Paolo e la creazione di un mondo nuovo
di François Vouga *
L’attualità dell’apostolo Paolo è paradossale. L’occidente cristiano non finisce mai di regolare i suoi conti con colui che tuttavia considera come suo fondatore. La lettura stessa delle sue lettere è stata utilizzata fino al fraintendimento delle vere intenzioni di Paolo. Al punto che i valori in nome dei quali talora lo si rifiuta, sono proprio quelli che egli stesso ha introdotto nel pensiero religioso, filosofico, politico e sociale dell’occidente. Paolo crea nella storia la possibilità di una predicazione universale e inventa un concetto moderno dell’io, soggetto libero e responsabile, in una società aperta, universalista e pluralista.
Nella discussione che intraprende circa le tesi di Louis Dumont sull’individuo, Jean-Pierre Vernant si allinea a Michel Foucault per proporre una distinzione operativa tra tre termini: l’individuo, che corrisponde alla valorizzazione di singole figure nel loro contesto sociale il soggetto, che caratterizza l’individuo che si esprime in prima persona e a proprio nome, e l'io, che designa la persona consapevole della propria interiorità e della propria unità. A ciascuna di queste diverse tappe corrisponde la comparsa di un nuovo genere letterario. Alla scoperta dell'individuo, il genere della biografia, a quella del soggetto, l'autobiografia, e a quella dell'io le confessioni e i diari personali. Classicamente si associa la scoperta dell'individuo alla lirica greca e quella dell'io alle Confessioni di sant'Agostino. In realtà, essa appare già in Paolo, non solo nei racconti autobiografici (Rm 7; Gal 1-2) e nelle sue riflessioni sull’apostolato (1Cor 1-4; 2 Cor 2-7 e 10-13), ma soprattutto, e fondamentalmente, nell'elaborazione e nei presupposti della sua teologia della giustizia (Rm 1-3; Gal 1-2). Questa scoperta dell’«io» come soggetto personale e come elemento costitutivo di ogni essere umano deriva da un esperienza personale, esperienza che è una rivelazione di Dio. Dio si è rivelato a Paolo come un Dio altro e questa rivelazione fa nascere una nuova identità dell'essere umano (Gal 2,10). Il riconoscimento di un altro come di un «io», e quindi come di un «tu», si pone come fondamento per una nuova forma di società, sconosciuta al giudaismo come al mondo greco-romano, caratterizzata contemporaneamente dal suo universalismo e dal suo pluralismo. La novità di questa società non consiste, ovviamente, nè nell'universalismo, che domina il mondo ellenistico e romano, nè nel pluralismo, che è un'acquisizione tanto per l’antichità greca quanto per il giudaismo, ma nell'associazione dei due. Una nuova comprensione della persona umana, risultato di una singolare rivelazione di Dio, fonda una nuova società, universalista e pluralista.
Conservatore o progressista?
Se si rimprovera sempre a Paolo il suo conservatorismo, è soprattutto per quello che è creduto il suo atteggiamento verso le donne nelle comunità. Si dimentica allora che la famosa ingiunzione che ordina alle donne di tacere nelle assemblee (1 Cor 14,33b-36) è stata aggiunta in occasione dell'edizione delle lettere di Paolo per preparare l'insegnamento di 1 Tm 2,8, e che questa aggiunta non ha altra motivazione che di correggere le consegne che lo stesso Paolo dà in ICor 11,2-16. L'apostolo è convinto che le donne abbiano, nelle celebrazioni cristiane, gli stessi diritti e le stesse libertà degli uomini - convinzione progressista se raffrontata alla maggioranza delle chiese del XX secolo. Egli ordina loro, per questioni di pudore, di non partecipare alla liturgia a capo scoperto.
Se si rimprovera parimenti all'apostolo dì essere autoritario, è da una parte per il fatto che egli dà se stesso come esempio, e dall'altra per la determinazione con la quale organizza le sue comunità. Ma le chiese di nuova fondazione non hanno altro punto di riferimento di fede cercata e vissuta che quella del loro fondatore, e soltanto una grande capacità di discernimento teologico permette di preservarle dal conformismo, cioè dall'adeguarsi al mondo antico circostante. Il rimprovero fatto a Paolo di essere settario è dovuto in gran parte all'intransigenza che egli dimostra verso qualche suo collega. È il caso in particolare della lettera ai Galati e della seconda ai Corinzi, in cui egli rimprovera loro di annunciare un vangelo diverso da quello di Dio che lui stesso ha predicato. Ma qual era la posta del dibattito? Poiché alcuni cercavano di restaurare l'antico ordine e le linee di divisione abolite dal vangelo, lo scenario rappresentato nella lettera ai Galati come pure nella seconda lettera ai Corinzi oppone la società aperta ai suoi nemici totalitari.
La scoperta dell'io e di una società aperta
Questi rimproveri di conservatorismo, di autoritarismo e di settarismo attirano paradossalmente l’attenzione su ciò che costituisce la forza e la novità dell'apostolo. Un avvenimento imprevedibile intervenuto nella sua vita induce Paolo non solo a rinunciare di colpo a tutto ciò che costituiva, sino a quel momento, la sua convinzione fondamentale, ma anche a sviluppare una visione di Dio e della persona, diverse da quelle del giudaismo e dell'ellenismo, e a metterle in pratica nelle comunità che egli ha creato. Per Paolo, la giustizia di Dio consiste nel riconoscere ogni persona per se stessa, indipendentemente dalle sue qualità e dalle sue appartenenze, e a suscitare in essa la consapevolezza di esistere come soggetto. Nella storia dell'occidente, ancor prima di sant'Agostino, Paolo inventa il concetto moderno dell'io, riflettendo su se stesso come individuo e soggetto responsabile della propria storia personale. Non si conosce alcun movimento missionario, nella storia della Chiesa antica, che abbia messo al lavoro così tanti collaboratori di così diversi orizzonti come la missione paolina. Paolo non lavora mai solo, ma sempre in collaborazione con partner autonomi. Collaboratori regolari, come Timoteo, associati occasionali, che hanno i loro propri progetti missionari, come Apollo (1 Cor 16,12), Prisca o Aquila. Altri ancora gli sono indirizzati o lo raggiungono per un tempo limitato o per attività particolari (come Tito, incaricato della colletta, 2 Cor 7,5-9,15).
Paolo è proprio l'inventore di quella che Karl Popper ha chiamato la «società aperta». La sua visione di Dio e della persona lo induce a fondare comunità nelle quali non ci sono più né giudeo nè greco, nè schiavo né libero, né maschio nè femmina (Gal 3,28). La vita politica e intellettuale greca forgia la sua identità prendendo le distanze dalla barbarie, mentre il giudaismo è fondato sulla certezza dell'elezione e di un'Alleanza che lo separano dai pagani. Dire che non c'è più né ebreo né greco, significa dichiarare finite le diverse forme di aggregazione di cui si servono i gruppi sociali per sottolineare la loro identità. Dire che non c’è più schiavo nè libero, significa denunciare il residuo di segregazione su cui si fonda l'ideologia universalista dell’impero romano. Dire che non c'è più uomo né donna, significa prendere le distanze dalle scuole filosofiche o dalle società locali, che ammettono solo membri maschi, ma significa anche porre in evidenza il pluralismo dell’universalismo paolino. Il fatto che non esista più distinzione fra uomo e donna non significa che non sussistano differenze: vi sono pure ebrei e greci, schiavi e liberi, uomini e donne, ma tutti sono riconosciuti come persone uniche. Questo universalismo pluralista si distingue dalle differenti forme, correnti, di universalismo centralista, che escludeva le persone e i movimenti non adepti del pensiero universale, sul modello del sincretismo internazionale del mondo ellenistico. L'universalismo pluralista di Paolo distingue anche forme diverse, non meno correnti, di pluralismo segregazionista fornito dalla concezione veterotestamentaria del popolo d'Israele.
Un racconto di rottura fondante e strutturante
Paolo ha affermato l'esistenza, in ogni individuo, di una persona indipendente dalle sue qualità e dalle sue appartenenze, ha inventato il concetto moderno dell' «io». La verità di cui era portatore ha dato forma, nei grandi centri urbani dell'impero romano, a comunità universaliste e pluraliste. Ma di dove gli vengono queste conoscenze? L’apostolo non ha ricevuto né appreso nulla dagli uomini (Gal 1,10-12), risponde dapprima Paolo. Primia affermazione: egli non deve niente a nessuno. In particolare, egli non deve nulla alla tradizione degli apostoli e dei testimoni di Gesù, i discepoli di Galilea non hanno nulla da insegnargli e, se egli si reca a Gerusalemme dopo due anni di attività missionaria in Arabia (Ga 1,17), è soltanto per conoscere Pietro (Gal 1,18). Se egli non deve nulla ai discepoli di Galilea, non si attende neppure da loro alcuna legittimazione. Il suo evangelo non ne ha bisogno, è il vangelo di Dio. È da Dio che egli trae la sua autorità, e la verità che egli deve portare agli uomini è una rivelazione di Dio (Gal 1,10-12.l5-17). Un individuo si pone come soggetto in prima persona di fronte alla tradizione ebraica e di fronte al mondo greco. La sua vocazione, elemento fondante, è portatrice della verità del vangelo di Dio.
Ma quali sono questo avvenimento e questo incontro che sono fondamento della chiamata dell'apostolo? La lettera ai Filippesi parla di un progresso nella conoscenza e di un'acquisizione di un nuovo stato di coscienza, inaugurato dalla comprensione di Gesù (Fil 3,4-11). Secondo la lettera ai Galati, Dio ha rivelato il suo Figlio all'apostolo (Gal 1,12-16). In I Cor 9,l e 15,8, Paolo riferisce di aver visto il Risorto e che il Risorto gli si è manifestato. Il contesto autobiografico della lettera ai Galati (Gal 1,13-2,21) descrive con maggiori particolari le ripercussioni di questo evento: il persecutore della Chiesa diventa apostolo dei pagani, perché nessuno è giustificato dalle opere della Legge (Gal 1,13-14.16-17; 2,16), e le comunità di Giudea, che non lo avevano ancora mai visto e che non lo conoscevano che di fama, rendono gloria a Dio per il successo della sua missione (Gal 1,21-23). Questo racconto ci permette di cogliere dal punto di vista teologico la frattura che dà forma alla storia personale dell’apostolo. Per Paolo il fariseo, Gesù non poteva essere che un trasgressore della Legge ed un maestro eretico, condannato alla crocifissione e maledetto da Dio. Come Paolo ha conosciuto la storia di Gesù? In due modi: da un lato, i cristiani di Siria che egli perseguita quando si prendono a loro volta delle libertà nei confronti della legge ebraica si richiamano a Gesù; dall'altra, egli conosce Gesù attraverso la propaganda farisaica di cui trova l'eco nelle proposte critiche di Luca 7,33-35. Un crapulone ed un beone che mangia con i pubblicani e i peccatori. La visione o rivelazione del Risorto pone Paolo dinanzi ad un dilemma radicale: o la Legge è veramente rivelazione di Dio, come ha avuto la certezza sino a quel momento, ed è allora giusto che Gesù sia stato condannato e maledetto, oppure il crocifisso è il Figlio di Dio - o è rivelato da Dio come suo Figlio - e allora Dio non può essere il Dio della Legge. La rivelazione di Dio e l'apparizione del Risorto non pongono semplicemente Paolo dinanzi ad un'alternativa, ma Dio prende posizione e risolve il dilemma. Egli rivela il Figlio, si manifesta Padre del Crocifisso. Tutto ciò che segue deriva da questo fondamentale incontro.
La giustizia di Dio, fondamento del rispetto della persona
«Dalle opere della Legge non sarà giustificato nessuno» (Gal 2,16). Questa formulazione paolina è stata molto offuscata dalle discussioni che ha sollevato. Dapprima nella lettera di Giacomo (Gc 2,14-26), poi nei dibattiti della Riforma e della Controriforma. Tra «la giustificazione attraverso le opere della Legge» e «la giustificazione attraverso la fede in Gesù Cristo», Paolo non contrappone fede e opere, ma Gesù Cristo e Legge. E ciò che Paolo designa con «giustificazione attraverso le opere della Legge» non è né un tentativo di autogiustificazione davanti a Dio - è evidente, per un ebreo, che solo Dio giustifica - né un tentativo di meritare la propria giustificazione attraverso qualche opera o qualsivoglia merito. «Le opere della Legge», nella discussione condotta dalla letteratura, designano la circoncisione come marchio simbolico dell’identità ebraica e dell'appartenenza al popolo eletto. «Giustificato attraverso le opere della Legge» significa di conseguenza riconosciuto e considerato da Dio. Ma «giustificato attraverso la fede in Gesù Cristo» significa riconosciuto e amato da Dio in quanto persona, indipendentemente dalle sue appartenenze e dalle sue qualità. Si ama una persona per le sue qualità, o indipendentemente dalle sue qualità? Domanderà Blaise Pascal. Tale è esattamente la domanda suscitata dall'evento capitato nella vita dell'apostolo.
La Croce, proclamazione dell'uomo senza qualità
La definizione della Croce di Paolo, come manifestazione di Dio nel doppio evento della morte e della risurrezione di Gesù, trasforma il soggetto in una creatura nuova (Gal 6,13). La Croce lo autorizza e lo invita a prendere coscienza del sé e della sua identità individuale. Essa riconosce e crea la persona indipendentemente dalle sue qualità e dalle sue appartenenze. Ora, attraverso questa trasformazione, attraverso le distinzioni che essa opera e attraverso l'essere nuovo cui la Croce dà vita, essa fa dell'essere umano un «io» libero di cercare e di ricevere il senso della sua esistenza, capace di decidere, di scegliere il proprio Dio e di scegliere se stesso, in quanto soggetto responsabile. La morte di Gesù rivela la possibilità di questa trasformazione la cui universalità non è sottoposta a condizioni: «Cristo ci ha liberato dalla maledizione della Legge divenendo per noi maledizione, perché è scritto [nella Legge]: “L'appeso è una maledizione di Dio” dichiara l'apostolo. Cristo è l'uomo nuovo e nostra liberazione. Egli è diventato, lasciandosi crocifiggere, l'uomo senza qualità per eccellenza. Uomo senza qualità che Dio ha risuscitato e rivelato come suo Figlio perché Dio non è un Dio che riconosce e ama l'essere umano per le sue qualità, le sue origini, le sue appartenenze o le sue lealtà. Se Dio, come Paolo ne ha fatto esperienza, non è il Dio della Legge, ma il Dio del Crocifisso, trasgressore della Legge, che mangiava con i pubblicani e i peccatori, allora la buona notizia della giustizia di Dio non è legata all'elezione e alla Legge, ma è destinata ad ogni persona che sia pronta ad intenderla e a metterla in pratica.
La fede come fiducia
Si comprende ora ciò che Paolo intenda con l’espressione ambigua «fede di Gesù Cristo» o «fede in Gesù Cristo». Non è certamente questione di reintrodurre attraverso l'espediente di una professione di fede cristologica un criterio di appartenenza che qualifichi la persona. Se così fosse, Cristo sarebbe proprio morto invano, e il mondo antico non sarebbe stato sostituito che da un mondo nuovo dello stesso ordine. Ciò che fa nascere la creatura nuova, è in primo luogo la giustificazione attraverso la fede «di» Gesù Cristo. Ciò che costituisce l'essere nuovo, il soggetto in prima persona, consapevole della propria identità in ragione dell'amore e dell'incondizionata riconoscenza di Dio, è la stessa confidenza che vi era in Gesù Cristo quando mangiava con i pubblicani e i peccatori, e affermava di rendere in questo modo presente il Regno di Dio. Questa fiducia fondatrice di Colui che Dio ha rivelato come suo Figlio fonda ormai la fiducia dei figli di Dio. Così, l'affermazione secondo la quale nessuno sarà giustificato. «se non dalla fede in Cristo» (Gal 2,16) non significa nient'altro che questo: il Dio di Paolo ci chiama a vivere della fiducia nella fiducia, ed questa che crea il soggetto responsabile della Promessa. Essa fonda il riconoscimento del prossimo come soggetto in prima persona e come un altro «io», cioè come un «tu». La responsabilità e la grazia di questo riconoscimento reciproco fondano la creazione di una società nuova, universalista e pluralista.
* Professore di Nuovo Testamento, Kirchlische Hochshule Bethel si Bielefeld (Germania)
(da Il mondo della Bibbia, 53)