Il quarto vangelo
e i vangeli sinottici
di Claudio Doglio – Roberto Vignolo
Le principali differenze
Anche se gli elementi comuni non mancano (alcuni racconti, logia, citazioni dell’Antico Testamento, brevi parabole, espressioni metaforiche, sentenze e proverbi), esistono pure delle grandi differenze fra Giovanni e i Sinottici. Vediamo le più rilevanti.
- Nel quadro geografico e cronologico. Il ministero di Gesù secondo Giovanni abbraccia il periodo di tre feste pasquali, quindi sembra durare circa tre anni, mentre nello schema sinottico si parla di una sola Pasqua, riducendo il racconto a un solo anno. Per i Sinottici Gesù comincia la missione in Galilea e va una volta sola a Gerusalemme. In Giovanni, invece, Gesù va continuamente avanti e indietro dalla Galilea a Gerusalemme, dove quasi tutto il racconto viene ambientato.
- Nel modo di presentare i miracoli. I gesti prodigiosi raccontati da Giovanni sono chiamati «segni» (semeia), sono in numero di sette (probabilmente simbolico) e appartengono quasi esclusivamente a questo Vangelo: 1) le nozze di Cana; 2) la guarigione del bambino dell’ufficiale; 3) la guarigione del paralitico della piscina di Betzatà); 4) la moltiplicazione dei pani; 5) il cammino sulle acque; 6) la guarigione del cieco nato; 7) la risurrezione di Lazzaro. Solamente due sono comuni con i Sinottici: la moltiplicazione dei pani ed il cammino sulle acque.
- Nel modo di presentare l’insegnamento. In Giovanni abbiamo lunghi discordi di controversie e di insegnamento, mentre i Sinottici hanno in genere antologie di brevi logia indipendenti, anche se Matteo ha raccolto il materiale in grandi discorsi, di fatto si tratta sempre di compilazioni in cui è evidente l’origine autonoma dei vari detti; invece nel quarto Vangelo si trovano molti discorsi, lunghi e organici, strutturati in modo complesso e retoricamente valido.Vari tentativi di spiegazione
Come spiegare queste somiglianze e differenze tra Giovanni e i Sinottici? Per risolvere questo problema sono stati proposti almeno tre schemi di soluzione:
1) i Sinottici dipendono da Giovanni;
2) Giovanni dipende letterariamente dai Sinottici;
3) Giovanni deriva da una tradizione indipendente che sta alla base anche dei Sinottici.
È inimmaginabile che Giovanni abbia determinato i Sinottici proprio per questione di tempo. Rimangono quindi le altre due possibilità che prendiamo in considerazione.
Nell’antichità i Padri pensavano generalmente che Giovanni dipendesse in qualche modo dai Sinottici. Ma da tale presupposto nasce un altro problema: se Giovanni conosce i Sinottici perché ha scritto un Vangelo così diverso? Nella tradizione patristica sono già state formulate tutte le risposte possibili, riprese poi variamente anche dagli autori moderni:
- Giovanni ha scritto il suo Vangelo per completare quello che avevano detto gli altri evangelisti (ipotesi del completamento);
- Giovanni ha aggiunto molti discorsi allo scopo di evidenziare e interpretare meglio il messaggio teologico che nei Vangeli sinottici non era chiarissimo (ipotesi dell’interpretazione);
- Giovanni voleva superare l’aspetto materiale per arrivare all’annuncio spirituale (ipotesi del superamento);
- Giovanni aveva il desiderio di sostituire i Vangeli sinottici ritenendoli per qualche motivo non validi (ipotesi della sostituzione).
Oggi, tuttavia, l’opinione più sostenuta supera tutte queste varie ipotesi di rapporto coi Sinottici e preferisce sostenere che Giovanni derivi da una propria tradizione indipendente, eppure chiaramente ancorata alla predicazione apostolica più antica. Tutto ciò che è diverso si può spiegare in quanto parte dell’ambiente culturale giovanneo e appartenente all’autentica tradizione dell’apostolo. Così Giovanni utilizza uno schema narrativo proprio, mentre i Sinottici riproducono tutti uno stesso antico canovaccio narrativo.
Possiamo, in conclusione, ritenere improbabile che Giovanni dipenda letterariamente in modo diretto dai Sinottici; le concordanze si possono spiegare con la tradizione orale; ma la tradizione giovannea risulta autonoma nel suo complesso. Una certa conoscenza del contenuto della tradizione sinottica esiste, ma deriva da elementi che possiamo definire «pre-sinottici». Nel quarto Vangelo, infatti, esistono indizi di un’antica tradizione su discorsi e fatti della vita di Gesù, simile nella forma e contemporanea a quella sinottica; con la sua esposizione, però Giovanni persegue un fine suo proprio, che è la chiave migliore per spiegare il sorprendente rapporto di riflessione teologica, è necessario riconoscere che la tradizione giovannea contiene non poche informazioni complementari attendibili sotto l’aspetto storico.
Modelli a confronto: i prologhi dei Vangeli sinotticiProponiamo, come esemplificazione, un confronto a proposito del mondo di iniziare il racconto evangelico nei Sinottici e in Giovanni.
Stimato fin dall’antichità a ragione quello più recente, il quarto Vangelo doveva conoscere i tentativi già attuati dai suoi colleghi sinottici di produrre una testimonianza scritta della storia singolare di Gesù, proprio perché non si perdesse la memoria di questo evento rivelatore e vivificante, e perché i credenti, in stragrande maggioranza tagliati fuori dalla contemporaneità storica con Gesù, disponessero delle testimonianze adeguate per conoscerlo nella sua autentica identità salvifica, e non ricercarlo a vuoto. Senza pretese di trascrivere tutto su Gesù (così 21,25, con buona pace di At 1,1!), ma pure senza complessi d’inferiorità per il proprio limite, Giovanni dichiara che
Molti altri segni fece Gesù, sotto gli occhi dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate vita nel suo nome (20,31).
Giovanni non è, quindi, il primo ad aver affrontato il dilemma di come e da dove cominciare un Vangelo. Sicché, per apprezzarne le scelte con cui aggancia il lettore per offrirgli un’adeguata chiave della persona di Gesù, converrà, quindi, confrontarci con i prologhi di Marco, Matteo e Luca.
Il prologo evangelico più antico (Mc 1,1-15)
Rispetto al più antico Vangelo di Marco, che esordiva con: «Inizio (archè) del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio…» (Mc 1,1), Giovanni condivide con il suo «In principio», condivide addirittura lo stesso primo sostantivo (archè).
Ma intorno a questa preziosa somiglianza verbale si accumulano non poche differenze, sia sull’idea stessa di «inizio/principio», sia sulla maniera di organizzare il prologo. Allargandosi vistosamente con un inno di ben diciotto versetti, Giovanni infatti si discosta dal più antico Vangelo di Marco che in senso diametralmente opposto preferiva piuttosto ridurre e nascondere il proprio prologo.
Cocendo il titolo iniziale (Mc 1,1) su di una citazione di compimento a propria volta direttamente assimilata al corpo del racconto: «Come è scritto nel profeta Isaia: “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, t’addrizzate i suoi sentieri”» (Mc 1,2-3; cf. Ml 3,1; Is 40,3), Marco presenta subito Giovanni il battezzatore (1,4-8) per arrivare speditamente al battesimo di Gesù di Nazareth viene a ricevere dalle sue mani (1,9-11), prima di soggiornare nel deserto ( in compagnia di fiere, Satana, e angeli: 1,12-13), sospinto dallo Spirito, e poi di predicare in Galilea (1,1-15) e chiamare i primi discepoli (1,16-20). Marco ha fretta di metterci a più diretto contatto possibile con Gesù già adulto, impegnato nella sua vita pubblica a rispondere alla propria missione.
Mc 1,1-15 parte davvero di scatto, con un’accelerazione in medias res, che in un attimo ci immette nel vivo della storia, avviata con la solidarietà di Gesù al battesimo predicato da Giovanni. Come gli altri penitenti immerso anche lui nel Giordano per mano del suo precursore, misteriosamente partecipe di questo richiamo (kerigma) alla conversione, egli fa di questo evento ben più di un semplice spunto iniziale, assumendolo come un «principio», una sorta di «nucleo originario» anticipatamente comprensivo del suo Vangelo, la quintessenza sia della sua stessa predicazione, come pure come di quella post-pasquale (ecclesiale) su di lui.
Di fronte al battesimo di Giovanni (1,1-8) e a Gesù che, risalendone, ottiene pieno riconoscimento dal Padre (1,9-11.13), il lettore subisce un impatto di sconcertante rivelazione e inaudita profondità salvifica. Sapendo egli già chi sia Gesù (1,1), e conoscendo pure la promessa di Giovanni circa la venuta di uno più forte, a immergere nello Spirito (1,7-8), egli si vede invece arrivare un Gesù imprevedibile sottomesso al battesimo di penitenza, in corrispondenza con il quale riceve la teofania celeste, con lo Spirito e la voce del Padre («Tu sei il mio figlio prediletto: in te mi sono compiaciuto!»: 1,9-11).
Ma proprio a questo punto, ecco le sue cognizioni e predisposizioni sottoposte a uno sconvolgente effetto sorpresa: se infatti Gesù è «più forte» del Battista, perché mai si sottopone al suo battesimo, come gli altri peccatori? Sovente spacciato per un vivace racconto di gusto popolare ( il che è parzialmente vero), e perciò ingenuo ( questo invece è solo un pregiudizio esso stesso ingenuo), quello di Marco è in realtà un imponente racconto kerigmatico, perfino difficile da recepire col suo impatto mozzafiato che intreccia gli eventi compiendo ogni preventiva attesa con le spiazzanti sorprese di misteriose rivelazioni, la cui trafila corre sull’intera narrazione, e culmina nell’annuncio di Pasqua (16,1-8).
Da dove far cominciare la storia di Gesù?Pur nella sua potenza kerigmatica il prologo marciano, però, non ha evidentemente soddisfatto gli altri tre suoi colleghi evangelisti. Matteo, Luca e Giovanni optano infatti in senso diametralmente opposto rispetto a Marco, tanto per forma quanto per contenuto. E così, se dal punto di vista letterario, invece di un prologo «nascosto», ne elaborano uno di proporzioni vistosamente accentuate; dal punto di vista contenutistico retrocedono invece con la memoria ben oltre il battesimo di Gesù adulto al Giordano, cercando radici più antiche della sua storia, in ordine a una sua identificazione più chiara tramite l’esplicitazione della sua misteriosa origine.
Ancorché fattore irrinunciabile al Vangelo (menzionato già nelle più sintetiche formulazioni kerigmatiche di At 10,37; 11,16; 13,24-25; 19,3-4), il battesimo di Giovanni non si impose come indiscutibile punto di partenza storico-narrativo della storia di Gesù, in quanto rispetto alla sua identità quell’inizio/principio ne offriva un’immagine di difficile decifrazione e perfino equivocabile (almeno fuori dalla stretta cerchia di Marco). Confrontando il più antico incipit marciano con quelli degli altri Vangeli viene da concludere ragionevolmente che nel cristianesimo primitivo dovette prodursi un intenso ripensamento critico circa la maniera di raccontare la storia di Gesù proprio relativamente all’ identificazione del suo inizio/principio. Per render ragione della sua identità, da dove far cominciare la storia di Gesù?
A questa semplice domanda, quanto impegnativa domanda Mc 1,1-15 rispondeva con la teofania prodottasi al battesimo di Gesù, riconoscendovi la manifestazione della sua relazione filiale a Dio, relazione unica, garantita dai cieli squarciati, dalla discesa dello Spirito dalla voce celeste. Irriducibile a semplice investitura (o vocazione) profetico-messianica di Gesù, quella relazione (al momento nota solo a lui, e coincidente col cosiddetto «segreto messianico» destinato a un drammatico svelamento), rimanda ben oltre la circostanza del Giordano, e presuppone, dal punto di vista di Marco, una cristologia se si vuole grezza, ma nient’affatto «bassa.
Sta di fatto comunque, che, raccontata così, quella sua immersione al Giordano generò qualche imbarazzo per le comunità primitive, poiché si prestava a un duplice equivoco: sia quello di un Gesù palesemente inferiore al profeta suo precursore (il dialogo di Mt 3,14-15 cercherà di scioglierlo), sia quello di un Gesù che solo all’uscita dalle acque sarebbe appunto diventato Figlio di Dio, senza esserlo precedentemente, secondo la riduttiva interpretazione nota come adozionista ed ebionita, che i successivi Vangeli, ciascuno a suo modo, si premurano di controbattere.
Un nuovo inizio, secondo Matteo e LucaComprendiamo allora la tendenza di Matteo, Luca (e Giovanni) a spostare all’indietro l’origine di Gesù, retrocedendo anche cronologicamente fino a un altro evento in cui far brillare la consistenza della sua relazione a Dio con inequivoca trasparenza. Questo appunto ci inducono a pensare i cosiddetti Vangeli dell’infanzia (Mt 1-2; Lc 1-2), nonché lo stesso prologo giovanneo.
Così dall’età adulta di Gesù Matteo e Luca si spingono indietro, fino alla sua preannunciata nascita e concepimento verginale da Maria a opera di Spirito Santo, per rimarcare com’egli non aspetti certo il battesimo al Giordano per diventare Figlio di Dio, dimostrando di esserlo fin dal suo stesso concepimento.
Ecco allora il prologo matteano ( per limitarci a Mt 1,1-17) intitolato «il libro della genealogia di Gesù Cristo, figli di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1), e successivamente articolato in una genealogia discendente (1,2-17) ispirata alla tradizione sacerdotale e cronistica. Questo molto ampio prologo genealogico, esplicitamente storico-salvifico (che interfaccia un uditorio giudiaco-cristiano, ma universalistico, con tanto di pagani annessi), si connette bene all’origine e nascita singolari di Gesù ( 1,18ss), conferendo alla sua successiva storia uno sfondo di robustissimo spessore. Fissandone gli inizi da lontano (Davide, Abramo) e dall’alto (Figlio di Dio), Gesù viene situato al singolare incrocio tra promessa orizzontale e pura grazia verticale, tra la discendenza abramitica e diretta potenza pneumatica (1,19ss). Significativa chiave d’interpretazione dell’identità di Gesù è la distorsione finale dell’abituale formula genealogica dove, a differenza degli altri generati, tutti collegati in linea maschile («Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe…») compare Maria, su cui non interviene un uomo: « Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, chiamato il Cristo»: 1,16), bensì lo Spirito («Ciò che fu generato in lei, viene da Spirito Santo»: 1,22).
Per illustrare l’origine di Gesù, anche Luca inserisce una genealogia, ma solo dopo il battesimo (Lc 3,21-22.23-38), e riagganciando Gesù indietro fino ad Adamo e a Dio stesso («Figlio di Adamo, figlio di Dio»). Inoltre, ispirato alle convenzioni degli storiografi antichi, e rivolto a un uditorio di raffinata cultura ellenistica, apre con un breve proemio storico-letterario ( Lc 1,1-4), dove si mantiene piuttosto riservato sul contenuto salvifico-cristologico della sua opera. D’altronde Luca rompe subito ogni reticenza con il suo ben arrangiamento dittico tra Giovanni Battista e Gesù, confrontati in chiave tipologica e secondo il genere delle vite parallele ( che sarà prediletto da Plutarco), a partire dall’annuncio della loro missione pubblica (Lc 3-4), per entrambi portatrice di rivelazione profetica. Il concetto di archè è invece da lui riferito all’inizio della vita pubblica di Gesù (Lc 3,23) come pure all’inizio della missione ecclesiale (At 11,15).
Il prologo giovanneoDa parte sua Giovanni apre invece con un prologo innico, di stampo sapienzale (Gv 1,1-18). Contando sul potere maggiorato di quel linguaggio poetico, laudativo (e canoro) cui Israele affida le proprie migliori espressioni di fede nel suo Dio, Giovanni più d’ogni altro elabora le potenzialità di un prologo ben spiccandolo rispetto al corpo successivo del racconto, ma anche mantenendo narrativamente e contenutisticamente omogeneo al successivo sviluppo, senza mortificare quest’ultimo. Se infatti per Gv 1,1-18 parliamo d’un prologo innico, un vero e proprio prologo narrativo sarà riconoscibile nella prima sezione del Vangelo (1,19-2,12), comprendente la testimonianza del Battista (1,19-34), la sequela/ricerca dei primi discepoli (1,35-51), fino alle stesse nozze di Cana (2,1-12). Qui all’inizio dei segni di Gesù, coincidente con la prima manifestazione della sua gloria, determinante la prima fede dei discepoli come gruppo (2,11), fissa una bella inclusione sull’idea di inizio (1,1; 2,11), chiudendo così la prima unità letteraria maggiore, magnifica ouverture del quarto Vangelo, comprensiva d’un prologo poetico e di uno narrativo, insieme formanti un unico intenso preludio della storia di Gesù.
In tal senso prologo poetico e successivo racconto giovanneo stanno tra di loro in un rapporto così descrivibile:
Non è solo il Prologo che ha bisogno del Vangelo, ma è anche il vangelo che ha bisogno del Prologo, perché, fin dall’inizio, si veda chiaramente di chi si tratta quando è in questione Gesù. Il genere del Vangelo, in quanto racconto della storia di Gesù. Il genere del Vangelo, in quanto racconto della storia di Gesù, si caratterizza per un punto di partenza preciso e per una fine precisa. Spesso si è fatto notare che il Vangelo di Giovanni radicalizza la questione del punto di partenza rispetto agli altri Vangeli. Non comincia con la comparsa del Battista (Marco), né con il racconto della nascita di Gesù (Luca), né con una specie di genealogia (Matteo), ma situa l’inizio nell’inizio primordiale, prima ancora della creazione, cioè in Dio stesso. La questione del punto di partenza della storia di Gesù è la questione della sua origine. Ora, la questione della sua origine è nello stesso tempo la questione della sua identità. La questione dibattuta nel Vangelo - da dove questo Gesù trae origine? (cf. 7,27-28; 8,14; 9,29.30; 19,9) – è l’equivalente della questione: chi è questo Gesù? Il mistero dell’origine di Gesù, che è quello della persona stessa di Gesù, è svelato nel Prologo.
(da Parole di vita, 6)