Annotazioni di escatologia cristiana
di Mons. Marino Qualizza
Dopo una lunga pausa, determinata da un serio incidente in montagna, nell’ottobre del 2005, riprendo la collaborazione con p. Franco e colleghi, ricominciando da un tema, che anche personalmente mi ha coinvolto in modo diretto, concreto e non teorico. Il coinvolgimento personale accanto a degli svantaggi, che possono indirizzare in modo unilaterale, offre però l’opportunità di affrontare i temi della teologia in modo esistenziale, dove il vissuto è parte significativa della vita di fede e questa non resta come in periferia, ma dà consistenza e coesione a tutta l’esistenza.
Il trattato teologico sulla escatologia ha conosciuto una grande trasformazione negli ultimi decenni. A volte i cambiamenti sono stati positivi, altre volte negativi; tutto dipendeva dai criteri di lettura dei dati biblici e della tradizione teologica successiva. Cercheremo di dare una indicazione ed una valutazione di questi criteri, perché questo è decisivo per un giudizio motivato sui temi in questione. Fra gli avvenimenti che hanno determinato una grande innovazione nel trattato va ricordato il concilio Vaticano II, perché in esso sono confluite e hanno trovato voce le scuole teologiche più significative del nostro tempo, con i loro maestri. Il risultato finale, ormai a più di quarant’anni dalla conclusione e quindi con la possibilità di un giudizio storicamente equilibrato, è quanto mai positivo.
Il primo effetto dell’evento conciliare fu il cambiamento stesso del nome del trattato. I cristiani che hanno imparato il catechismo prima del concilio o immediatamente dopo, hanno sentito parlare di ‘Novissimi’ e ne davano anche l’elenco con facilità: morte giudizio inferno paradiso. Non è che queste realtà siano sparite, come si può facilmente constatare almeno per la prima dell’elenco, ma è cambiato in modo notevole lo stile ed il metodo con il quale le varie tematiche venivano affrontate. Anche su questo punto i vantaggi sono stati grandi, perché lo svolgimento della materia trovava posto nei grandi trattati della teologia, a partire dalla cristologia per passare attraverso l’ecclesiologia, la teologia dei sacramenti ed infine interessare compiutamente l’antropologia.
Come si vede, si amplia decisamente l’orizzonte teologico con il risultato di una trattazione più articolata e arricchita dal confronto delle diverse verità di fede nei loro diversi contesti. Avremo modo, nel corso dello svolgimento dei temi, di evidenziare queste caratteristiche, per poter tracciare, alla fine, un bilancio argomentato sulle affermazioni fatte e le conclusioni raggiunte.
Vediamo ora in breve, l’impianto generale di questo trattato
- l’escatologia nella storia e nella recente teologia
- il messaggio biblico tra Antico e Nuovo Testamento: apocalisse ed escatologia
- i temi fondamentali dell’escatologia ed i criteri di interpretazione e lettura
- l’orientamento della storia biblica verso il mondo di Dio: inizio e compimento
- l’evento di Gesù Cristo, in specie la pasqua, come inizio definitivo dei tempi nuovi
- la chiesa in cammino verso la pasqua
- la considerazione della esistenza umana nei sacramenti della chiesa, il battesimo in specie
- l’esistenza umana aperta al mondo di Dio nel segno della pasqua
- il compimento della storia nel mondo futuro
- la libertà umana decide la propria sorte
- il principio della responsabilità
- il mondo nuovo punto di arrivo della creazione in Cristo
- il mondo nuovo punto di arrivo della creazione in Cristo
- confronto con le altre religioni e filosofie
- L’escatologia nella storia e nella recente teologia
Può suscitare qualche sorpresa, se si riconduce la ripresa dell’escatologia agli scritti di H.S. Reimarus, pubblicati tra il 1774-78 da G.E. Lessing, sotto il titolo di ‘Frammenti di un anonimo bibliotecario di Wolfenbuettel’. In questi frammenti, che raggiungono più di un migliaio di pagine, troviamo la prima analisi critica dei vangeli, condotta nello spirito dell’Illuminismo e quindi fatta esclusivamente con il criterio della ragione umana, unica fonte di verità e attendibilità. Poiché alla luce della sola ragione umana non si possono vedere le verità di fede, queste vengono semplicemente negate. Il primo risultato clamoroso di questa indagine critica è la negazione della resurrezione di Cristo.
Reimarus non si limita a negare la resurrezione, ma la attribuisce ad un progetto di disinformazione messo in atto dagli apostoli, che non si rassegnavano al grosso abbaglio che avevano preso, fidandosi di Gesù. Così avrebbero inventato la resurrezione come copertura del loro errore e della delusione che ne seguì. Dal Reimarus prende così inizio quella figura interpretativa del ‘Gesù della storia e del Cristo della fede’. Essa ha avuto una fortuna straordinaria, perché ha accompagnato gli studi esegetici e teologici fino ai nostri giorni. C’è una netta e radicale separazione e contrapposizione tra storia e fede. Gesù è una cosa, il Cristo è un’altra totalmente diversa. La storia ci parla di Gesù, analizzando i documenti che ci sono pervenuti. La fede invece inventa e interpreta i fatti, senza alcuna possibilità di fondarli, perché essa presenta un mondo che non esiste.
Sulla base di queste premesse razionalistiche non c’è la possibilità di fondare alcuna escatologia, alcun discorso sulle realtà ultime che stanno dinanzi a noi e oltre questa storia. Ma lo sviluppo della ricerca successiva seguì altre strade, perché, dopo un secolo di studi approfonditi, tutti dedicati alla storia di Gesù, si dovette concludere onestamente, anche se amaramente, che la sola storia di Gesù, razionalisticamente elaborata, non portava a nulla di concreto. Infatti, i racconti evangelici su Gesù non sono una elaborazione razionalistica, ma risultato di una lettura di fede.
Alla fine del secolo XIX, lo studioso tedesco P. Weiss aveva indicato come il contenuto originale e l’anima dei vangeli fosse proprio l’escatologia. A queste indicazioni si agganciò A. Schweitzer, divenuto in seguito celeberrimo per la sua azione umanitaria nel Gabon. In un libro che gli diede tanta notorietà: ‘La storia della ricerca sulla vita di Gesù’ tracciò il percorso da Reimarus fino a Wrede, studioso suo contemporaneo, come Weiss. La conclusione cui giunse e che elaborò, fu la stessa dei suoi due colleghi, appena nominati: l’anima dei vangeli è l’escatologia, come annuncio e attesa del regno di Dio.
Ma la conclusione di Schweitzer è paradossale. Egli rimane nell’ambito di una ricerca razionalistica; afferma la validità del principio ermeneutico o interpretativo escatologico, ma ne sostiene l’inconsistenza, perché quel futuro regno di Dio non esiste. E ne dà una dimostrazione serrata. Gesù è l’annunciatore dell’imminente venuta del regno di Dio. Con questo proclama inizia la sua predicazione in Galilea, ottenendo subito grande successo. Ma le cose cambiano ben presto, infatti comincia e poi cresce l’opposizione dei capi contro la predicazione di Cristo. Essa raggiunge il suo massimo a Gerusalemme, dove si conclude con la condanna a morte. Sulla croce Gesù aspetta l’ultimo intervento di Dio, che però non interviene e così Gesù muore solo, abbandonato dagli uomini e da Dio. Il regno da lui annunciato non è venuto, perché non c’è; è solo un’illusione.
Tuttavia l’esempio di Gesù è da imitare. Una cosa sono le sue aspettative religiose, coerenti con il suo mondo ebraico; altra cosa è la sua scelta di vita, che l’ha portato a condividere il destino dei poveri, dei malati, dei rifiutati. Così lo Schweitzer lascia gli studi e la cattedra di teologia per scegliere gli studi di medicina, specializzarsi in medicina tropicale e partire per Lambarenè, nel Gabon, dove si impegna nella cura dei lebbrosi. Così la categoria religiosa del regno di Dio, diventa una categoria antropologica, in pura e unica dimensione orizzontale. Lo Schweitzer è dunque un sostenitore della escatologia realizzata, ma in prospettiva terrena, nella solidarietà umana.
D’ora in poi, la linea escatologica nella lettura dei vangeli sarà una costante, anche se varieranno continuamente i contenuti di questa lettura, da una visione terrena ed immanente ad una celeste e trascendente. Dopo la prima guerra mondiale un grande impulso a questa linea viene dato dalla teologia dialettica, elaborata dai due grandi capiscuola protestanti: R. Bultmann e K. Barth. Essi, culturalmente, provengono dalla scuola razionalistica e liberale di A. Harnack, ma se ne discostano immediatamente, il primo per l’impostazione esistenzialistica, ispirata a M. Heidegger, il secondo nel ritorno, attualizzato, alla teologia luterana, intesa nella sua ortodossia e quindi tenuta pura dalle incursioni illuministiche, idealistiche e positivistiche. Barth intende riportare la teologia alla purezza della fede evangelica, nella linea di M. Lutero.
I risultati cui pervengono questi due grandi protagonisti sono molto diversi, a motivo dei punti di partenza, dei principi ermeneutici. Bultmann traduce il dato evangelico nella prospettiva soggettivistica dell’esistenzialismo heideggeriano, riducendo l’escatologia alla decisione di fede del soggetto e considerandola compiuta e realizzata in quell’atto. In fondo, tutta la teologia bultmanniana, secondo molti suoi interpreti, è risoluzione soggettiva dei contenuti oggettivi della fede. In essa, il soggetto vive in pienezza quanto le formule datate dei vangeli propongono, così che la vita eterna è una condizione, forse autonoma, dello spirito umano.
Del tutto diversa ed opposta è la prospettiva barthiana. Egli riconosce il valore oggettivo delle verità di fede e su questa base, legge i vangeli ed analizza le decisioni dei concili dell’antichità, arrivando però ad una lettura decisamente e radicalmente escatologica di tutto il vangelo e ad un orientamento uguale di tutta la fede. In essa tutto è escatologia. Non è difficile comprendere questa impostazione, se si tiene conto dell’antropologia luterana, che svaluta ogni azione umana e punta tutto nella direzione della vita eterna, quando finalmente anche l’umanità sarà riconciliata.
Il caso più singolare della visione barthiana è la sua comprensione della pasqua di morte e resurrezione. Egli separa rigorosamente i due aspetti, in modo tale che la morte di Gesù appaia come la fine del mondo, non in figura, ma nella realtà. Con la morte di Gesù Dio ha chiuso definitivamente i rapporti con l’umanità, che ha fallito clamorosamente, non accogliendo il Cristo. La storia umana si conclude dunque con questo fallimento clamoroso e sarebbe la fine. Ma poi Dio ci ha ripensato e nella sua misericordia infinita e gratuita, ha dato un nuovo inizio alla storia, mediante la nuova creazione. A rigor di logica, questa nuova creazione non ha nulla a che vedere con la precedente e questo non è senza conseguenze e per l’umanità e per la sua storia. In pratica l’esistenza umana non conta nulla e tutto viene attribuito al primato della fede. Ci si può giustamente interrogare se la gratuità della fede richieda l’annullamento degli sforzi umani. Con questa posizione Barth si colloca giustamente fra coloro che aspettano la venuta del regno di Dio, dopo la resurrezione di Gesù, alla fine dei tempi, nella linea della escatologia conseguente.
(segue con bibliografia)