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Giovedì, 03 Maggio 2012 08:24

Pedagogia della condivisione

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La pedagogia della condivisione, intesa a valorizzare la solidarietà e il contributo che ciascuno può dare al gruppo di cui è parte, può favorire una maggiore autostima fra gli studenti e consentire lo sviluppo di abilità relazionali e sociali in grado di migliorare notevolmente l'apprendimento scolastico.

 

Nella pedagogia della condivisione confluiscono i contributi di diversi studiosi esperti di economia, filosofia, pedagogia e psicologia, fra i quali non mancano coloro che stanno offrendo nuove idee per un miglioramento della scuola in Europa, a partire innanzitutto da un più attento orientamento del gruppo classe verso la cooperazione. Si tratta di ricerche che, nel tenere presenti gli importanti mutamenti sociali ed economici in atto dovuti alla crisi economica, offrono svariate proposte per favorire la qualità dell'istituzione scolastica, incrementando l'aiuto offerto a ogni studente nello scoprire i propri talenti e conseguire la propria autorealizzazione, all'interno di un clima classe sereno e animato da valori collaborativi.

Molti esperti sono d'accordo nel ritenere che la qualità della scuola dipenda dalla sua pregnanza culturale e formativa e che, nonostante le resistenze dell'attuale modello culturale ed economico orientato alla competitività e ora entrato in crisi, l'unico modo per avere una scuola di qualità sia puntare sulla cooperazione fra gli allievi e su una più attenta valorizzazione cognitiva e affettiva. Questo tiene conto sia dei mutamenti sociali in corso, sia delle nuove dinamiche caratterizzanti il mondo del lavoro, sempre più orientato verso modelli ed esperienze legate alla solidarietà e alla cooperazione fra i singoli e le organizzazioni.

Importanti studiosi della condivisione come Jeremy Rifkin, Alfie Kohn, Mario Polito, Andrea Braggio, Dario Arkel, sanno quanto sia forte oggi la contraddizione fra la valorizzazione di progetti pedagogici di apprendimento cooperativo effettuati all'interno di un clima classe rivolto alla condivisione e al sostegno dei suoi membri e la svalutazione che ricevono da una società in crisi d'identità, dove si respira costantemente un atteggiamento egocentrico di affermazione individuale, anche a scapito del prossimo. Notiamo spesso che si tende a presentare la vita come una lotta, con l'unico obiettivo di emergere, si esaltino i vincenti e si offendono i perdenti o si suggerisce che per emergere bisogna scalzare gli altri, che l'affermazione di uno consiste nella sconfitta e nell'esclusione di molti. Il modello culturale e sociale che è rimasto finora imperante e che ora sta fortunatamente tramontando, ha offerto una visione assai limitata e svilente della vita, concepita come una vera e propria scalata per poter raggiungere i posti più elevati superando ed escludendo gli altri. La scuola è così stata sovente concepita come luogo al servizio degli interessi economici incentrati sul profitto e sulla competizione di mercato, piuttosto che come luogo formativo per tutti, in cui ciascuno può, guidato da insegnanti ed educatori responsabili, dedicarsi all'esplorazione dei propri talenti e alla formazione delle proprie competenze professionali, culturali ed esistenziali.

Quello che risulta chiaro è che per gli studiosi sopramenzionati, tutti accomunati da un sincero desiderio di aiutare la scuola a uscire dalla grave crisi in cui si trova, la collaborazione fra gli studenti può essere preparata coltivando giorno dopo giorno, con amore e costanza, un buon clima di classe. Si tratta di riconoscere a ciascuno il bisogno di sentirsi importante, di valorizzare le sue risorse e competenze nel rispetto dell'unicità di ciascuno, promuovendo l'acquisizione di abilità sociali e interpersonali. La capacità di ascoltare gli altri, il fornire il proprio contributo alla riuscita di un obiettivo, il sentirsi responsabili verso il gruppo, il completare la propria parte di lavoro da intrecciare a quella degli altri, il chiedere aiuto quando si è in difficoltà, il dare aiuto a chi lo chiede, il ringraziare chi ci ha aiutati, il motivare le idee argomentative, il permettere a tutti di contribuire, l'imparare a decidere assieme, sono tutte abilità che possono essere coltivate a scuola grazie all'introduzione di una pedagogia della condivisione per la quale il lavoro scolastico non è finalizzato a produrre profitti, ma a facilitare la formazione di ciascuno in tutte le direzioni.

In Italia e nel resto d'Europa, i giovani necessitano di ricevere opportunità di educazione e di lavoro per sviluppare tutte le loro potenzialità, tutti i loro talenti, tutte le loro dimensioni. La pedagogia della condivisione nasce per rispondere alle esigenze di chi si riconosce sempre di meno nelle attuali decadenti strutture socioeconomiche, caratterizzate dalla competizione e dalla separazione fra le persone, da una visione utilitaristica e individualistica che se ne frega della solidarietà e del futuro delle nuove generazioni. Per quanto disastrose nei loro effetti, queste idee neoliberali potevano forse essere accettate meglio alla fine degli anni settanta, ma ora iniziano davvero a non avere più molto senso. In un mondo globale che sta cambiando radicalmente nei suoi valori di riferimento, la pedagogia della condivisione individua così la necessità di scegliere con una certa urgenza, ai fini di una vera promozione integrale della persona, fra la logica del profitto come criterio ultimo dell'agire e la logica della condivisione e della responsabilità collettiva, che è orientata verso uno sviluppo equo e sostenibile per il bene comune di tutti.

La pedagogia della condivisione nasce anche in risposta ai gravi problemi che le nuove generazioni stanno attraversando, dall'aumento della depressione fra i più giovani, al dilagare dei suicidi in età adolescenziale, dal senso di totale sfiducia nei confronti del futuro di genitori e figli, alla svalutazione della famiglia e della scuola, lasciate sempre più sole dalle istituzioni. Introdurre attraverso insegnanti ed educatori una concreta pedagogia della condivisione, intesa a valorizzare la solidarietà e il contributo che ciascuno può dare al gruppo di cui è parte, può favorire una maggiore autostima fra gli studenti e consentire lo sviluppo di abilità relazionali e sociali in grado di migliorare notevolmente l'apprendimento scolastico.

Alcuni studi sono ancora in corso, ma praticamente tutti coloro che si interessano di pedagogia della condivisione concordano nel ritenerla il sistema educativo del futuro, quello cioè in grado di formare i nuovi cittadini del mondo e di salvare la scuola dal disastro formativo e culturale in cui si trova attualmente. Questo sarà possibile anche grazie a una rivalutazione della figura degli insegnanti e degli educatori impegnati in aula, i quali non devono essere concepiti come modelli statici, il termine fisso del processo evolutivo degli allievi, ma come persone impegnate insieme ai loro studenti in un percorso comune di crescita e di condivisione.

In un tempo che sembra privilegiare le relazioni virtuali, è possibile constatare un bisogno sempre più marcato di autentiche relazioni concrete, da persona a persona, come dovrebbero essere le ore di insegnamento nelle aule, che possono essere pensate come momenti di relazione interpersonale dei docenti con gli studenti. In fondo, è nel contatto umano che si dimostra tangibilmente la capacità di ascolto e di fiducia reciproca. In un tempo come il nostro, spesso dominato da falsità e ipocrisie, non bisogna sottovalutare la sete di verità, trasparenza e comprensione di bambini e adolescenti, i quali necessitano di vedere negli insegnanti e negli educatori impegnati con loro dei testimoni viventi di un'umanità vera e piena, uomini e donne che sappiano incoraggiare e guidare con verità, semplicità e amore. La pedagogia della condivisione nutre dunque il progetto ambizioso di passare da «una scuola per i giovani» a «una scuola con i giovani», affidando a essi precise responsabilità al suo interno, accogliendo realmente le loro intuizioni, rivalutando il loro protagonismo e la loro capacità di socializzare e solidarizzare nella scuola.

Le relazioni e l'amore interpersonale costituiscono senza dubbio un linguaggio che può essere appreso nella scuola grazie alla presenza di docenti ed educatori motivati e responsabili. Anche se i bambini e i ragazzi delle nostre aule sentono forte e naturale in loro una tensione verso l'altro, anche se arrivano presto a prendere coscienza del fatto che non possono fare a meno dell'altro, una vera e propria educazione al linguaggio delle relazioni positive – educazione quasi del tutto assente nella scuola – consentirebbe una formazione integrale della persona, con positive ripercussioni sulle modalità di apprendimento. L'opera educativa abbraccia infatti tutta la realtà della persona, la cui formazione consiste nello sviluppo armonioso di tutte le sue capacità e della sua specifica vocazione, nella quale l'amore e il dono di sé sono fattori irrinunciabili. Se bambini e adolescenti non ricevono in aula (e fuori) questa educazione, divengono incapaci di dimostrare vero rispetto, sostituendo a esso atteggiamenti violenti e possessivi, volti al soddisfacimento di un bisogno di accettazione e considerazione mal gestito. Non dimentichiamo poi che l'acquisizione di questo linguaggio richiede di affinare capacità cognitive (sapere), pratiche (saper fare) e morali (saper essere), che sono fra loro interconnesse. La pedagogia della condivisione sottolinea la forte interdipendenza fra la dimensione emotiva, conoscitiva e motivazionale nel bambino come nell'adulto.

Nei percorsi educativi che spesso la scuola promuove, si tende a realizzare progetti su parole impegnative, fin troppo abusate, come pace, solidarietà, giustizia, intercultura e così via. Sono parole che bambini e ragazzi per altro conoscono, anche attraverso i tanti contenuti multimediali che vengono proposti. Sanno distinguere se una cosa è buona o meno, se è bene o male dare un pugno a un compagno, emarginarlo o insultarlo; sanno che la pace è meglio della guerra; sanno... ma non è detto che poi queste conoscenze si traducano in gesti e pratiche coerenti. Se sotto queste costruzioni di saperi mancano delle fondamenta solide (che certamente non vengono costruite dall'oggi al domani) dove l'alfabeto relazionale di base è acquisito e sperimentato, si rischiano solo di costruire dei castelli in aria, facili a crollare di fronte ai pregiudizi e alle tensioni che la vita quotidiana pone davanti ai ragazzi.

Il pericolo al quale andiamo incontro è quello di un mancato riconoscimento e di una mancata comprensione di alcuni fondamentali elementi dell'alfabeto relazionale che ha come conseguenza di attivare atteggiamenti compensatori che rischiano di produrre o favorire incomprensioni, frustrazioni, ferite e conflitti. La pedagogia della condivisione avverte che la sola conoscenza delle norme sociali non determina necessariamente azioni sociali e prosociali corrispondenti. Esistono infatti altri presupposti da cui un'azione prosociale trae origine, come per esempio la capacità di percepire e dare un senso corretto ai bisogni di coloro che ci stanno vicino; la capacità di sentirsi competenti e importanti nel contributo che possiamo dare al lavoro degli altri; la capacità di riconoscere che il costo o il rischio richiesto per prestare aiuto non è poi così elevato rispetto alle proprie possibilità o alla situazione in cui ci si trova.

Nella pedagogia della condivisione risulta così centrale quell'intelligenza del cuore che include l'abilità di percepire e interpretare gli stati d'animo, le motivazioni, le intenzioni e i sentimenti altrui. Comprendere gli altri, le loro esigenze, desideri, paure, creando così situazioni sociali positive che agevolano la didattica. Questo richiede ascolto attivo, empatia, sensibilità nel riconoscere le espressioni del viso, della voce e dei gesti e l'abilità di rispondere agli altri in modo efficace, senza mai mancare loro di rispetto o darli per scontati.

Nell'opera intitolata Attivare le risorse del gruppo classe (Edizioni Erickson, Trento, 2000, p. 300), Mario Polito elenca dodici fattori che caratterizzano gli studenti di una classe animata da valori collaborativi, dodici importanti aspetti verso i quali si orienta la pedagogia della condivisione. Gli studenti di una classe animata da valori collaborativi:

  1. sono focalizzati sul successo di tutti;
  2. si aiutano perché ognuno possa migliorare secondo le sue capacità, ma anche utilizzando le risorse e le competenze degli altri;
  3. apprezzano il successo degli altri, perché è il risultato del contributo di tutti;
  4. si interessano a esplorare e a far emergere le risorse dei compagni che hanno maggiori difficoltà;
  5. respingono graduatorie, perché sono convinti che nel processo di apprendimento ognuno ha il compito di prendersi cura della propria formazione, sviluppando i propri talenti e utilizzando il sostegno e le risorse degli altri;
  6. amano tutto ciò che contribuisce alla loro cultura e non si limitano ad acquisire solo ciò che il «mercato» esige e impone;
  7. il loro apprendimento è orientato alla formazione integrale, perché deve servire per attraversare la vita in tutte le sue dimensioni e non solo in quella professionale;
  8. apprezzano l'apprendimento e il lavoro di gruppo, perché sono consapevoli del vantaggio di coltivare la propria crescita cognitiva con il contributo delle molteplici prospettive degli altri;
  9. amano discutere e argomentare le loro opinioni, perché sono convinti che imparano di più e meglio attraverso il dialogo, il confronto, la confutazione, il ragionamento;
  10. apprezzano la capacità di lavorare in gruppo, perché la vita richiede incessantemente di saper collaborare e di essere solidali;
  11. vogliono essere valutati in modo corretto, accurato, approfondito, sulla base di tutta la trama della loro mappa cognitiva;
  12. si sentono vincenti, perché sono capaci di convogliare le energie di tutti nella realizzazione di un progetto.

Ilaria Leoni

 

Letto 4813 volte Ultima modifica il Giovedì, 06 Marzo 2014 21:07

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