Formazione Religiosa

Martedì, 05 Febbraio 2008 23:32

«Mio Signore e mio Dio» (Bruno Maggioni)

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«Mio Signore e mio Dio»

di Bruno Maggioni






Nei racconti evangelici della risurrezione non manca mai un accenno al «dubbio» dei discepoli. Per esempio, Matteo scrive: «Vedendolo lo adorarono, altri però dubitavano» (Mt 28,17). E nel Vangelo di Luca si legge: «Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?» (Lc 24,36-38).

Dal dubbio alla fede

L’evangelista Giovanni, però, ha preferito concentrare il tema del dubbio e del suo superamento in due scene contrapposte (prima l’incredulità e poi la fede), sviluppandolo attorno a un solo personaggio: l’apostolo Tommaso. La tesi principale è senza dubbio teologica: approfondire il rapporto fra il vedere e il credere, la fede del gruppo apostolico e la fede della comunità successiva. Giovanni non tratta il tema concettualmente, ma narrativamente com’è sua abitudine.

Gesù risorto appare la prima volta al gruppo dei discepoli assente Tommaso (20,19-23). Al ritorno di Tommaso i discepoli gli dicono: «Abbiamo visto il Signore»(20,25). Dicendo «il Signore» i discepoli mostrano di riconoscerne la profonda identità: Gesù è il Signore vivente e presente nella comunità.

Una maturazione, dall’inizio alla fine

Non basta ritenere che il Crocifisso è tornato alla vita. Occorre capire che ora è il Signore entrato in una vita e in una condizione che appartengono a Dio.

Così è la vera fede.

C’e’ dunque una differenza notevole fra quest’esclamazione e la prima dei discepoli che si legge in 1,41: «Abbiamo trovato il Messia».

- All’inizio i discepoli riconoscono che Gesù è il Messia, alla fine egli è il Signore.

- All’inizio trovano, alla fine vedono.

- All’inizio non sanno che il Messia sarà crocifisso, alla fine comprendono che il Signore risorto è il Crocifisso. Lo riconoscono, infatti, non dal volto o da altro, bensì dai segni della croce.

L’idea di messia è così doppiamente cambiata: il Messia è il Signore, il Messia è il Crocifisso.

Tommaso non si lascia convincere dalla visione che gli altri discepoli hanno avuto. Egli vuole personalmente vedere e toccare. Ma quando poi Gesù ricompare per la seconda volta e lui è presente, non si dice che Tommaso abbia toccato né le mani né il costato trafitto. In questa seconda scena tutto si concentra sul dialogo fra Gesù e Tommaso. Gli altri discepoli assistono silenziosi.

«Il mio Signore»

Nelle parole di Gesù c’è un rimprovero: «non continuare a essere incredulo [così il verbo greco nella forma dell’imperativo presente], ma diventa credente». Tommaso a questo punto riconosce il Risorto, un riconoscimento pieno, il più alto ed esplicito dell’intero Vangelo: «Il mio Signore e il mio Dio». La confessione di Tommaso non esprime soltanto il riconoscimento ma l’appartenenza, lo slancio e l’amore. Non dice: «Signore Dio», ma: «Il mio Signore e il mio Dio». La presenza dell’articolo nel testo greco suggerisce anche la totalità dell’appartenenza. Si potrebbe parafrasare così: «»Sei il mio unico Signore e il mio unico Dio.

La fede sul fondamento dell’ascolto

«Beati quelli che senza aver visto hanno creduto»: è questa la vera beatitudine del Vangelo. Beato è chi crede senza pretendere di vedere. Con la fede di Tommaso si apre una nuova tappa nell’itinerario della fede: credere senza vedere. Quando l’evangelista scriveva il suo Vangelo erano già molti coloro che credevano senza aver visto. Forse è per questo che il verbo è al participio aoristo, come se si riferisse a una situazione già sperimentata («Hanno creduto»).

Dalle poche cose dette si può comprendere che la scena dell’apparizione di Gesù ai discepoli presente Tommaso assume grande importanza, divenendo il punto di passaggio dalla visione alla testimonianza, dai segni all’annuncio. Si apre sul tempo della Chiesa. Credente è ora chi, superato il dubbio e la pretesa di vedere, accetta la testimonianza autorevole di chi ha veduto. Nel tempo di Gesù visione non deve più essere pretesa: basta la testimonianza apostolica. Il che non significa che ora al credente sia preclusa ogni personale esperienza del Risorto. Tutt’altro. Gli è offerta l’esperienza della gioia, della pace, del perdono dei peccati, della presenza dello Spirito. Ma la storia di Gesù deve essere accettata per testimonianza. L’esperienza apostolica, in sostanza, risulta di due elementi: la visione storica (non più ripetibile) e la comunione di fede con il Signore (sempre possibile e attuale).

Il primo elemento è trasmissibile per via di testimonianza, come una memoria fissata e fedelmente raccontata. Il secondo si pone, invece, come fatto perennemente contemporaneo, aperto quindi all’esperienza diretta e personale di tutti coloro che accolgono l’annuncio.

(da Parole di Vita)
Letto 3646 volte Ultima modifica il Giovedì, 20 Marzo 2008 23:47
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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