Teologia africana
Incisività cercasi
di Bénézét Bujo
Studiare e insegnare teologia – come pure scrivere libri in materia – non è un lusso o un motivo di vanto, ma un ministero ecclesiale. Che va curato, rafforzato e apprezzato.
Teologia come ministero
«Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune» (1 Cor 12, 4-7). In una comunità cristiana ci sono apostoli, profeti, maestri, operatori di miracoli, guaritori, leader…..: sono tutti indispensabili per un armonioso andamento delle cose.
ministero è di governare la chiesa locale. Per fare ciò, ha bisogno di collaboratori. Tra questi figura il teologo, che studia, indaga, analizza, elabora, propone, scrive….. La sua opera va offerta al vescovo, il quale è chiamato ad ascoltare, giudicare, decidere….. Più teologi un vescovo ha, meglio saprà condurre la chiesa locale.Temi teologici
Il ministero di teologo va oggi compiuto nel contesto africano del 21° secolo. Un contesto che ha molte dimensioni, tuttora profondamente permeate dalla cultura africana. E superficiale affermare che la mentalità tradizionale è stata spazzata via della modernità. Essa, invece, dà forma al modo di pensare, sentire e agire delle nostri genti. Basti pensare alla diffusa credenza nella stregoneria, all’importanza data ai riti di guarigione, alle diverse concezioni del matrimonio….. Il nostro compito di teologi è quello di ascoltare la nostra gente per scoprirne l”anima” africana.
L’attenzione non dovrà perdersi nell’esame di particolarismi etnici, ma concentrarsi sulla ricerca del vero centro dell’universo simbolico africano, che è comune a molti gruppi. Così, potremmo diventare sempre più consapevoli del modo in cui i vari popoli dell’Africa nera possono dare vita a un dialogo culturale. E’ mia convinzione che il dialogo tra le diverse culture africane risulterebbe più facile di quello tra esse e quelle non africane. Un esempio: invece di presentare all’africano Adamo come antenato, per poi presentare Cristo come “secondo Adamo”, è più sensato sviscerare il concetto africano di antenato per poi “inculturarvi” la fede in Cristo “Proto-antenato”.
Anche il dialogo ecumenico tra le varie denominazioni cristiane risulterebbe più fecondo, se fosse più radicato nella cultura africana. La venerazione degli antenati è un ottimo punto di partenza per una comprensione del mistero della comunione dei santi accettabile anche dai protestanti. E il ruolo riservato a Maria, in quanto Madre di Dio, sarebbe più comprensibile, se visto sullo sfondo dell’importanza attribuita alla madre, “sorgente di vita”, nelle culture africane.
Linguaggi teologici
Se vogliamo che la teologia fatta in Africa diventi veramente africana, dobbiamo cominciare a insegnarla e scriverla nelle nostre lingue, usando concetti e simbologie locali. Le accezioni africane di “padre”, “madre”, “fratello-sorella”, “figlio-figlia”….., non sono quelle occidentali. Quando noi parliamo di “famiglia”, intendiamo una realtà che difficilmente europei e nordamericani capirebbero. Un esempio: l’attuale codice di diritto canonico ammette matrimoni tra due persone imparentate (fino a un dato livello) che le culture africane considerano autentiche unioni incestuose.
Anche il linguaggio riguardante la povertà va rivisto. Per la mentalità africana, povera è soprattutto la persona che “non-è-con” l’altro o gli altri, priva, cioè, di relazioni. In molte lingue nostre non esiste il verbo “avere”, ma soltanto l’”essere con” (kuwa na, kuzala na, kü na…,dove na sta per “con”). Tutto ciò che ci circonda non è lì per essere da noi posseduto, ma per invitarci a creare sempre nuove relazioni. Il possesso individualistico è totalmente fuori posto.
Il linguaggio va ricreato anche a livello di liturgia, omiletica, preghiere... In tutto ciò, è indispensabile che i vari modi di espressione siano liberi di offrire i propri contributi. A questo fine, è auspicabile che nelle facoltà africane di teologia si creino dipartimenti di linguistica. Non possiamo più farne a meno, se vogliamo dare ascolto all’appello lanciatoci da Paolo VI nel lontano 1969, a Kampala: «Africani, voi potete e dovete avere un cristianesimo africano».
(da Nigrizia, febbraio 2006)