Tra teologia e storia
Uno dei libri più noti che hanno sollevato in modo esplicito il problema della continuità tra Gesù e la Chiesa, facendo uscire quel dibattito dalle aule delle università per offrirlo alla discussione di credenti e no, venne pubblicato da Alfred Loisy (1857-1940), storico ed esegeta francese, nel 1902: si intitolava L’évangile et l’Eglise (la prima edizione italiana sarebbe apparsa solo nel 1975). I risultati andavano oltre quelle che parevano le intenzioni dell’autore, il quale sembrava voler solo offrire la risposta cattolica a un testo di uno dei maggiori storici tedeschi, Adolf von Harnack (1851-1930). Questi aveva tenuto una serie di conferenze dedicate all’essenza del cristianesimo, pubblicate quindi in volume nel 1900, che avevano sollevato attenzione e discussione. Fra i recensori critici vi era lo studioso francese.
Nella sua risposta ad Harnack, Loisy cercava a sua volta di definire l’essenza del cristianesimo, che non consisteva, come voleva lo storico tedesco, nell’annuncio della paternità divina di cui ogni cristiano, seguendo l’esempio di Gesù, poteva fare l’esperienza, ma l’essenza del messaggio di Gesù era la predicazione del Regno di Dio e della sua realizzazione imminente; per questo Gesù non poteva aver pensato di dare origine a una Chiesa. Dopo la sua morte, l’attesa del Regno si era rivelata vana e i discepoli si erano dunque dati un’organizzazione, fondando una Chiesa con dei dogmi, dei riti, delle strutture. Jésus annonçait le royaume, et c’est l’Église qui est venue («Gesù annunciava il regno, ed è venuta la Chiesa»), scrive Loisy con una formula diventata emblematica e spesso citata al di fuori del suo contesto.
Ma quella formula, considerata spesso quasi una sintesi del pensiero di Loisy, che negherebbe quindi l’istituzione della Chiesa da parte di Gesù, assume nella riflessione dell’autore un altro significato, è la prova dei continui adattamenti necessari a un’istituzione per continuare a vivere in contesti diversi. Loisy quindi, si direbbe, non intendeva contestare la Chiesa, ma finiva per mettere in causa l’origine divina della Chiesa, la coscienza messianica di Cristo e la sua stessa divinità.
Chiesa e storia
Ci si trovava così di fronte a due problemi, uno che riguardava la continuità tra la predicazione di Cristo e la nascita della Chiesa, l’altro l’origine divina della Chiesa stessa. Per la teologia cattolica del tempo, il primo non si poteva considerare un problema dal momento che si doveva affermare l’assoluta continuità tra Cristo, gli apostoli e la Chiesa dei secoli successivi; tra l’altro, la legittimità del potere del Pontefice romano è proprio fondata sulla continuità della successione apostolica. Di conseguenza, sembrava evidente anche la risposta al secondo problema, sull’origine divina della Chiesa. Se è Cristo che la vuole («e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»), e Cristo è il figlio di Dio, come si può mettere in causa l’origine divina della Chiesa?
Ma le risposte al primo problema denotavano una certa ambiguità, che nessuno coglieva negli anni della crisi modernista, quando il conflitto tra scienza e fede, fra tradizione e modernità sembrava del tutto insuperabile. I teologi cattolici affermavano l’assoluta continuità dottrinale, i modernisti affermavano la continuità storica, ed erano meno preoccupati della lettera del dogma, pensando di difenderne lo spirito. L’ambiguità era proprio nell’interpretazione del termine "continuità".
Il vero tratto distintivo della Chiesa è il cambiamento, il continuo progresso, l’adattamento, afferma ancora Loisy; non è infatti pensabile sostenere che la Chiesa, come si presenta oggi con la sua struttura gerarchica, i suoi dogmi e i suoi sacramenti sia stata istituita direttamente da Gesù Cristo. Ogni istituzione, e la Chiesa non può fare eccezione, continua se cambia, se si adatta alle nuove circostanze storiche in cui è chiamata a vivere. La vera continuità presuppone il cambiamento. Bisognava dunque parlare di sviluppo, di evoluzione, di continua riformulazione dei dogmi. Tutte categorie che entravano in totale rotta di collisione con la tradizionale dottrina cattolica, con il concetto di dogma. La verità è una e immodificabile, così come il dogma, e di conseguenza il modernismo diventava il nemico assoluto, la «sintesi di tutte le eresie», come avrebbe detto e ribadito nei suoi interventi di condanna Pio X.
Nel clima di reciproche accuse e polemiche, si inseriva la lettura che veniva fatta delle riflessioni del futuro cardinale Newman, soprattutto in una delle sue opere più famose che fin dal titolo sembrava affrontare proprio quei problemi: Lo sviluppo del dogma cristiano. Si trattava evidentemente di una concezione dello sviluppo in senso omogeneo, come la pianta si sviluppa dal seme. Ma qualcuno leggeva il tutto alla luce delle contemporanee concezioni darwiniane, come se si volesse affermare che, delle diverse verità del cristianesimo, avevano resistito solo quelle più adatte ai nuovi ambienti in cui si erano inserite. Così come vi era il rischio di rileggere quei dibattiti utilizzando le opere di uno dei più noti sociologi della religione, Emile Durkheim, soprattutto Le forme elementari della vita religiosa (1912), che partiva proprio dal concetto di lenta evoluzione delle credenze religiose per concludere alla inesorabile estinzione della religione stessa.
In questo contesto, forse chi suggeriva degli elementi di riflessione di particolare rilievo era un altro studioso tedesco, Ernst Troeltsch, che si faceva interprete di uno dei nodi più difficili delle teorie moderniste, la necessità di riflettere sul rapporto tra l’assoluto della fede e la storicità del cristianesimo, tra religione e storia. Lo studioso tedesco allargava quindi il campo della riflessione, ricordando che il modernismo non era solo una questione intracattolica, ma un problema che concerneva la situazione del cristianesimo in generale.
Il problema della continuità
Tornando a Loisy, è il caso di ricordare che uno dei suoi riferimenti maggiori era un altro studioso francese, Ernest Renan, di cui era stato allievo, noto soprattutto per una sua Vita di Gesù (1863) che ebbe all’epoca un grande successo. Renan aveva riflettuto sugli stessi problemi ripresi da Loisy, come conservare la fede e il cristianesimo in un mondo che si andava secolarizzando, diremmo oggi, o razionalizzando e disincantando, nel linguaggio del tempo. Renan non aveva dubbi: figlio del mito della assolutezza della scienza, affermava che non si doveva credere in qualcosa che non si potesse sperimentare scientificamente. Loisy non usava gli stessi termini, ma ne seguiva le concezioni.
Solo i dati storicamente verificabili sono attendibili. Ora, lo storico può arrivare a provare l’esistenza di Gesù, degli apostoli, tentare di datare i testi neotestamentari. Ma non può certo verificare la divinità di Cristo, che resta eventualmente un dato di fede, non un dato storico. Con il rischio, aggiungiamo noi, che si finisse per affermare una specie di doppia verità, quella dello storico e quella del credente. Restava poi aperto il problema della continuità tra Gesù Cristo e la Chiesa: del tutto necessaria ed evidente per la teologia, ben diversa secondo Loisy: una continuità che supponeva il cambiamento.
Il teologo e lo storico sanno che la sintesi tra l’assolutezza e la storicità del cristianesimo, come ci ricordava Troeltsch, rimane uno dei nodi sempre aperti. Oggi però gli stessi problemi vengono posti e affrontati in un contesto di dialogo tra le scienze, al di fuori di polemiche e reciproche accuse che hanno segnato i primi anni del secolo XX.
Maurilio Guasco
(da Vita Pastorale, aprile 2009)
Bibliografia
Loisy A., Il Vangelo e la Chiesa e Intorno a un piccolo libro, Saggio introduttivo di L. Bedeschi, Ubaldini 1975, Roma; Botti A. - Cerrato R. (a cura di), Il modernismo tra cristianità e secolarizzazione, QuattroVenti 2000, Urbino; Guasco M., Alfred Loisy, Morcelliana 2004, Brescia.