MINUCIO FELICE
di Lorenzo Dattrino
Della sua vita abbiamo alcune notizie da Girolamo: «Minucio Felice, distinto avvocato in Roma, scrisse un dialogo, in cui riporta una discussione tra un cristiano e un pagano, intitolato Octavius (Ottavio). Sotto il suo nome circola pur un altro libro Sul destino o contro i matematici; ma per quanto sia opera d’uomo di talento, non mi sembra concordi nello stile con l’opera già menzionata. Minucio è altresì ricordato da Lattanzio nelle sue opere». (1)
Indubbiamente il nostro uomo appartenne a un’età compresa fra gli ultimi decenni del Il secolo e gli inizi del III. Sembra ormai accertato che la sua patria fu l’Africa, (probabilmente Cirta, oggi Costantina, Algeria). Presto egli si portò a Roma, dove esercitò l’avvocatura. Era dapprima pagano: si ignora se la sua conversione avvenisse prima del suo arrivo nella capitale dell’impero, oppure dopo.
L’opera, intitolata Ottavio, si presenta in forma di dialogo, svolto da parte di tre intimi amici: Cecilio Natale, pagano; lanuario Ottavio, cristiano e Minucio Felice, arbitro tra i due interlocutori. L’occasione che diede motivo alla discussione fu un bacio che Cecilio, il pagano, aveva indirizzato, come espressione di religioso ossequio, alla statua di Serapide, davanti alla quale erano venuti a trovarsi i tre amici, mentre compivano una loro serena passeggiata lungo la strada che da Ostia portava a Roma.
L’opera si articola nelle seguenti parti: dopo una breve introduzione (cc. 1-4), ecco un’esposizione del paganesimo, dichiarata con piena convinzione da parte di Cecilio (cc. 5-13). Interviene allora Ottavio con una risposta di ben maggiore convinzione in difesa del cristianesimo (cc. 14-38)
Il carattere di quest’opera è strettamente apologetico. Specialmente in passato essa è stata oggetto di indiscussa ammirazione. Rimangono tuttavia alcuni problemi ancora insoluti. Resta dubbia innanzitutto una prima questione: il dialogo è realmente avvenuto, oppure è opera d’una mera finzione letteraria? I critici rilevano, nella struttura dell’opera, la presenza di due orazioni abilmente introdotte dall’autore stesso e poi collegate fra loro, così da risultarne un dialogo.
Dopo tutto, lo scrittore si sofferma poco sulla trattazione dei dogmi e sui principi essenziali della fede cristiana, come tale. Egli sa che di fronte al suo obiettore deve difendere il cristianesimo più nella sua parte esteriore che non per la profondità dei suoi dogmi. Pertanto «le ragioni delle caratteristiche dell’opera di Minucio vanno ricercate nell’epoca in cui l’autore visse, come pure nell’educazione e nel carattere della sua mentalità, ben diversa dal carattere e dalla mentalità di un Tertulliano». (2) Quella che egli intende difendere e valutare è la vita dei cristiani, ben più che il complesso dottrinale della loro fede.1) Girolamo, De viris illustribus, Torino 1971 (trad. di E. Camisani), p. 166
2) U. Moricca, Letteratura latina, I, pp. 84-85.
Per l’approfondimento
Edizioni
L 3,231-360; CSEL 2.1-71
Traduzioni
E. Paratore, Minucio Felice: Ottavio, Bari 1971; L. Rusca, Minucio Felice: Ottavio. Contraddittorio tra un pagano e un cristiano, Milano 1957
Studi
E. Paratore, La questione Tertulliano-Minucio, ha «Ricerche Religiose» 18 (1947), 132-159; I. Vecchiotti, La filosofia politica di Minucio Felice, Urbino 1974 Girolamo, De viris illustribus, Torino 1971 (trad. di E. Camisani), p. 166 U. Moricca, Letteratura latina, I, pp. 84-85.