IL "SEGNO" DI CANA
Padre Alberto Valentini
La pericope di Cana (Gv 2,1-11[12]), inserita in posizione strategica all'inizio del quarto vangelo, è brano qualificante della letteratura giovannea, la più tardiva e matura del Nuovo Testamento, particolarmente densa di riflessione teologica e di simbolismo cristologico. Qui, più che altrove, il racconto è al servizio del messaggio.
Non che gli scritti giovannei trascurino o prescindano dalla storia; in essi, tuttavia, gli eventi hanno una portata "simbolico-sacramentale": nascondono e manifestano al tempo stesso le realtà divine che il Verbo fatto carne - proveniente dal Padre - rivela e comunica. Con Lui irrompe nel mondo la vita eterna, e la condizione umana è investita e trasfigurata dalla gloria di Dio.
Eventi, azioni, gesti e personaggi presentano, per conseguenza, un marcato orientamento teologico, più specificamente cristologico: sono al servizio della rivelazione e dell'opera del Figlio di Dio. In questa luce e in tale contesto va inserita e compresa anche la figura della madre di Gesù.
La tradizione giovannea - a differenza di quanto avviene in Luca - appare piuttosto sobria, quantitativamente, nei confronti di Maria: ne parla solo all'inizio (a Cana, appunto), al termine del vangelo (presso la Croce) e indirettamente in Apocalisse 12.
Ma, almeno per quanto concerne il Vangelo, è il caso di dire che la quantità è inversamente proporzionale alla qualità: nei due episodi - di Cana e della Croce - si tocca il vertice della riflessione neotestamentaria sulla madre del Signore. Ella non è più soltanto la credente e la madre di Gesù, ma - proprio in quanto credente e madre - è posta all'inizio e al termine del Vangelo, al servizio della fede e della vita dei discepoli. In tal modo ella è coinvolta direttamente e in maniera unica con la persona e l'opera del Figlio suo (cf LG 56).
La pericope delle nozze di Cana, nonostante i lunghi e numerosi studi, cela ancora ricchezze misteriose, quasi inesauribili. È un testo-chiave, ovviamente non solo per la comprensione della figura della madre di Gesù - oggetto particolare di questa nostra riflessione -, ma prima e più in generale per penetrare nel vangelo di Giovanni, per intenderne il messaggio recondito ed accedere alla sua straordinaria cristologia.
Dopo il fondamentale capitolo primo - comprendente il Prologo, la testimonianza resa a Gesù da Giovanni Battista e la chiamata dei primi discepoli (il tutto scandito da una sequenza precisa di giorni e di ore, importanti per la concezione giovannea) -, ecco, subito, all'inizio del capitolo secondo, la presenza della madre di Gesù. La pericope di Cana, lo ribadiamo, non riguarda in primo luogo lei, che pure vi è profondamente inserita. Proprio perché incastonata nel mistero della rivelazione del Figlio di Dio - nel contesto di realtà teologico-salvifiche grandiose - la figura della Vergine acquista un rilievo particolare. Ciò appare più chiaramente dal confronto di questo episodio con quello della madre di Gesù presso la croce (Gv 19,25-27). Posti all'inizio e al vertice del mistero-ministero di Gesù e dei "segni" che lo rivelano, i due brani formano una grande inclusione. Costituiscono, in certo modo, gli estremi in mezzo ai quali si svolge l'intera catechesi giovannea.
IL "PRINCIPIO" DEI SEGNI
Come si può già intuire, la ricchezza dell'evento di Cana è veramente notevole.
Il testo si apre con una determinazione di tempo e di luogo e si conclude parallelamente con un' indicazione spazio-temporale:
- v. 2, 1: "E il terzo giorno ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea...
- v. 2,11I: Questo fece Gesù come principio del segni in Cana di Galilea
- v. 2,12: Dopo questo discese a Cafarnao... e vi rimasero non molti giorni".
Un episodio inquadrato con tale cura e solennità non può essere una normale festa di nozze, ma un evento epifanico. Esso si svolge non solo nel tempo e nello spazio dell'esistenza umana, ma è inserito nei giorni, nelle ore e nello spazio stabiliti dal Padre. In tale ambito, e solo in esso, si svolge l'azione di Gesù, il quale è venuto non per compiere la sua volontà, ma quella di Colui che l'ha mandato (cf Gv 6,38). A dissipare ogni equivoco, del resto, giunge puntuale la voce dell'evangelista che, nel punto culminante del testo, spiega il senso dell'evento: "Questo fece Gesù come "principio" dei segni, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (v. 11).
Il "segno" è un azione o un prodigio compiuti da Gesù per rivelare la sua identità di Figlio di Dio e la sua presenza salvifica in mezzo a noi.
Cana è il "principio" dei segni che seguiranno: un archetipo, un segno-tipo che sta all'inizio, che prefigura e anticipa tutti gli altri, rivelandone il senso e la finalità. Non si tratta dunque di un semplice episodio, ma di un evento fondamentale, che inaugura la missione di Gesù e ne mostra, anticipandoli, gli estremi sviluppi. Con esso egli manifesta la sua "gloria", lo splendore e la dignità divina che aveva presso il Padre prima della creazione del mondo (cf Gv 1,1 ss; 17,5) e della quale sarà rivestito nella risurrezione. Il segno permette di contemplare la gloria, esperienza che conduce alla "fede": "e i suoi discepoli credettero in lui" (v. 11). Queste componenti fondamentali della teologia giovannea, segno-gloria-fede, mostrano come la pericope di Cana sia profondamente radicata nel quarto vangelo e ne annunci i principali sviluppi. Non saremo dunque stupiti quando, sotto termini ed eventi apparentemente comuni, vedremo emergere simbologie e realtà densissime.
Colpisce in particolare il fatto che il "principio" dei segni sia introdotto con la formula "il terzo giorno" (v. 1). Non si tratta, ovviamente, di un semplice dato cronologico: l'espressione, com'è noto, evoca il mistero della risurrezione, il "segno per eccellenza", nel quale si manifesta in pienezza la gloria del Figlio di Dio e i discepoli credono in lui. "Il terzo giorno" esprime ancor oggi la nostra fede nella risurrezione. Nel segno di Cana dunque un anticipo del grande segno, del mistero pasquale di Cristo e della novità che esso comporta.
"Il terzo giorno" non è solo profezia del futuro, ma anche memoria del passato, di un altro terzo giorno, nel quale Israele ricevette la Legge ai piedi del Sinai e l'accolse in atteggiamento di fedeltà (cf Es 19,10-11.16; 24,7), mettendosi al servizio di Dio e divenendo il popolo dell'alleanza.
In tale ampio e denso contesto di memoria e di profezia il quarto vangelo introduce "la madre di Gesù" (v. 1). La pericope, che inizia sottolineando la sua presenza, nel corso del racconto la indica ripetutamente con la stessa caratteristica formula (vv. 3.5.12). Come "madre di Gesù", nel v. 3, ella interviene presso il Figlio, segnalando una situazione divenuta difficile per la mancanza di vino al banchetto di nozze.
LA MADRE DI GESÙ, LA "DONNA" E L'"ORA"
Secondo lo stile comune ai personaggi giovannei (cf Nicodemo, la samaritana, il cieco nato...), la madre di Gesù inizialmente si colloca e parla su un piano umano, per così dire fenomenologico, come appare dall'espressione "non hanno vino" (v. 3). Gesù però la trasporta immediatamente ad un livello diverso e superiore, prospettandole un altro tipo di intervento e di presenza: "Che c'è tra me e te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora" (v. 4).
È una risposta enigmatica e, a prima vista, sconcertante, dalla quale emergono tuttavia rivelazioni preziose.
Chiamandola "donna" e non madre - come sarebbe stato naturale e logico - Gesù prende le distanze dal legami familiari, per affermare la sua identità e la sua missione. La risposta echeggia quella rivolta al "padre" e alla madre nel momento in cui, dopo dolorosa ricerca, lo ritrovano nel tempio di Gerusalemme: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo stare nella casa del Padre mio?" (Lc 2,49), e richiama le parole riferite dai sinottici circa sua madre e i suoi fratelli (cf Me 3,31-35; Mt 12,46-50; Lc 8,19-21). La carne ed il sangue devono cedere il posto ai progetti del Padre che è nei cieli e alle esigenze della fede.
D'altra parte l'appellativo "donna", come si è notato, verrà ripreso da Gesù nel testo parallelo della croce (Gv 19,26), e conferito ufficialmente a sua madre, per sottolinearne la nuova identità e il compito nei confronti del discepolo amato e dunque di tutti i discepoli.
Il termine "donna" solo presso la croce - nel mistero pasquale di Cristo acquisterà chiarezza e significato pieno, ma già a Cana rivela un senso positivo e nuovo, come si può arguire dalle parole che la madre di Gesù rivolge ai servi, in conseguenza dell'enigmatica, ma non negativa risposta del Figlio.
In ogni caso, Gesù rivendica un suo spazio anche nei confronti della madre e del suo iniziale intervento: non è infatti giunta la sua ora (cf v. 4).
L'"ora" è il tempo dell'evento pasquale di morte e risurrezione m cui il Padre e il Figlio saranno glorificati (cf Gv 13,31; 17, 1): a quell'ora è orientata tutta l'esistenza di Gesù. Indubbiamente si dà inclusione e tensione teleologica tra l'affermazione iniziale: "non è ancora giunta la mia ora" (Gv 2,4) e quella del compimento: "Padre, è giunta l'ora" (Gv 17,1). Tale ora, verso cui tutto converge, è determinata dal Padre e nessun altro ha il potere di anticiparla.
Dopo la risposta di Gesù, l'intervento di Maria - prima legato a una situazione contingente - si trasforma in invito ai servi a fare la volontà del Figlio: "Tutto quello che egli vi dica, fatelo!" (v. 5), formula che evoca l'antica professione di fedeltà all'alleanza (cf Es 24,7). Quelle parole, legate ad una fondamentale esperienza passata, introducono a un evento nuovo che a Cana si sta compiendo, ad un "segno" che rivelerà la gloria del Figlio di Dio.
SIMBOLO, MEMORIA E PROFEZIA
È sempre più evidente che l'episodio di Cana non è una semplice festa di nozze: tutto appare sacramentale e simbolico, e prepara altri gesti, come quello in cui Gesù moltiplica i pani per poi rivelare che vero pane è il suo corpo e vera bevanda il suo sangue (cf Gv 6,55). Tutto diviene simbolo, memoria e profezia: la festa nuziale è il segno della comunione di Dio con il suo popolo, nozze che si attuano in Cristo, sposo della Chiesa (si noti che nel capitolo seguente - in Gv 3,29 - il Battista si definisce significativamente "amico dello Sposo", il quale, evidentemente, è Cristo).
Nelle nozze c'è sempre un banchetto, e sulla tavola non può mancare il vino, elemento particolarmente sottolineato nel nostro brano (ricorre cinque volte sulle sei di tutto il quarto vangelo), il cui significato emerge in particolare dal contrasto con l'acqua. L'acqua di cui qui si parla è lustrale, usata per la purificazione dei giudei, componente rituale della legge antica. Essa viene trasformata nel vino nuovo, simbolo dei tempi messianici finalmente presenti, con la gioia che li caratterizza.
Il vino indica non solo i tempi messianici con la nuova legge e la festa concomitante, ma Cristo stesso. Il maestro di tavola, infatti, non sa "donde venga" (cf 2,9) - secondo il tipico linguaggio giovanneo, il mondo non sa "donde" venga Gesù -, a differenza del servi che, avendo eseguito ciò che egli ha detto, sono diventati suoi amici, ai quali tutto è stato rivelato (cf Gv 15,14s). L'architriclino non comprende come mai lo sposo (che in realtà è Gesù) abbia riservato il vizio buono fino a quel momento. La risposta è che i tempi messianici sono compiuti e lo sposo ha profuso in abbondanza i beni della salvezza.
L'evangelista può dunque concludere, rivelando l'eccezionale densità dell'episodio narrato:
- "Questo fece Gesù come principio dei segni in Cana di Galilea
- manifestò la sua gloria
- e i suoi discepoli credettero in lui" (v. 11).
In questo densissimo testo, Maria appare inizialmente come "la madre di Gesù": il titolo viene ripetuto quattro volte (vv. 1.3.5.12). Ma non è questo dato, tradizionalmente acquisito, che l'evangelista intende sottolineare: a lui preme mettere in rilievo la presenza della madre, la "donna" accanto al Figlio, al servizio della sua missione e della fede dei discepoli.
Da madre, ella diventa discepola di Cristo, passando da una richiesta contingente ("non hanno vino") ad una totale adesione di fede nei confronti del progetto salvifico e della rivelazione del Figlio; anzi ella assume un ruolo di mediazione - simile a quello di Mosè - a vantaggio dei servi del Signore e della loro fedeltà all'alleanza.
Come "donna", ella ha una missione - in continuità con l'antica "Figlia di Sion" - al servizio di tutto il popolo di Dio, come apparirà con maggior evidenza nella scena del calvario.
La madre di Gesù, per la sua fede-obbedienza, è anche la prima dei discepoli del Signore, di coloro che accogliendo la parola di Gesù costituiscono la comunità della nuova alleanza. Ella - insieme con questa comunità - è la vera sposa di Colui che, al di là dei simboli, è lo Sposo della chiesa e dell'umanità: Gesù, il Verbo eterno venuto nel mondo. Nel mistero della sua "ora" si realizzano le nozze escatologiche di Dio con il suo popolo.