Perché un progetto antropologico? Famiglia, lavoro e festa rappresentano tre indici molto significativi per testare lo spessore di una visione antropologica. Ma parlare di un progetto antropologico implica qualcosa di più di un rilevamento di dati sic et simpliciter: esige, infatti, un supplemento di proiezione verso il futuro, con un'espressa intenzionalità di incidenza sul sistema valoriale ed etico, nella cornice di un'esplicita visione cristiana.
L'urgenza e la rilevanza di un rinnovato progetto antropologico per il terzo millennio s'impongono per il fatto che la post-modemità, nella sua complessità, ha offerto elementi filosofici, etici e antropologici inediti e radicalmente altri rispetto alla concezione cristiana, quali ad esempio il nichilismo e il relativismo etico, con la conseguente proposta di legittimare, per esempio, unioni di fatto, non più basate esclusivamente sulla coppia uomo-donna, ma fondate anche su legami tra omosessuali, che aspirano a un riconoscimento giuridico e sociale.
Perché un progetto antropologico?
L'uomo post-moderno rischia di cadere nell'illusione di una soggettività autocentrata, per la quale le relazioni interpersonali con le diverse alterità non sono ritenute costitutive dell'identità personale, ma solo accidentali. Una tale visione riporterebbe a una concezione di stampo leibniziano, secondo cui ciascuno è una monade, in sé conclusa. Si rischia, in tal modo, di perdere tutta la ricchezza della lezione offerta dal personalismo di matrice cristiana, che propone un'identità personale, intessuta in maniera costitutiva delle relazioni con le alterità, e perciò non autoreferenziale.
La visione cristiana sviluppa una soggettualità e una centralità della persona che non rischiano le derive - oggi così diffuse - di soggettivismo e di forme talora patologiche di narcisismo. Tali diverse visioni incidono in maniera determinante sulla concezione dell'amore umano, della coppia uomo-donna e della famiglia.
Ma dopo 2000 anni di cristianesimo è ancora lecito parlare di un "progetto" antropologico? Non è stato detto e realizzato tutto quello che si poteva dire e concretizzare sull'argomento? La fede cristiana non è qualcosa di stantio, di desueto, di già consumato... È fede viva che genera progetti aperti, capaci di riproporre in ogni epoca, ad ogni generazione, in novità di linguaggi e di modalità, modelli e stili di vita rispondenti alle istanze culturali, senza ricadere nel rischio delle "mode".
Ci sono costanti, dettate dalla ricchezza della Sacra Scrittura, norma normans non normata, della tradizione e del magistero della Chiesa, che vanno coniugate con varianti, offerte dal divenire storico delle culture e delle istanze etiche e sociali emergenti. Perciò è richiesto ai cristiani un acuto senso di vigilanza e di discernimento, per elaborare proposte di pensiero e modelli di vita coerenti sia con la visione cristiana che con le esigenze e istanze emergenti.
È lo stesso principio d'incarnazione che esige un continuo inveramento, nelle diverse epoche storiche, della verità cristiana, che non è una dottrina statica ma è un messaggio fondato sulla persona di Cristo-Verità e, per ciò stesso, dinamico, sempre nuovo e aperto costitutivamente al futuro, perché orientato al compimento finale.
I veri cristiani, allora, mai possono essere laudatores temporis acti, ma piuttosto persone vive e sensibili, capaci di discernere insieme, di captare le istanze dei contemporanei e di elaborare, in modo profetico, anche per la più vasta comunità degli uomini e non solo per i credenti, proposte e modelli inediti, in una proiezione costruttiva verso il futuro.
Al centro la donna
Pensare un progetto antropologico per la famiglia del terzo millennio implica una riflessione critica, che faccia assumere qualche elemento, che si è rivelato determinante ai fini di una vera e propria rivoluzione culturale.
È il caso della questione femminile, che si è imposta con forza caratterizzando lo scorcio finale del secondo millennio. Il femminismo è stato - ed è tuttora - un fenomeno molto variegato a dimensione mondiale che, trasversalmente, ha unito donne di tutte le razze, culture, religioni, di ogni condizione sociale e di ogni età. L'istanza principale condivisa è stata quella di essere riconosciute come soggetti sociali a pieno titolo, sulla base di una sostanziale parità con l'uomo. Si è trattato di una vera e propria rivoluzione culturale, sociale e politica, i cui frutti sono maturati solo in parte nel secolo scorso, ma ancora dovranno manifestarsi nel nostro secolo.
Il cristianesimo - che pure è sempre stato portatore di un messaggio rivoluzionario, rispetto alle concezioni dei popoli antichi, riguardo alla eguaglianza fondamentale di tutti gli uomini - per questo problema si è ritrovato un po' "a rimorchio" della storia. La Chiesa a livello culturale si è lasciata, in alcuni casi, condizionare da ideologie di altra matrice, non attribuendo per secoli, in genere, alle donne tutto il valore di cui sono portatrici e non lasciando loro, conseguentemente, lo spazio di proficuo protagonismo che era giusto e necessario, privandosi in tal modo della ricchezza del carisma femminile.
Non è un caso che i Padri del concilio Vaticano II hanno avvertito il bisogno d'indirizzare uno specifico Messaggio alle donne nel 1965, per sdoganare la questione femminile, assumendola in buona parte e formulando per il futuro i presupposti per ridisegnare i contorni di un femminismo cristiano e cattolico.
Si trattava di ridire l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne, senza sacrificare la ricchezza della differenza, riaffermando la centralità insostituibile della donna nella famiglia, con la diversità di funzioni e di ruoli, valorizzando il rapporto tra donna e vita nascente, tra femminilità e ruolo educativo, senza rinunciare a proporre un inedito protagonismo sul piano culturale, sociale, economico e politico.
Tale messaggio, il primo della Chiesa espressamente rivolto alle donne, ha aperto la strada a ulteriori documenti magisteriali dedicati al mondo femminile: il più significativo per spessore biblico-teologico e per peso magisteriale è, senza dubbio, la Mulieris dignitatem del 1988, lettera enciclica offerta alla riflessione dell'intera Chiesa da Giovanni Paolo II sulla dignità della donna, cui è seguita, nel 1995, la Lettera alle donne indirizzata dallo stesso Pontefice all'universo femminile.
C'è nel pensiero di questo Papa una consapevolezza inedita della questione femminile e del valore della donna, e una volontà espressa di rivalutarne la ricchezza e la bellezza, per il bene dell'umanità e in vista della costruzione della civiltà futura. Il Papa ha confessato la responsabilità della Chiesa rispetto agli errori commessi nel passato nei confronti della donna, ma ha manifestato anche la chiara volontà di una sua piena rivalutazione rispetto alla complessità del presente e alla difficile costruzione del futuro.
Rimettere al centro la donna non vuol dire, però, riservarle uno spazio esclusivo, di stampo individualistico, quanto piuttosto inclusivo della figura maschile, in una ritrovata, più autentica reciprocità feconda e costruttiva. Non si tratta, dunque, di affermare un inedito protagonismo, come frutto di quello spirito di rivendicazione, che ha animato gran parte del movimento femminista e che ha provocato non pochi guasti nell'ambito della famiglia, della cultura e della società, soprattutto a causa della tendenza di molte donne a mascolinizzarsi. Si tratta piuttosto - dopo aver osservato e valutato i risvolti negativi di una società di stampo maschilista, che in vari modi ha emarginato le donne - di riformulare i fondamenti della civiltà presente e futura, a partire dalla centralità della persona e dalla rilevanza della ricchezza della coppia uomo-donna.
Lo spessore teologico e antropologico della coppia umana, creata a immagine e somiglianza del Dio- Trinità, così bene messo in luce da Giovanni Paolo II nelle Catechesi sull'amore umano sui capp. 1-3 della Genesi, rappresenta, in forza della teologia della differenza, la migliore garanzia per la costruzione di una società complessa, multietnica e multireligiosa, in cui le alterità siano integrate, come tasselli variegati di un unico mosaico, nella convivialità delle differenze.
Tale fondamento della reciprocità uomo-donna, se non rimane solo una questione dottrinale, teorica, ma viene assunto realmente nella prassi, rappresenta un elemento fortemente innovativo e creativo anche per la compagine ecclesiale, la cui ricchezza costituita dall'unidualità, costituisce uno dei più significativi contributi da offrire alla comunità civile.
Ripartire dal "genio femminile" per ridisegnare la famiglia e la società
Ripartire dal "genio femminile", per usare un'espressione coniata da Giovanni Paolo II, può costituire oggi una grande risorsa per il rinnovamento della famiglia, stretta nella morsa di una crisi economica mondiale, di un grave fenomeno di disoccupazione giovanile e non solo, di una preoccupante incertezza per il futuro, dì un degrado valoriale e morale che, accompagnato da un analfabetismo emotivo, intacca i legami di coppia, di un tasso di natalità bassissimo, di un'emergenza educativa del tutto inedita, di una questione ambientale allarmante, di un impressionante fai da te nell'ambito delle relazioni sia eterosessuali che omosessuali, col conseguente disorientamento delle giovani generazioni, in uno scenario che mostra una classe politica generalmente inadeguata.
1 Ripartire dalla donna, per il suo rapporto originario con la vita nascente, può significare dare un impulso alla riflessione, nell'ottica di un umanesimo trascendente, sulla vita in tutte le sue fasi. Si tratta di rilanciare, a livello sociale, tutti quei possibili dinamismi e servizi che possano garantire effettivamente la qualità dell'esistenza umana. Fare appello alle energie positive che si sprigionano da femminilità autentiche può essere un antitodo al dinamismo centrifugo delle famiglie, assicurandone l'unità in forma dinamica. La donna è capace, inoltre, se lo vuole in forza di un'opzione etica, di umanizzare gli ambienti di lavoro, liberandoli dalle derive del cieco carrierismo, della feroce concorrenzialità, secondo una concezione di un inarrestabile materialismo economico, restituendo all'opera lavorativa quella dignità che è propria della piena realizzazione delle qualità umane, ai fini dell'edificazione della società.
Alle donne, inoltre, si può chiedere di offrire un contributo al bene comune, riaffermando la soggettualità politica della famiglia con tutto il suo patrimonio relazionale e socio-economico, a condizione che l'esposizione femminile sul piano politico non sortisca, per l'assenza di un sistema valoriale, una sorta di degrado che ne faccia scadere, nell'opinione generale, la stima e il conseguente investimento per il futuro, come è talvolta accaduto.
2 L'altro versante, sul quale molto ci si può aspettare dall'impiego di risorse femminili, è quello dell'educazione e dell'istruzione, che, tradizionalmente, nel corso dei secoli, ha visto come principali protagoniste le donne, nella qualità di madri, insegnanti, educatrici.
Di fronte all'attuale, preoccupante disorientamento delle giovani generazioni è corretto invocare un supplemento d'anima nel compito educativo dall'apporto specifico delle donne, alle quali si richiede di essere al tempo stesso accompagnatrici e testimoni credibili e coerenti dei valori annunciati.
Rinnovare la famiglia, dunque, nel nostro tempo, esige una progettualità stabile e duratura che si esprima in una figura di matrimonio che rimetta, in un circuito virtuoso diffusivo tra famiglia e società, la ricchezza dell'amore autentico tra uomo e donna, amore costituito dall'intreccio inestricabile di éros e agape, come ha rilevato Benedetto XVI nell'enciclica Deus caritas est, amore che si dona a largo raggio e gratuitamente.
Una famiglia, così costituita, è davvero la cellula vitale della comunità civile: la sua autentica soggettualità sociale, economica, politica, culturale ed ecclesiale può offrire quel contributo impareggiabile per la costruzione di una nuova civiltà dell'amore.
Ina Siviglia
docente di antropologia teologica presso la Facoltà teologica di Sicilia e teologia del servizio alla Lumsa
Bibliografia
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Vita Pastorale, anno 2012, n. 3, pag. 83