E’ preghiera riflettere sul mistero del proprio essere? E’ preghiera l’atto di chi ammira la grandezza dell’universo o cerca di comprendere il significato della propria esistenza? Certo, questi sono atti fondamentali dell’uomo, in essi egli esprime la sua dignità e la sua dinamica verso il vero ed il bene, ma non si può definire tutto ciò preghiera.
Le tre note indispensabili per la struttura interna di chi sperimenta la realtà della preghiera sono:
- Fede in un Dio personale vivente
- Fede nella presenza reale di Dio
- Fiducia che il Dio che ci ha parlato e continua a rilevarsi ascolterà la nostra preghiera.
Queste tre condizioni costitutive della preghiera si verificano ovunque vi sia religione autentica. Ciò però non esclude che i concetti possano non essere così chiari. Può accadere che qualcuno si dichiari panteista mentre in realtà prega e considera Dio come un “tu”. Dove si prega con fiducia e con fede viva, là vi è la presenza dello Spirito di Dio. E la grazia di Cristo non rimane assente, anche se chi prega non conosce né Gesù né il mistero della Trinità.
La preghiera cristiana
“Davanti a Dio non vi è preferenza di persone” (Rm 2,11). Parlando dunque di carattere specifico della preghiera cristiana, non dobbiamo farne motivo di vanto davanti ai non cristiani. S’impone però la meditazione sui molti motivi di riconoscenza per la vocazione riservataci e la conseguenza di rendere una testimonianza attraente e convincente della nostra preghiera. Il cristiano che prega sa quale è la vita eterna: conoscere Dio come Padre del Signore Gesù, riconoscere Cristo come vero Dio e vero Uomo, mediatore fra noi ed il Padre, e credere nello Spirito Santo che prega in noi.
- ABBA, PADRE! – Ogni preghiera di qualsiasi tempo raggiunge il suo apice in Cristo, il quale chiama Dio onnipotente “Padre” in modo unico. Il suo “Abba, Padre” risuona nei cuori degli apostoli, ed è con questo nome che Gesù ci invita e ci insegna a rivolgerci a Dio. Il Risorto a Maria Maddalena dice: “Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17). Noi crediamo soltanto in un Dio personale, Creatore onnipotente, ma lo adoriamo e amiamo come Padre, nostro e del Signore Gesù. Questo ci da una fiducia unica, ma non dimentichiamo che egli è “nei cieli”, che cioè si tratta del Dio santo, mentre noi siamo le creature, non di rado, purtroppo peccatrici. Quanto più siamo consapevole del peccato, tanto maggiori saranno non solo il nostro timore ma anche la gratitudine, la gioia e la beatitudine nella preghiera.
Cristo ha reso visibile il Padre. Ma la nostra preghiera non potrà unirsi con la sua nell’invocare il Padre se non ci uniremo anche all’amore da lui manifestato verso tutti gli uomini.
Ciascuno di noi sta davanti a Dio con un nome irripetibile, ma per trovarlo dobbiamo vivere la solidarietà di salvezza che esprime la nostra fede nel Padre nostro e nel Cristo, solidarietà di salvezza incarnata.
- PREGHIERA IN CRISTO E A CRISTO - In Cristo il Padre ci si fa vicino e si manifesta come “Dio con noi”. E’ì solo in Cristo che possiamo osar dire “Padre nostro”: E’ Cristo che ci dà il coraggio di pregare con fiducia, è da lui che impariamo l’adorazione di Dio in spirito e verità, e questa adorazione vale in quanto ci unisce alla sua e viene offerta in suo nome. La preghiera cristiana ha la sua base non solo nella fede in Cristo, ma anche nella conoscenza di lui.
- CREDO NELLO SPIRITO SANTO – Noi adoriamo Dio perché guidati dallo Spirito (Vedi Romani 8/15-16).
E’ lo Spirito che ci da la sapienza ed il gusto della preghiera; ci rende vigilanti ed attenti verso i segni dei tempi, che poi sono i segni della presenza di Dio.
Presenza – Ascolto di Dio
Dio è sempre presente ma questa presenza è più recepibile e trasformante se preghiamo. Perché nella preghiera diventiamo consapevoli di Lui.
Ricordiamo che l’iniziativa è sempre di Dio, è Lui che per primo chiama, che fa il primo passo. L’esperienza mistica dei santi è caratterizzata dalla consapevolezza di questa iniziativa, e tanto più grande sarà il progresso della vita spirituale dell’uomo quanto più attento e grato egli diventerà per il dono che gli viene fatto.
Sarebbe un errore attribuire l’iniziativa ed il carattere gratuito solo ai fenomeni soprannaturali. Per l’uomo di preghiera ogni cosa porta il marchio dell’iniziativa divina ed invita alla lode, alla gratitudine ed all’adorazione. Dio parla mediante le realtà create. Tutto è creato nel Verbo: ogni opera Dio è una parola, un messaggio, un dono ed un invito alla riconoscenza ed alla gioia. Certo, lo sappiamo, l’atto di ammirazione di fronte alla bellezza del creato non può dirsi preghiera, ma nondimeno è indispensabile per il suo sviluppo. Difatti quanto più la persona progredisce nella preghiera, tanto maggiore si fa la sua ammirazione per il creato, perché tutto le parla della grandezza, della maestà, della sapienza e della bontà di Dio. Ogni cosa è parola di un Padre che coi suoi doni ci chiama alla solidarietà, alla giustizia ed alla carità fraterna. Per questo il cristiano gioisce nella visione dell’evoluzione del mondo, perché tutto viene portato avanti e diventa messaggio per mezzo del Verbo eterno ed in vista dell’incarnazione.
L’iniziativa più inaudita del Padre è l’incarnazione del Verbo eterno in Cristo Gesù. Questo Verbo risuona in ogni opera creata, in tutti gli eventi di bontà, di giustizia, di bellezza e di gioia autentica. “Il Verbo si fece carne ed abitò fra noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che come unigenito egli ha dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). Questa iniziativa del Padre tanto più esige la nostra gratitudine e la nostra adorazione quanto più siamo coscienti della nostra indegnità. Dio ci ha amati da prima, da quando eravamo peccatori; la sua iniziativa, immeritata, dà un tono preciso alla preghiera dei fedeli: questa è amore riconoscente; un amore che deve essere degno di quello con cui Dio ci ha prevenuti nell’incarnazione, nella morte e nella risurrezione del suo Cristo. La presenza del Verbo eterno fattosi carne è grazia ed appello a permeare ogni pensiero ed ogni azione di un amore che in qualche modo possa corrispondere a quello di Dio. Ogni parola ed opera di Dio riceve splendore e forza attrattiva se viene considerata in vista del Verbo incarnato. “Perché in lui sono state create tutte le cose nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili … tutto è stato creato da lui e per lui” (Col 1,16-17).
Cristo non è soltanto la parola definitiva e completa del Padre – parola in cui viene dato il significato di ogni opera – ma è anche la risposta perfetta. Nella sua umanità, unita al Verbo eterno, Cristo risponde in nome dell’intero creato, anche in nome nostro. E così egli si fa per noi grazia e obbligo di unione con lui e di trasformazione della nostra vita per farne risposta autentica e piena, grata e solidale, nella sua salvezza, a misura della sua risposta che, nel sangue, fu espressione suprema di solidarietà.
La preghiera specificamente cristiana è marcata dal fatto che Dio non si esprime mai con parole vuote, ma la sua parola è efficace, è evento, è opera visibile; dunque la preghiera del cristiano non può mai dissociarsi dalla storia della salvezza e dagli eventi e deve inserirsi come parola che porta frutto nella carità, nella giustizia, nella creatività e nella fedeltà.
Un modo della presenza attiva di Dio, indicato nuovamente nel Vat II, sono i segni dei tempi. Per chi non crede e si rifiuta di prestare il proprio cuore all’ascolto, il libro della storia è un libro sigillato e privo di significato. Ma per il cristiano che conosce Cristo e lo riconosce Signore della storia, gli eventi diventano parola potente che sollecita una risposta solidale.
Nella sensibilità per i segni dei tempi e nella vita solidale e responsabile si trova il carattere proprio dei cristiani, regno di sacerdoti. Questa dimensione rende evidente l’impossibilità che la preghiera cristiana si riduca ad una semplice recitazione di formule. Davanti al credente rimane sempre la prospettiva, il programma del “Padre nostro”. Esso è vita, è integrazione fra fede e vita nella vigilanza verso i segni dei tempi e nella prontezza di una risposta personale e solidale.
La sacra scrittura è in modo privilegiato parola di Dio. Non può esser meditata o dare profitto senza una disponibilità alla risposta. Non scordiamo che la scrittura racconta la storia del rapporto di Dio con il genere umano e di questo genere umano – fatto di santi, di profeti e di peccatori – con Dio. Essa perciò parla a quanti rimangono inseriti volentieri in questa storia e sono disposti ad esserne co-attori con Cristo e con i santi.
Lo studio scientifico della scrittura rende un servizio prezioso alla stessa preghiera [Esperienza spirituale nella bibbia; parola di Dio; Salmi] e ad una vita che le si ispira perché aiuta a comprendere la dinamica della storia della salvezza e la concrete circostanze in cui Dio parla e sollecita una risposta esistenziale ed orante. Chi legge la bibbia soltanto nella speranza di riceverne consolazione, senza esser disponibile a corrispondervi come co-attore della storia salvifica, tronca la dinamica della parola divina e vede sfumare la propria meta. Ma neppure chi studia il testo sacro criticamente senza uno spirito di preghiera si trova su quella lunghezza d’onda che consente di coglierne l’autentico significato.
Ciascuno, almeno per una volta nella sua vita, dovrebbe sentire l’esigenza di leggere la bibbia intera con speciale attenzione, perché essa c’insegna ad ascoltare e a rispondere con tutta la nostra vita; allora essa sarebbe per lui ciò che deve essere: una scuola di preghiera.
Dobbiamo imparare a pregare come Cristo ci ha insegnato e come i grandi santi della nuova alleanza hanno sperimentato. Prima di leggere la scrittura, poniamoci alla presenza di Dio in piena coscienza e ricordiamo che per mezzo di essa il Signore vuole parlarci ed invitarci alla risposta in ogni circostanza nella quale si trovi la nostra vita. Se non riflettiamo sul significato della parola che ci viene rivolta e sulle esigenze che essa ha per la nostra vita, allora non si tratta di lettura e di ascolto autentico.
Ed infine, l’uomo, immagine di Dio, ci svela il volto di lui se noi avviciniamo il prossimo con un amore generoso e disinteressato. Se accogliamo l’altro sperandone una eventuale ricompensa, non avviene una trascendenza vera dell’io verso l’altro. Ma se serviamo umilmente il povero riconoscendo il suo diritto ad averci solidali nella sua dignità e nella sua miseria, allora ascoltiamo davvero la voce di Dio che viene dall’alto e, insieme, dal basso. Questo è uno dei pensieri centrali della filosofia e della teologia di Emmanuel Levinas: “L’altro come tale si manifesta nella dimensione dell’alto e del basso, in un abbassamento glorioso: l’altro ha il volto del povero, dello straniero, della vedova, dell’orfano; egli è un maestro che mi chiama a impegnare e giustificare la mia libertà”.
Chi riconosce nel povero la dignità ed il diritto di esser amato ed aiutato, trascende il proprio io e diventa persona in dialogo, mentre nell’altro compare l’invito, il più glorioso ed urgente, a rispondere. Rispondendo in questa maniera al povero si risponde a Dio e si perviene ad una conoscenza più profonda della trascendenza divina, condizione necessaria per una preghiera specificamente cristiana.
Ed infine a titolo di conclusione ricordiamo e facciamo nostra la famosa frase del giovane Samuele: “Parla Signore che il tuo servo ti ascolta”.
Al fine di facilitare l’apprendimento pratico esperienzale della preghiera la Redazione di
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