confessione di Pietro (8,27-30[1] è come la finale della sua prima parte (1, 14-8.26). Infatti poiché Gesù è riconosciuto come Messia[2] la proclamazione di Pietro si presenta come una risposta alla questione che domina tutta la prima parte del vangelo di Marco: Chi è Gesù?

Seguendo il racconto di, Marco vediamo come tutti partecipano all’interrogazione: le folle, gli scribi, i farisei, il “re Erode” lui stesso, fino ai discepoli… tutti si domandano chi è l’uomo di Nazareth! Gesù, però, malgrado il suo insegnamento e i suoi miracoli, che vorrebbero manifestare qualcosa della sua identità profonda, resta sconosciuto.

L’evangelista sottolinea con forza l’incomprensione dei discepoli che come gli altri non percepiscono ( 8,14-21) quale sia la dignità del Maestro che stanno seguendo. La guarigione del cieco di Betsaida (8, 22-26) che precede la confessione di Pietro, fa comprendere che Dio solo può guarire; tuttavia questo difficile ricupero della vista annuncia anche una breccia nella cecità spirituale dei discepoli e un inizio del loro comprendere: “Vedo uomini, li scorgo come alberi che camminano” ha detto il cieco a Gesù (8, 24). Tuttavia soltanto ai piedi della croce, il centurione romano potrà riconoscere in Gesù che emana l’ultimo respiro, il Figlio di Dio (15, 19).

“E voi chi dite che io sia?” (Mc 8. 27–30)

Con i suoi discepoli Gesù si reca nella regione di Cesarea di Filippo. Situata all’estremo nord della Galilea, presso le fonti del Giordano la città di Cesarea di Filippo è alla frontiera fra giudei pagani, aperta sulle Nazioni; non è certo senza ragioni che Marco ha situato là il riconoscimento di Gesù come Cristo così lontano da Gerusalemme, la città santa dove sarà condannato per bestemmia per aver riconosciuto di essere “il Cristo, Figlio del Benedetto” (14, 61-64).

Durante il cammino, Gesù si intrattiene con i discepoli (8, 27). Per la prima volta si fa menzione di questo “cammino” particolare (cf 9,33 s; 10, 17- 46- 52) di cui noi veniamo a sapere che si tratta di un itinerario spirituale più che geografico, poiché non conduce a Cesarea di Filippo, ma a Gerusalemme (cf 10,32). Così facendo Marco fa capire che questo cammino è quello del Figlio dell’uomo, il cammino della Passione e del dono di sé; ma è anche quello della sequela. Infatti dal ciglio della strada dove è seduto, il cieco Bartimeo grida verso Gesù (10, 46), ma una volta ritrovata la vista con lucidità “egli seguiva Gesù sul cammino” (10, 52).

Ed è proprio mentre sono su quel cammino, - e non su di un altro – che Gesù pone la duplice questione ai discepoli. Con la prima domanda chiede: - Chi sono ciò che si dice di lui: “Gli uomini, chi dicono che io sia?” (8, 27). Tante ipotesi sono state formulate dal popolo (6, 14-16 ; 8. 28): hanno preso Gesù per Giovanni risorto - come l’ha fatto Erode (6,16) o ancora per Elia o per un semplice profeta.

Una tale percezione di Gesù corrisponde, però, alla cecità completa dell’uomo di Betsaida (8, 22), poiché secondo Marco è il Battista che incarna la figura d’Elia, il precursore del Messia (9, 11-13).

Le risposte del popolo non sono soddisfacenti, e Gesù malgrado tutte le incomprensioni che hanno manifestato circa la sua identità (per es. 4, 41; 6 49 s; 8.17-21), si rivolge ai discepoli: “E voi chi dite che io sia?” (8, 29). Pietro come porta-parola del gruppo afferma: “Tu sei il Cristo” (8, 29). Questa proclamazione è, in un certo senso, giusta e presenta un fenomeno senza precedenti in Marco: è la prima volta che un uomo indica Gesù come il Cristo e la confessione di Pietro si avvicina a quella dell’evangelista: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio” (1,1). Si potrebbe dunque pensare che l’accecamento dei discepoli ha trovato la sua soluzione definitiva. Tuttavia non è così! Pietro ha appena rivelato che Gesù è il Cristo che questi impone severamente ai discepoli di non parlarne con nessuno (8, 10).

Questa ingiunzione di non divulgare la rivelazione, concerne tutta la persona di Gesù e suona come un avvertimento per Pietro e per i discepoli che hanno ancora solo una percezione parziale dell’identità di Gesù. Ciò dimostra anche che se Pietro ha ragione di proclamare che Gesù è il Cristo, bisogna ancora evitare una conoscenza sbagliata della sua messianità. Infatti quando l’apostolo evoca il Cristo, non si precisa che significato dia a questa parola. Tuttavia se si considera il contesto dell’epoca appare che per Pietro, i discepoli e i loro contemporanei, il Messia poteva essere un uomo fedele a Dio, ma anche una persona di potere, una figura regale, un liberatore politico che cavalca alla testa d’un esercito. Una tale immagine non può corrispondere a Gesù, il Figlio dell’uomo la cui messianità si compie sulla croce. Proprio questo Gesù vuol fare capire ai suoi discepoli indirizzando loro il primo annuncio della sua Passione (8, 11). Per il momento però, i discepoli non parlano di Gesù perché non hanno percepito tutta la verità del suo essere; possiamo paragonarli al cieco di Betsaida non ancora arrivato a una visione chiara e che vede la gente come alberi (8,14).

Il cammino del Figlio dell’uomo (Marco, 31-32a)

A Pietro che proclamava la gloria del Messia, Gesù risponde con un insegnamento, grave e solenne, sulla necessità della Passione e della Resurrezione del Figlio dell’uomo. Marco propone così una nuove interpretazione del titolo Cristo, che applicata a Gesù sarà compresa alla luce del cammino del Figlio dell’uomo. Questo cammino è senza ambiguità: il Figlio dell’uomo è certamente glorioso[3] (Mc 2, 10-28: 8, 38…), ma deve anche molto soffrire perché sarà rigettato (8, 31). Questo verbo ‘essere scartato o rigettato’, è usato solo qui e in 12,19, in una citazione del salmo 118,22 che contribuisce a descrivere la sorte del figlio prediletto ucciso dai vignaioli assassini, ma che Dio non abbandona: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo” Per Marco questi “costruttori” nemici, autori del rigetto del Figlio dell’uomo, sono gli “Anziani” provenienti dall’aristocrazia laica, “i sommi sacerdoti”, membri delle famiglie pontificali, e “gli scribi” esperti della Legge e generalmente farisei. Sono le tre fazioni del Sinedrio, il Consiglio supremo di Gerusalemme che governa la vita dei giudei. Marco sottolineerà il loro ruolo nella Passione (14. 43-53; 15,11 e la loro azione si conclude con la decisione della condanna di Gesù (43. 6) che deve essere ucciso. La morte però non avrà l’ultima parola, il Figlio dell’uomo deve risorgere “dopo tre giorni” ciò che fa certamente eco alle parole del profeta “Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza” (Os 6, 2).

Questo cammino eccezionale del Figlio dell’uomo deve realizzarsi così, cioè non sarà frutto del caso o della volontà umana, ma conforme alle Scritture e s’inserisce nel disegno di Dio (9,12). Tale è la parola, l’insegnamento che Gesù espone in maniera aperta, chiara e franca ai discepoli (8, 32a), e Marco lo dice al credente: la messianità di Gesù, il Figlio dell’uomo, si manifesta sulla croce.

Pensare secondo l’uomo, pensare secondo Dio

Il messaggio è chiaro e Pietro rifiuta un tale Messia che lo scandalizza! Prende Gesù in disparte, e dunque, seguendo le sue idee, lo “rimprovera” (8,32b); la sua maniera di agire è sconcertante, se si considera che Marco usa lo stesso verbo per descrivere Gesù che minaccia e sgrida i demoni (1, 25; 9, 25…). Pietro si mette di traverso sul cammino che va verso Gerusalemme.., come un ostacolo, ma Gesù si volta e guarda gli altri discepoli – forse per manifestare che Pietro e lui non sono i soli in causa, ma che il cammino sul quale deve avanzare è quello del dono di sé- “per molti” (10, 45) e rivolge all’apostolo quel sferzante rimprovero “Lungi da me Satana! Dietro di me Satana…” (8, 33).

Pietro aveva risposto positivamente alla chiamata di Gesù di venire “dietro di lui! (1,17), ma ora rifiutando un Cristo disprezzato e sofferente, esce dalla sequela e fa ostacolo al disegno di Dio…che lui non ha capito. Pietro ha confessato - giustamente! - che Gesù è il Cristo; ma pensava anche di sapere quale Cristo sarebbe stato Gesù: un Messia glorioso e secondo i suoi pensieri. Secondo l’evangelista Marco, quando si tratta di riconoscere chi è Gesù e qual è il Cristo suscitato da Dio, il sapere, le conoscenze, anche religiose, sono insufficienti. Pietro dimostra bene questa possibilità. L’apostolo infatti confessa la messianità di Gesù, ma la “limita“ a qualcosa d’umanamente concepibile e di “religiosamente corretto”; si ripiega nella sua saggezza mondana e perciò stesso, si chiude “ai pensieri di Dio” (8, 33) e al paradosso d’un Messia, Figlio dell’uomo, che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (10. 45).

Pietro, così come ce lo presenta Marco, dovrà ancora percorrere un lungo cammino, prima di rinunciare totalmente al “Cristo secondo la sua mentalità” per accogliere e seguire questo Messia secondo il cuore di Dio, così potente e debole.

Con la figura di Pietro, Marco dimostra che possono esistere confessioni di fede giuste, ma che sono nello stesso tempo“demoniache”; il credente che all’indomani della Pasqua, proclama la sua appartenenza a Cristo, non può non sentirsi interpellato: “Quale Cristo confessa? È proprio il Figlio dell’uomo in cammino verso Gerusalemme e che non si potrebbe seguire se non caricandosi della croce (8, 34)? Si tratta veramente del Figlio dell’uomo trasfigurato (9, 2-8) e del Figlio dell’uomo rigettato che deve risuscitare dai morti (9, 9)? Per Marco, infatti, le parole del potenza e della gloria non bastano per dire chi è Gesù; egli ricorda costantemente che: “è soltanto nella condizione di crocifisso che il Messia potrà essere riconosciuto Figlio di Dio (15, 39)” (C. Focant).


Note
[1] Tranne menzioni particolari i riferimenti rinviano al vangelo secondo Marco.

[2] Nell’articolo si usa senza fare differenze il termine “Messia” e il suo equivalente “Cristo”. Anche nel testo greco di Marco(8. 27) troviamo “Cristo”.

Nel Nuovo Testamento l’espressione “messias” come traslitterazione della forma semitica si trova solo in Gv 1,41 e 4,25.

[3] Già nella tradizione giudaica da Dn 7, 13 s. era una figura regale.


(Tradotto da sr Immacolata Occorsio smsm)

(da La vie spirituelle, novembre 2009)

Letto 2856 volte Ultima modifica il Venerdì, 30 Marzo 2012 09:17
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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