Tracciando le linee programmatiche del cammino ecclesiale in questo decennio, i nostri Vescovi hanno sottolineato che esso deve lasciarsi ispirare e guidare dalla convinzione che "compito primario della Chiesa sia testimoniare la gioia e la speranza" originate dalla fede nel Signore Gesù Cristo, vivendo nella compagnia degli uomini, in piena solidarietà con loro, soprattutto con i più deboli1. In realtà, scaturisce da questa convinzione la possibilità non solo di un corretto discernimento dell'accelerato e profondo cambiamento, che caratterizza oggi il nostro paese, ma soprattutto di parteciparvi costruttivamente, lievitandolo evangelicamente.
È una convinzione nutrita di solidarietà e tesa al servizio, perché la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia. e si propone solo di «continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito».2
Sono queste prospettive indispensabili per una corretta lettura ecclesiale dei problemi morali. Oggi infatti l'accelerazione del cambiamento nel campo etico si è fatta particolarmente forte, ponendo dinanzi a contraddizioni sempre più profonde: se da una parte vi sono fenomeni e tendenze che riaprono al bisogno di morale e spingono a superare il sospetto e il rifiuto, prospettati da alcune tendenze culturali del secolo scorso, dall'altra non mancano sfide che mettono in gioco non solo la legittimità di alcuni comportamenti, ma il perché stesso della morale.
A causa della «scristianizzazione», ha scritto Giovanni Paolo II, si constata «non solo la perdita della fede o comunque la sua insignificanza per la vita, ma anche, e necessariamente, un declino o un oscuramento del senso morale... Le tendenze soggettiviste, relativiste e utilitariste, oggi ampiamente diffuse, si presentano non semplicemente come posizioni pragmatiche, come dati di costume, ma come concezioni consolidate dal punto di vista teoretico che rivendicano una loro piena legittimità culturale e sociale»3. Espressione acuta di questa situazione è il fatto che «larghi strati dell'opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l'impunità, ma persino l'autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà e anzi con l'intervento gratuito delle strutture sanitarie»4.
Nella stessa prospettiva si muove il «discernere l'oggi di Dio», delineato dai nostri Vescovi in Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia: -Non si può tacere sul fatto che è avvenuta alla fine del secondo millennio cristiano una vera e propria "eclissi del senso morale". Con questo non vogliamo né possiamo dire che la gente sia più cattiva di un tempo: piuttosto, è diventato difficile perfino parlare dell'idea del bene, come di quella del male, senza suscitare non tanto reazioni, quanto molto più semplicemente una forte incomprensione.. Unita ad altri complessi fattori culturali, la caduta delle ideologie «ha lasciato spazio a forme di "relativismo", d' "indifferenza" diffusa per le domande più radicali, senso del provvisorio, frammentazione del sapere e delle esperienze». Ci troviamo perciò di fronte a «un vero e proprio "smarrimento", nel contesto di una società multimediale»5.
Questa complessa situazione, come è stato sottolineato nel Convegno di Verona, esige una lettura e una risposta articolate intorno alla speranza nuova che è il Gesù risorto. -La nostra vocazione e il nostro compito di cristiani, ha ricordato Benedetto XVI nel suo intervento al Convegno, consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha intrapreso in noi col battesimo: siamo chiamati infatti a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini entro la quale viviamo-6.
Tutto questo interpella in maniera particolare la morale familiare. In essa infatti sono più forti oggi le contraddizioni e le sfide per la crescente diversità di modelli e di stili di vita. Più ancora delle denunzie e dei proclami, è indispensabile una testimonianza trasparente di tutta la potenzialità di speranza che il sacramento del matrimonio dona alla famiglia.
Il sacramento del matrimonio infatti -effondendo il dono dello Spirito che trasforma l'amore sponsale, diventa la legge nuova della coppia cristiana-, dando fondamento alle -più radicali e impegnative esigenze morali- e alle -più ardue aspirazioni spirituali della coppia e della famiglia, chiamate a raggiungere la santità cristiana-7.
1. Il "tu devi" evangelico
Oggi, in un mondo sempre più caratterizzato dal potere dei media, fare il bene non può più bastare al credente: occorre compierlo in maniera che venga percepito come bene anche dagli altri. È un aspetto essenziale all'annuncio e alla testimonianza cristiana. Del resto lo stesso Maestro, dopo aver indicato nelle beatitudini la legge nuova che deve guidarli in tutte le scelte, ricorda ai discepoli che, essendo luce, devono effettivamente far -luce a tutti quelli che sono nella casa- (Mt 5,15). Nel momento poi dell'addio sottolinea che questa luce è soprattutto amore vissuto: -tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato- (Gv 17,21).
Rendere effettivamente significativa la proposta morale cristiana richiede che venga articolata in maniera da far sperimentare .la gioia e le esigenze della via di Cristo-8 come risposta vera alla -domanda di pienezza di significato per la vita-9. Si tratta di un compito certamente non facile, ma da assumere con fiducia, non separando mai l'annuncio franco dal dialogo sincero, essendo impossibile l'uno senza l'altro.
Restano una -sicura bussola per orientarci nel cammino-, come ricordava Giovanni Paolo II10, le prospettive del Vaticano II. È particolarmente significativa la maniera in cui il primo capitolo della Gaudium et spes affronta la sfida dell'ateismo umanistico: non chiudersi in un giudizio aprioristico, lasciarsi mettere in discussione, arrivare alle ragioni profonde, testimoniare che Dio è affermazione per l'uomo11.
Questo vale in maniera più marcata per la morale familiare e, più in generale, per il complesso e variegato mondo degli affetti, che oggi subisce -un potente condizionamento in direzione di un superficiale emozionalismo, che ha spesso effetti disastrosi sulla verità delle relazioni. L'"identità e la complementarietà sessuale", "l'educazione dei sentimenti", la "maternità/paternità", la "famiglia" e, più in generale, la dimensione affettiva delle "relazioni sociali", come pure le varie forme di "rappresentazione pubblica" degli affetti hanno un grande bisogno di aprirsi alla speranza e quindi alla ricchezza della relazione, alla costruttività della generazione e del legame tra generazioni-12.
Per aprire effettivamente alla speranza, l'annuncio dei valori e delle esigenze della famiglia cristiana deve radicarsi in un ascolto e in un discernimento attento dei modelli oggi più diffusi: occorre metterne in luce le attese profonde insieme ai limiti e agli svuotamenti, che derivano, il più delle volte, dalla radicalizzazione delle stesse attese.
Emerge allora con forza la domanda se e fino a qual punto riusciamo a trasmettere il volto autentico del "tu devi" evangelico. Credo che il linguaggio e le formule della catechesi risentono ancora della enfatizzazione del "precetto" e dell'"obbligo", che ha contrassegnato la proposta morale casistica all'inizio dell'età moderna, con la conseguente sfiducia e sospetto nei riguardi della libertà, privata di ontologia e di valenza morale, perché ridotta solo a "libero arbitrio".
La novità evangelica dà all'imperativo morale fondamento e significato che non solo lo "riconciliano" con la libertà, ma lo fanno sperimentare come esigenza della stessa libertà: è grazia prima e più che dovere; è annunzio di vita e di pienezza prima e più che precetto o limite; è speranza e fiducia non già timore o sospetto.
In altre parole, il "tu devi" evangelico è soprattutto "anticipo di amore" che apre su possibilità nuove: "tu puoi, perché ti è stato anticipato come dono, perciò devi". L'annuncio morale va sempre articolato in maniera da far sperimentare che è "lieta notizia di salvezza".
Superare l'interpretazione conflittuale del rapporto tra libertà e norme morali non è cosa agevole, anche perché appare a prima vista giustificata dall'esperienza quotidiana, che, come all'inizio della storia, continua a porci di fronte alla stessa alternativa: scegliere tra un cammino autonomo, che sembra promettere pienezza e gratificazione, e le indicazioni morali, che invece appaiono limitanti. Si dimentica però che tale lettura e proposta sono opera del -tentatore- (cfr. Gen 3,1-7). Nel disegno di Dio infatti le cose stanno diversamente: non si tratta di opposizione, ma di reciprocità. Elaborare e proporre in maniera significativa tale reciprocità è un impegno urgente, soprattutto in ambito familiare.
Appare allora quanto sia urgente una pedagogia morale che, recuperando lo svuotamento di essere e di significato, cui è stata sottoposta l'imperatività etica, porta a superare la contrapposizione tra oggettività e soggettività. Occorre però anche un approfondimento antropologico nelle prospettive di una visione integrale, capace non solo di evitare i vecchi e nuovi dualismi di qualsiasi impostazione, ma anche di elaborare correttamente la circolarità tra persona e società. Si riuscirà così anche a superare l'uso ideologizzato del dovere come sostitutivo della criticità e della responsabilità della coscienza.
Potremo così proporre in maniera significativa il rapporto di reciprocità, radicato nella verità-carità, che la fede indica come essenziale sia per la norma morale che per la libertà. La parola di Cristo è netta: -Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi-. (Gv 8,32). E Paolo gli fa eco quando ribadisce ai Galati: -Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù... Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri- (Gal 5,1.13).
La norma morale per il cristiano ha il volto e il respiro della beatitudine, pur ponendo in tensione verso la stessa perfezione del Padre celeste (cfr. Mt 5,48). La vita morale fa suoi il tono e il respiro della festa, anche quando il passato si presenta carico di negatività e chiede perciò passi impegnativi (cfr. Lc 15). Il bisogno dell'altro viene sperimentato non come minaccia, ma come appello a costruirsi insieme nella verità dell'amore (cfr. Lc 10,25-37; lCor 10,23-26). In una sola parola, la vita morale diventa testimonianza della speranza che il Risorto, rendendoci sacramentalmente partecipi della sua vita e facendosi compagno di cammino, fa ardere nel nostro cuore aprendoci a scelte coraggiose (cfr. Lc 24,13-35).
Solo accogliendo il suo "anticipo di amore", è possibile fare esperienza del vero volto di Dio: non quello dell'idolo, invidioso dell'uomo e perciò limitante la sua libertà, ma quello di un padre che trova nella nostra felicità la sua gloria, come scriveva S. Alfonso: Dio -ha voluto far gloria sua la nostra felicità. e lo ho fatto facendosi provvidenza per noi, attraverso una –condotta ammirabile.13.
È l'impegno al quale Benedetto XVI ci ha chiamato con l'enciclica Deus caritas est: -La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito. Già nell'Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la "pecorella smarrita", l'umanità sofferente e perduta-14.
Con il sacramento del matrimonio, questo "anticipo", operato dallo Spirito, si pone a fondamento di tutto il cammino familiare: dando agli sposi coraggio di futuro e gioia grata, li affranca dal fascino della superficialità e del consumismo e li rende capaci di farsi carico anche delle immancabili croci. La festa della celebrazione sacramentale diventa paradigma di tutta la vita, dandole quell'articolazione nuova che Paolo sintetizza nel cap. 8 della lettera ai Romani: affrancamento sempre più pieno dalla schiavitù fascinosa del male; sorpresa gioiosa e grata di poter desiderare e operare il bene; liberazione dalle mille ragnatele della paura, che apre fiduciosamente agli altri e alla storia; le immancabili difficoltà e perfino i nostri limiti visti come rinnovata esperienza di misericordia; maturità che non si lascia più irretire dal fascino di proposte contrarie, anche se ben pubblicizzate; testimonianza franca del progetto grande di Dio su noi e su tutta la storia.
Ancora una volta la parola di Benedetto XVI è stimolante: alla luce del .fondamento cristologico-sacramentale., riusciamo a comprendere sempre meglio che -il "comandamento" dell'amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l'amore può essere "comandato" perché prima è donato-15.
Il contesto in cui sono collocate queste parole è quello eucaristico. Dopo aver ricordato che -fede, culto ed ethos si compenetrano a vicenda come un'unica realtà che si configura nell'incontro con l'agape di Dio-, il Papa aggiunge: -nella comunione eucaristica è contenuto l'essere amati e l'amare a propria volta gli altri. Un'Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in sé stessa frammentata-16.
La testimonianza, grata e gioiosa, di questa articolazione eucaristica dell'amore è compito particolare delle famiglie e lo è in maniera ancora più urgente nel nostro contesto. L'Eucaristia infatti ha -un particolare rapporto con l'amore tra l'uomo e la donna, uniti in matrimonio., corroborando -in modo inesauribile l'unità e l'amore indissolubili di ogni Matrimonio cristiano. In esso, in forza del sacramento, il vincolo coniugale è intrinsecamente connesso all'unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (cfr. EI5,31-32). Il reciproco consenso che marito e moglie si scambiano in Cristo, e che li costituisce in comunità di vita e di amore, ha anch'esso una dimensione eucaristica-17.
Dal sacramento del matrimonio gli sposi sono particolarmente "abilitati" a fare di tutta la loro vita una "eucaristia viva". Tutto il progetto familiare dovrà perciò articolarsi in questa prospettiva, se vorrà essere effettivamente testimonianza convincente di speranza. Al riguardo appaiono quanto mai attuali le parole di Giovanni Paolo II: -L'Eucaristia non fornisce solo la forza interiore, ma anche - in certo senso - 'il progetto". Essa infatti è un modo di essere, che da Gesù passa nel cristiano e, attraverso la sua testimonianza, mira ad irradiarsi nella società e nella cultura. Perché ciò avvenga, è necessario che ogni fedele assimili, nella meditazione personale e comunitaria, i valori che l'Eucaristia esprime, gli atteggiamenti che essa ispira, i propositi di vita che suscita-18.
E questo a tutti i livelli: intelligenza, memoria, sguardo, cuore, capacità operative dovranno assumere un respiro eucaristico, attuandosi sempre più nella prospettiva del dono e della comunione.
2. L'altezza della vocazione
L'anticipo di amore immette nella vita morale del credente una tensione di crescita aperta, secondo le parole stesse di Cristo, alla perfezione misericordiosa di Dio: «Siate voi perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. (Mt 5,48); -Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. (Lc 6,36). Anche per la vita familiare, la proposta morale cristiana si incentra sull' -altezza della vocazione dei fedeli in Cristo- e sul conseguente -obbligo nella carità di apportare frutto per la vita del mondo-19.
Indicando nella santità la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale della Chiesa all'inizio di questo millennio, Giovani Paolo Il ha richiamato le affermazioni conciliari sulla universale vocazione alla santità, sottolineando il radicamento battesimale che le permette di essere vissuta come risposta grata e fiduciosa: -Se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: "Vuoi ricevere il Battesimo?" significa al tempo stesso chiedergli: "Vuoi diventare santo?"-21
Il sì del sacramento del matrimonio è un sì di amore che porta dentro di sé questa esigenza battesimale di pienezza, riconfermata e rinforzata costantemente dall'Eucaristia: una pienezza di amore "anticipata" dalla grazia sacramentale, che avvalora di speranza l'impegno di costruzione nella vita quotidiana di ogni giorno, cogliendone possibilità e sfide.
Questa -"misura alta" della vita cristiana ordinaria- va però proposta attraverso -una vera e propria "pedagogia della santità", che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa-22.
È una testimonianza che il nostro contesto rende ancora più urgente. Sperimentiamo infatti ogni giorno come si faccia sempre più forte l"'ipoteca della paura". I motivi certamente non mancano: minaccia costante del terrorismo, incertezze economiche, insicurezza del lavoro, crescenti preoccupazioni ecologiche... Sono minacce che esigono una convinta corresponsabilità da parte di tutti e a tutti i livelli.
Non mi sembra però corretto trasformare la paura in valore fondamentale che determini scelte e stili di vita. Nella seconda metà del secolo scorso, Hans Jonas indicava nella responsabilità il principio di un'etica capace di rispondere alle sfide della società tecnologica, in cui le azioni -hanno una portata causale senza eguali, accompagnata da una conoscenza del futuro che, per quanto incompleta, va al di là di ogni sapere precedente. A ciò si aggiunge la scala delle conseguenze a lungo termine, e spesso anche la loro irreversibilità-23. È una responsabilità, secondo Jonas, da concretizzare lasciandosi guidare dalla -euristica della paura-: nella situazione attuale -lo sforzo consapevole di alimentare la paura altruistica» si pone come -il primo dovere preliminare di un'etica della responsabilità storica.. Pur non essendo la paura e la trepidazione l'unica fonte dell'etica della responsabilità, diventa -talvolta del tutto ragionevolmente quella dominante-24.
Le osservazioni di Jonas colgono una dimensione fondamentale della nostra realtà. Quando però ci lasciamo guidare dall'euristica della paura, le conseguenze non possono che essere gravi: il compromesso in nome della sopravvivenza spegne la capacità appellante dei valori; il minimo etico rischia di essere percepito come unica possibilità; il "così fan tutti" e il "tutto e subito" diventano criteri rassicuranti da cui è impossibile allontanarsi; i bisogni degli altri vengono percepiti come realtà da rimuovere, perché pongono in discussione gli equilibri e il benessere tanto faticosamente raggiunto; soprattutto il povero e il debole diventano "nemici" nei riguardi dei quali è eticamente corretto appellarsi alla "legittima difesa".
Con la sua santità, la comunità cristiana testimonia che è possibile un' "euristica diversa, quella della speranza": non perché viene ignorata la gravità dei problemi e delle sfide, ma perché sappiamo di poter contare con un "anticipo" di amore da parte di Dio, che sta lievitando tutta la nostra storia.
La santità della famiglia cristiana, attingendo incessantemente a questo "anticipo", deve far sperimentare a tutti che è possibile pensare in grande, progettare futuro, impegnarsi per tutta la vita in un cammino fedele di amore, quali che siano le circostanze o le difficoltà da affrontare. Occorre però che lo faccia evidenziando che si tratta di una risposta gioiosa e fiduciosa, non già di volontarismo triste e pauroso: deve proclamare la possibilità di pienezza che lo Spirito apre a chiunque non si chiude alla sua opera di liberazione e di rinnovamento.
Si tratta di una santità da concretizzare nella specificità e nella concretezza della vita familiare. Il riferimento ai modelli, a cominciare da quello fondamentale della famiglia di Nazaret, costituisce un elemento e uno stimolo prezioso. È necessario però che non si trasformi in formalismo o in rimpianto per realtà tradizionali di cui troppo facilmente dimentichiamo gli aspetti problematici. Occorre lasciarsi interpellare e rispondere fiduciosamente alla novità dei contesti, cogliendone possibilità e sfide.
Resta fondamentale il -multiforme esercizio della santità., indicato dal capitolo V della Lumen gentium: il volto concreto della santità degli sposi va delineato -nelle condizioni, nei doveri o circostanze che sono quelle della loro vita, e per mezzo di tutte queste cose-25, facendo così sperimentare a tutti che la santità cristiana -promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano-26. Riguardo poi all'amore coniugale, elevato e perfezionato dalla grazia sacramentale, la Gaudium et spes aggiunge: -un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi anzi, diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio-27.
Non si tratta di presunzione, tanto meno di integralismo. La vita della famiglia cristiana è segnata da umiltà: ogni giorno scopriamo che è ancora lungo il cammino della nostra conversione all'amore; che abbiamo bisogno di donare e di ricevere perdono; che da soli non potremo che arrenderci.
Le parole di Giovanni Paolo II sulla gradualità di questo cammino restano di forte attualità: -L'uomo chiamato a vivere; responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio è un .. essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita. Anche i coniugi, nell'ambito della loro vita morale, sono chiamati a un incessante cammino, sostenuti dal desiderio sincero e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e promuove, e dalla volontà retta e generosa d' incarnarli nelle loro scelte concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge solo come a un puro ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà-28.
Questa crescita graduale rende l'amore capace di non vacillare nemmeno dinanzi alla croce: unendola a quella pasquale del Cristo, sa farsene carico, trasformandola in ulteriore passo di crescita e di autenticità, secondo quanto ricorda Benedetto XVI: -Amore è "estasi", ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, bensì estasi come cammino, come esodo permanente dall'io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: "Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà" (Lc 17,33), dice Gesù [.. .]. Con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell'amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l'essenza dell'amore e dell'esistenza umana in genere-29.
Questo cammino di santità renderà capaci di testimoniare in maniera convinta che sta proprio nell'amore, che si fa servizio reciproco, la possibilità di un'autentica crescita nella libertà: -Siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. (Gal 5,13).
È una testimonianza che gli sposi devono dare innanzitutto ai figli. La famiglia infatti è lo spazio in cui è più agevole sperimentare la reciprocità tra amore, libertà e responsabilità non come un peso o un limite, ma come gioia e gratitudine che caricano di senso. Altrove una tale esperienza sarà sempre più problematica, se non impossibile. Allora anche la critica ai modelli consumistici, che invitano a sfruttare l'altro per i propri bisogni, potrà essere percepita non come moralismo, ma come speranza, per sé stessi e per il mondo intero.
Un criterio importante, con cui verificare se effettivamente ci stiamo muovendo in questa prospettiva, sta nell'accantonamento del linguaggio dell'avere riferito alle realtà familiari per assumere quello dell'essere, dell'accoglienza, della reciprocità. Emerge anche dal nuovo rito del matrimonio: -Io accolgo te come mia sposa... io accolgo te come mio sposo-; oppure -Vuoi unire la tua vita alla mia nel Signore che ci ha creati e redenti?-. Dalla celebrazione liturgica il linguaggio dell'essere e del dono deve passare nella vita di tutti i giorni come espressione e stimolo a una mentalità nuova.
Sarà allora possibile anche un cammino evangelico più trasparente delle stesse comunità nella testimonianza della fedeltà esigita dall'amore, perché sapranno farsi carico con misericordia delle situazioni di fallimento e di difficoltà. È la prospettiva richiamata da Benedetto XVI: mentre riconferma -la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati-, aggiunge che: essi -nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita; spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli-30.
3. Lo sguardo di amore
L'ultima parte delle mie riflessioni vuol cercare di portare, maggiormente nella vita quotidiana le prospettive di carattere più generale che finora ho ricordato. È un passo da cui la teologia morale non può prescindere, se vuole effettivamente porsi al servizio del discernimento vivo delle coscienze, secondo il monito di Paolo: -Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto- (Rm 12,2). Va compiuto perciò senza presumere di poter ridurre la vita cristiana in "ricette" da semplicemente applicare.
In un contesto come il nostro, in cui la verità è sempre più collegata al vedere e alle immagini, la qualità dello sguardo deve costituire una preoccupazione costante. Del resto è lo stesso Cristo a richiamarlo ai discepoli: -La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso- (Mt 6,22-23). Ne deriva non solo che –chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore-, ma anche la necessità, se l'occhio -è occasione di scandalo», di cavarlo e gettarlo via, perché –conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna- (Mt 5,28-29).
Occorre far nostro lo sguardo del Cristo. L'amore per il credente -consiste nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest'altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo [.. .]. lo vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all'altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno-31.
È lo sguardo che l'Eucaristia ci chiede di non stancarci mai di approfondire: l'altro come possibilità dell'incontro con Dio; i suoi bisogni come urgenza di condivisione e di solidarietà; la sua diversità come reciprocità di doni e di ministerialità; i suoi limiti e le stesse sue offese come opportunità di aprirci insieme alla misericordia di Dio.
È lo sguardo, grato e gioioso, della celebrazione sacramenta le del matrimonio che permette agli sposi di guardare in avanti con fiducia, leggendo le stesse difficoltà come stimolo ad amare ancora di più. È necessario che questo sguardo accompagni tutto il successivo cammino familiare; anzi che diventi sempre più convinto e irradiante.
Un tale sguardo non è certamente favorito dalla nostra società che indica come vincente quello ispirato alle logiche competitive e conflittuali. Ne deriva che si fanno sempre più difficili l'accoglienza e il rispetto di coloro che sono diversi o deboli, fino a rinchiuderli in pregiudizi, resi ancora più duri dalla paura. Si tratta di pregiudizi che non vengono intaccati neppure dagli esiti, spesso drammatici, di questo sguardo, che la cronaca non si stanca di proporci ogni giorno.
Lo sguardo del credente è quello della reciprocità carismatica, frutto dello Spirito, in forza della quale ci scopriamo, -ciascuno per la sua parte [...] membra gli uni degli altri. (Rm 12,5). Diventa allora più agevole il superamento della pretesa orgogliosa di volere gli altri come noi stessi: -Il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra [.. .]. Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te"; né la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi". Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie [. . .]. Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. (1Cor 12,14. 21-26).
Questo sguardo è particolarmente importante nella vita familiare: tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra nucleo ristretto e gli altri membri. Occorre non solo anticiparci reciprocamente la legittimità della lettura o del comportamento diverso, ma inserirla in una prospettiva in cui nessuno deve solo dare o solo ricevere, ma ognuno si scopre carico di una ricchezza da donare e di un bisogno al quale l'altro può a sua volta dare una risposta. È in questa reciprocità che la diversità si fa dialogo, ulteriore ricerca, nuovo passo verso la verità32.
Questo sguardo porta ad una lettura nuova dei bisogni dell'altro: non più "peso" da sopportare, ma "vocazione" da discernere e accogliere nell'amore, come sottolinea la parabola del samaritano (cfr. Lc 10,25-37): confrontati dai bisogni, dalle sofferenze, dai limiti degli altri, non possiamo fingere di non vedere, passare oltre, considerarli uno "spettacolo" da guardare con indifferenza; vanno invece percepiti come appello da accogliere, fino a ripensare i nostri stessi progetti. Come nel corpo umano il bisogno di un membro mette in movimento l'intero organismo per una risposta adeguata, allo stesso modo, in ogni comunità umana, il bisogno di un membro deve far scaturire solidarietà e condivisione in tutti gli altri: l'indifferenza, che tenta di rimuoverlo o di coprirlo, è patologia e perciò causa di morte.
In queste prospettive la certezza della provvidenza, con cui Dio si rende presente nella nostra storia per portarla a pienezza, acquista un orizzonte ancora più ampio: trasformando in appello della coscienza il bisogno dell'altro, lo Spirito ci ricorda che ci ha già anticipato la grazia per potervi rispondere. È questo un aspetto dell'antropologia e dell'etica cristiana che oggi è urgente approfondire. L'appello, che nasce dal bisogno dell'altro, non è prima di tutto dovere, ma "parola" che evoca l'anticipo di grazia, che ci è stato fatto per potervi rispondere insieme. Per questo non ci fa più paura, anzi ridesta in noi potenzialità e capacità, che forse fino ad allora abbiamo ignorato, e stimola la nostra creatività33: possiamo farcene carico con fiducia.
Sperimento allora che è proprio il bisogno dell'altro che mi apre maggiormente al senso della vita: sperimento che è bello vivere, perché sono di aiuto a un altro per vivere. L'economia sacramentale non significa forse che Dio stesso vuole avere bisogno di noi per arrivare agli altri? ,
Leggendo come vocazione il bisogno dell'altro, divento capace anche di vivere in maniera più costruttiva i miei stessi limiti. E infatti illusione pensare di poter dare sempre una risposta risolutiva: i bisogni dell'altro pongono spesso esigenze e orizzonti che vanno ben al di là delle mie possibilità, ma è proprio accettando i propri limiti che la risposta dirà comunione: non farà sentire l'altro come colui che solo riceve, ma come colui che è attivo, dà, costruisce insieme. Si sviluppa così quella reciprocità che fa scoprire orizzonti sempre più profondi di speranza.
Da questo "sguardo vocazionale" sull'altro scaturirà anche "il coraggio di perdonare" -non fino a sette, ma fino a settanta volte sette. (Mt 18,22). Perdonare non è mai facile, oggi però le difficoltà sembrano accentuarsi soprattutto per quanto riguarda i rapporti familiari, dato che i modelli dominanti spingono in altra direzione, accentuando instabilità e indifferenza.
Il Cristo sottolinea che ogni autentico amore non può mai prescindere dal perdono. Ci rivela infatti che -l'amore appassionato di Dio per il suo popolo (per l'uomo) è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia... Dio ama tanto l'uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore-34.
Dinanzi alle difficoltà del perdono, la famiglia cristiana non può arrendersi. Occorrerà certamente rispettare i ritmi di maturazione di ogni persona, adoperare tutti gli aiuti che le scienze ci offrono, ricercare le modalità migliori perché esso sia risoluzione del male e non già sua ulteriore legittimazione. Dovremo però non stancarci mai di approfondire il monito del Signore: -Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio. (Lc 6,36-38). Soprattutto gli sposi non dovranno perdere la fiducia nel dono dello Spirito ricevuto nel battesimo e nel sacramento del matrimonio, sapendo che –egli è quella potenza interiore che armonizza il loro cuore col cuore di Cristo e li muove ad amare i fratelli come li ha amati Lui, quando si è curvato a lavare i piedi dei discepoli (cfr. Gv 13, 1-13) e soprattutto quando ha donato la sua vita per tutti (cfr. Gv 13, 1; 15, 13)-35.
Sorretti dalla forza dello Spirito, sarà possibile ristrutturare costantemente la nostra memoria, perché sia effettivamente liberata e liberante: il male che si è fatto verrà ricordato soprattutto come esperienza rinnovata di misericordia da parte di Dio; quello che si è ricevuto, come momento in cui ci è stato donato di partecipare al mistero della croce pasquale del Cristo, per la salvezza del mondo intero. Sperimenteremo che possiamo ripartire, tentare ancora, non arrenderci, nonostante gli insuccessi e le delusioni. La nostra memoria diventerà sempre più "memoria eucaristica".
Anche la "responsabilità", nelle sue molteplici espressioni, attinge fondamento e significato nuovo dall'anticipo di grazia che lo Spirito opera costantemente: non sarà più vista come un peso da scaricare sugli altri, ma affidamento fiducioso in e con il Cristo. Si farà perciò apertura, condivisione, cooperazione con gli altri.
Questo vale innanzitutto per la paternità/maternità. È importante restare fedeli all'indicazione di Gaudium et spes: -i coniugi sappiano di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria-. Perciò -con docile riverenza verso Dio, di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa-36.
È un giudizio che non può essere ridotto a un semplice calcolo tra vantaggi e svantaggi. È un ricercare insieme il progetto di vita che Dio affida agli sposi: è risposta a una vocazione. Esige perciò preghiera, fiducia, amore, dialogo. In questa maniera la libertà, scoprendosi ricca dell'anticipo di amore, si articolerà più facilmente come accoglienza grata e incondizionata di ogni nuova vita, quali che siano la sua qualità o le modalità in cui ha iniziato il suo cammino. Ricorda ancora la Gaudium et spes: -Quando gli sposi cristiani, fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio, svolgono il loro ruolo procreatore e si assumono generosamente le loro responsabilità umane e cristiane, glorificano il Creatore e tendono alla perfezione cristiana. Tra i coniugi che in tal modo adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più grande numero di figli da educare convenientemente-37. ..
Un'ultima riflessione, che mi limito ad abbozzare per motivi di tempo. La santità propria della famiglia va vissuta sempre in una convinta e feconda reciprocità con le altre vocazioni ecclesiali. Solo così potrà trovare, ad esempio, la modalità propriamente familiare dei consigli evangelici. E questo non solo per il cammino spirituale della famiglia stessa, ma soprattutto per testimoniare che l'amore, che il Cristo ci anticipa, è capace di affrancare tutti dalle mille forme di idolatria, vecchie e nuove, per costruire insieme quella pienezza di felicità, che Dio ha progettato per ognuno di noi, per ogni famiglia, per l'intera umanità.
Conclusione
All'inizio delle mie riflessioni ho sottolineato che esse volevano lasciarsi guidare dall'impegno che attualmente le nostre comunità vivono per rinnovare e approfondire la loro testimonianza del Signore Risorto speranza del mondo, sapendo bene che una tale testimonianza si fa sempre più urgente nell'ambito familiare. Ho provato soprattutto a porre in rilievo che occorre vivere con fiducia il difficile e complesso cambiamento degli stili familiari: discernendo opportunità e sfide, coniugando insieme la franchezza dell'annuncio e il dialogo rispettoso, non sminuendo mai la gioia e le esigenze della coerenza evangelica, ma incarnandola nella storicità complessa e spesso drammatica delle persone.
Credo sia giusto chiudere ricordando alcune affermazioni della Prima Lettera di Pietro, la lettera che ha particolarmente illuminato i passi del Convegno Ecclesiale di Verona: stringendoci a Cristo -pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio-, saremo veramente -pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo- (lPt 2,4-5). Non ci lasceremo più sgomentare o turbare dalla paura, ma -con una coscienza retta- saremo -sempre pronti a rispondere- a chiunque ci chieda il perché della speranza che anima tutta la nostra vita (lPt 3,14-16).
La grazia del sacramento del matrimonio rende gli sposi capaci di questa testimonianza: senza più opporre sospetti o riserve alle esigenze morali, anche più radicali, e mantenendosi sempre aperti alle più ardite aspirazioni, sapranno additare a tutti nel Vangelo del matrimonio e della famiglia la strada che veramente costruisce futuro, perché sorretta e illuminata dall'anticipo di amore di Dio nel sacramento del matrimonio.
Sabatino Maiorano, Preside dell'Accademia Alfonsiana
da: Stile di vita della famiglia cristiana, a cura di Niccoli S., Tortalla E. e Tortalla M. Collana Matrimonio, Famiglia e Pastorale n. 23 pg. 257-277
NOTE
1 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 1.
2 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 1 e 3.
3 GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, n. 106.
4 Id., Evangelium vitae, n. 4.
5 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 41.
6 BENEDE'ITO XVI, Discorso al IV Convegno Ecclesiale di Verona: L'Italia: bisognosa e favorevole, 19 ottobre 2006.
7 CONFERENZA EPISCOPALE ITAUANA, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, n. 49 e 53
8 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1697.
9 GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, n. 7. :
10 GIOVANNI PAOW II, Novo millennio ineunte, n. 57.
11 Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 19-21.
12 Verso il Convegno Ecclesiale di Verona, n. 15.
13 ALFONSO MARIA DE LIGUORI, Condotta ammirabile della divina Provvidenza in salvar l'uomo per mezzo di Gesù Cristo, in ID., Opere complete, vol. VIII, Marietti, Torino 1857, 787-788.
14 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 12.
15 Ivi, n. 14.
16 Ivi17 BENEDETTO XVI, Sacramentum caritatis, n. 27.
18 GIOVANNI PAOLO II, Mane nobiscum Domine, n. 25.
19 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, optatam totius, n. 16.
20 -Occorre riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla "vocazione universale alla santità"[...]. Professare la Chiesa come santa significa additare il suo volto di Sposa di Cristo, per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26). Questo dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun battezzato, ma il dono si traduce a sua volta in un compito, che deve governare l'intera esistenza cristiana-: GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n. 30.
21 Ivi, 31.
22 Ivi
23 H. JONAS, Il principio responsabilità. Un 'etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990, XXVIII.
24 Ivi, 286.
25 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Lumen gentium, n. 41.
26 Ivi, n. 40.
27 Id., Gaudium et spes, n. 49.
28 GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, n. 34.
29 BENEDE'ITO XVI, Deus caritas est, n. 6.
30 BENEDETTO XVI, Sacramentum caritatis, n. 29.
31 Id., Deus caritas est, n. 18.
32 Sono significative al riguardo le parole della Gaudium et spes: -Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. (n. 16).
33 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n. 50.
34 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 10.
35 Ivi, n. 18.
36 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 50
37 Ivi.