Alla base delle difficoltà che il nostro Paese incontra, nell'ambito dell'attuale mercato globalizzato, vi è la crisi dell'innovazione tecnologica e, più radicalmente, della creatività. La conferma viene da una recente indagine del Word Economic Forum che, su un totale di 104 nazioni prese in esame (ovviamente quelle più economicamente avanzate) colloca, nel 2004, l'Italia al 45 posto a proposito della capacità di sviluppo (nel 2003 era al 28°) e al 103 per gli ostacoli dovuti alla burocrazia. Se a questo si aggiunge il 48° posto nella classifica riguardante gli interventi pubblici a sostegno delle imprese che investono in ricerca e in innovazione - la Francia è al nono posto - si ha un quadro preciso (e allarmante) delle ragioni della situazione di stagnazione (o di vera e propria recessione) che il nostro Paese sta attraversando.
La capacità di stare sul mercato, in un contesto di concorrenzialità internazionale sempre più accentuata e minacciosa - si pensi soltanto al ruolo destabilizzante della Cina - è oggi legata allo sviluppo della creatività e dell'innovazione, che risultano da noi, se si fa eccezione per il settore della moda (peraltro anch'esso in fase critica), in uno stato di grave regressione. Il vero capitale di un'azienda è dato dalle conoscenze e dall'intelligenza dei suoi uomini, dalla disponibilità cioè a mettersi continuamente in discussione, individuando nuovi percorsi produttivi nella prospettiva di una costante apertura al futuro.
La creatività esige tuttavia, per venire potenziata, il verificarsi di condizioni personali e strutturali che ne favoriscano la piena espressione. Grande importanza riveste, al riguardo, il valore che ha società attribuisce alla elaborazione delle conoscenze - la scuola assolve (o dovrebbe assolvere), da questo punto di vista, a un ruolo essenziale - nonché l'abitudine al lavoro interdisciplinare e di équipe: la creatività esige, infatti, accanto a una forte determinazione soggettiva, il confronto costante tra intelligenze diverse e diverse competenze.
Si deve aggiungere - e non è cosa di poco conto - che la sua crescita implica l'apertura a una ricerca, che non venga compressa entro le maglie (troppo strette) di una finalizzazione immediata e strumentale, ma sappia coltivare la passione per la conoscenza, ricuperandone l'intrinseco significato. Come osserva infatti Paolo Legrenzi (Creatività e innovazione, Il Mulino, Bologna 2005) il perseguimento diretto e costante di obiettivi di mera strumentalità, che costituisce una delle insidie più comuni in una società efficientista come la nostra, finisce per tarpare le ali alla vera ricerca, spingendola in un vicolo cieco.
L'assenza della creatività come fenomeno sociale allargato è un dato allarmante, che denuncia il farsi strada di una società nella quale si è perso il gusto per la bellezza della conoscenza in sé e dove tutto sembra dover essere valutato secondo un criterio utilitaristico, alla fine perdente. La reazione a tale atteggiamento può venire soltanto dall'attivazione di nuove forme di impegno sociale e dalla maturazione di una nuova sensibilità e di una nuova cultura.
Sul primo fronte - quello sociale è necessario lavorare perché vengano fornite strutture adeguate e incentivi personali a chi manifesta particolari attitudini e perché soprattutto si affermi nella società l'apprezzamento per la ricerca e la capacità di valutarne riflessi positivi per la vita collettiva,
Sul secondo fronte - quello strettamente personale - è importante agire, in modo sempre più incisivo, sulle coscienze, facendo crescere la consapevolezza dell'alto valore delle conoscenze nei vari settori del sapere, non solo per la loro diretta applicazione allo sviluppo economico-sociale, ma anche (e soprattutto) per l'arricchimento che da esse viene alla crescita interiore dell'uomo. In gioco non vi è soltanto il futuro del nostro Paese ma, più radicalmente, il destino dell'uomo, la cui promozione implica un sempre maggiore potenziamento del senso critico e della creatività: presupposti oggi più che mai necessari, in una società contrassegnata da una crescente omologazione culturale, e dunque minacciata dal pericolo di una radicale espropriazione dell'identità dei singoli e della diversità delle soggettività sociali e culturali.
Giannino Piana
(da Jesus, gennaio 2006, p. 73)