L'analisi condotta aveva come primo scopo far conoscere agli studenti dell'ultimo anno di un liceo classico statale del centro di Milano alcuni paragrafi del testo proposto dall'episcopato italiano sul tema educativo. In qualità di insegnante di religione cattolica, mi sembrava interessante analizzare alcune parti del documento con alunni neo-maggiorenni e aggiornarli sulle linee guida pastorali, presentate dalla Cei per il decennio 2010-2011.
L'attività si è dimostrata per loro più interessante del previsto, perché ha permesso di esprimere liberamente il loro pensiero e di confrontarsi seriamente su alcuni argomenti critici, ma al tempo stesso importanti.
Hanno preso parte alla riflessione sia studenti credenti, sia studenti lontani dall'esperienza ecclesiale. Questo ha permesso di mettere in luce molteplici punti di vista e soprattutto la vicinanza o la lontananza dai bisogni educativi segnalati dai vescovi.
Quest'articolo non ha certo la pretesa di esaurire la profonda analisi che meriterebbe tale documento (già altri lo fanno egregiamente su Settimana), ma semplicemente vuole mettere in luce alcuni aspetti da cui partire per rilanciare positivamente il messaggio cristiano, spesso offuscato da pregiudizi anticlericali.
Cosa ti fa venire in mente il termine "chiesa"?
Questa è stata la prima domanda posta in un questionario anonimo che ho fatto compilare a una trentina di miei studenti di terza liceo classico, prima di sottoporre loro il paragrafo n. 15 del primo capitolo del documento. La risposta più ricorrente è stata la seguente: «Il papa e tutti i sacerdoti». Una studentessa ha scritto: «Il papa e le assemblee dei vescovi; le folle di persone sedute nelle chiese o ammassate in Piazza San Pietro». Da molte risposte è emersa l'idea della chiesa solo come istituzione gerarchica. Uno studente, ad esempio, ha risposto: «La chiesa come istituzione con il papa; la chiesa come religione, la chiesa come luogo di preghiera». E ancora una studentessa ha affermato: «La parola chiesa mi fa pensare a molte cose, in particolare ad una grande istituzione presente fin dai tempi più antichi e di grande importanza e influenza sulla vita di ogni uomo. Mi chiedo quale valenza abbia ai giorni nostri, se essa non sia superata ormai…».
Non sono mancate risposte che richiamano toni polemici, come questa: «Un'istituzione fatta da uomini, molto diversi tra loro. C'è una parte moscia e bigotta, oltre che giudicante e chiusa, arroccata sulle proprie posizioni; ma c'è anche un'altra parte, aperta al dibattito, all'accettazione del diverso, pronta a mettersi in discussione e a mettere in pratica il cristianesimo». E ancora: «Da una parte, le alte istituzioni nelle quali non mi riconosco e che sono un centro di potere non solo spirituale, ma anche politico (es. IOR); dall'altra, una parte del clero che dedica sé agli altri».
Da altre risposte, invece, si coglie il vissuto di un'esperienza ecclesiale, come dall'affermazione di questa studentessa: «L'intera comunità di cristiani nel mondo, dal più piccolo fino al più grande, e fino al papa. Pensando alla chiesa, mi vengono in mente tutte le mie esperienze legate all'oratorio, i valori che mi sono stati trasmessi…». Un altro studente ha definito la chiesa come «l'organo delle istituzioni ecclesiastiche, ma anche la comunità e gli oratori». E ancora: «La chiesa mi fa venire in mente una comunità, la messa alla domenica, la liturgia, un insieme di regole, il papa…».
Ci sarebbero molte altre risposte meritevoli di essere riportate, ma ritengo che queste siano già sufficienti a trasmetterci il pensiero di alcuni giovani sulla chiesa. Questa generalizzata visione istituzionale della chiesa è certamente comprensibile, ma purtroppo oscura sia il significato più profondo di ekklesia, ossia l'assemblea che si raduna, che la motivazione dell'essere chiesa come comunità di credenti che vive quotidianamente l'esperienza di fede.
Anche la comunicazione mediatica talvolta accosta in modo inappropriato i pensieri di una persona che si dichiara cattolica (o che è ritenuta di area cattolica) al pensiero dell'intera chiesa universale. Non raramente capita che vengano riportati frammenti di discorsi estrapolati dal contesto con il solo intento di aumentare gli ascolti di pubblico. Questo non ci esime, comunque, dal riflettere su come noi chiesa, definita popolo di Dio, trasmettiamo il nostro essere cristiani alle nuove generazioni e al prossimo in generale.
Verso la crescita integrale della persona.
Vi propongo ora la riflessione di questo gruppo di studenti sul paragrafo n. 15 del primo capitolo degli Orientamenti pastorali del decennio, capitolo che ha come titolo Educare in un mondo che cambia. Inizialmente ho invitato i liceali a riflettere sulle prime righe del paragrafo, riportando il testo e ponendo due domande: «[…] l'obiettivo fondamentale è promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, in quanto soggetto in relazione, secondo la grandezza della vocazione dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino. Cosa ne pensi? Sei d'accordo con quanto affermato dai vescovi italiani?».
«Sono d'accordo sull'idea di aiutare lo sviluppo della persona nella sua totalità- afferma una studentessa -; onestamente, però, la parola "germe divino" secondo me è irritante». Un'altra ragazza scrive: «La frase e il concetto in sé sono ottimi, bisogna vedere nella pratica». Un ragazzo dichiara: «Mi sembra una cosa abbastanza giusta che la chiesa voglia educare ad uno sviluppo della persona e all'idea di una presenza divina in noi». E ancora, uno studente scrive: «Penso che non si possa non concordare con quanto scritto, semmai è da chiarire a cosa ci si riferisce con "germe divino"».
Dall'insieme delle risposte si evince che i ragazzi sono d'accordo con un'educazione che consideri la persona nella sua totalità. Durante la discussione, ci siamo confrontati sul possibile significato di questa "totalità" e loro stessi sono arrivati a definirla come armonia tra mente, corpo e anima della persona umana. L'educazione, dunque, non può essere settoriale, perché inevitabilmente riguarda la persona nella sua totalità.
Più animata e polemica è stata, invece, la discussione relativa al terzo capoverso di fronte alla seguente affermazione: «Impegnandosi nell'educazione, la chiesa si pone in fecondo rapporto con la cultura e le scienze, suscitando responsabilità e passione e valorizzando tutto ciò che incontra di buono e di vero».
Per molti studenti questa affermazione stride con quanto emerge dalla realtà di una chiesa che spesso appare arroccata dietro alle proprie idee rigide e conservatrici. Su questo punto concordano anche gli studenti che vivono quotidianamente da vicino la realtà ecclesiale. Secondo loro, la chiesa non si pone in rapporto fecondo con le scienze, in modo particolare con la medicina e la tecnica, e in molti casi si limita ad elargire divieti morali.
Dopo averli provocati a rileggere il termine "fecondo" nell'ottica di un confronto conflittuale che conduca ad un dialogo costruttivo, non arroccato su posizioni di principio, alcuni studenti hanno manifesto il loro parziale consenso, comunque ribadendo e sottolineando la tendenza della chiesa al veto morale piuttosto che alla mediazione.
L'ultimo capoverso, relativo alle virtù umane e cristiane, ha riscontrato il maggiore successo. Se ne deduce immediatamente che valori e virtù rappresentano ciò di cui i giovani stessi hanno davvero bisogno, ossia di un'autentica spiritualità, fondata sull'idea di Dio amore. Questa definizione di Dio, che lo stesso testo pone alla fine, è stata molto ben accolta dagli studenti. L'idea di Dio amore risulta difatti molto affascinante, perché svincola da un'idea legalistica della morale cattolica e apre alla legge dello Spirito.
La spiritualità: la chiave di svolta.
Sempre di più emerge il bisogno di spiritualità, non solo tra i giovani, ma anche tra gli adulti. La spiritualità autentica è ciò che permette di mettersi in contatto con la parte più intima e vera di noi stessi, ossia la nostra anima. La spiritualità (cioè la "vita nello Spirito") è ciò che apre all'amore infinito, che noi cristiani chiamiamo Dio. Anche per il cristiano vivere una sana spiritualità è necessario per essere un cristiano autentico. Forse, in questo tempo di impasse ecclesiale il ritorno alla spiritualità è davvero la chiave di svolta per rilanciare quei valori universali che da più di duemila anni il cristianesimo custodisce e diffonde. Il ritorno alle virtù, alle qualità interiori, alla dimensione spirituale diventa compito della chiesa, quale popolo di Dio, che coinvolge ogni cristiano, aiutando i più giovani a scoprire in loro questa preziosa dimensione interiore.
Sono sempre più rari coloro che educano alle virtù cardinali, ossia alla prudenza, alla giustizia, alla fortezza e alla temperanza. Anche sociologi e psicologi sembrano guardare la nuove generazioni con un certo allarme, dal momento che appaiono sempre più stressate. È necessario aiutare i giovani a riscoprire uno stile di vita migliore, a partire dal prendersi cura dell'anima. Se l'adolescente o il giovane non scopre e valorizza la sua ricchezza interiore, corre il rischio di adeguarsi o addirittura di svendersi sul mercato del consumismo.
Il cristiano è fiducioso nella novità del messaggio morale: grazie allo Spirito, possiamo vincere l'egoismo individuale e collettivo che è presente in ognuno di noi. La visione della morale cristiana può essere riassunta nella bellissima pagina di Gal 5,22 nella quale san Paolo afferma: «Lo Spirito produce amore, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, nonviolenza, dominio di sé». Alla luce dei frutti dello Spirito comprendiamo che una morale biblicamente fondata è di grande aiuto nell'educazione, e permette al giovane di scoprire non più il"tu devi", bensì il "tu puoi portare frutto nello Spirito".
A mio avviso, il più grande bisogno dei giovani (e forse anche di noi adulti) è riscoprire che la vita spirituale non è pura astrazione, ma è parte integrante e concreta della nostra quotidianità, che aiuta a vivere meglio le relazione familiari e sociali.
Aiutare il giovane a scoprire la sua dimensione interiore è da sempre un compito difficile per qualsiasi agenzia educativa, ma è più che mai urgente in questo tempo in cui si dà troppo spazio alla sola dimensione esteriore, nutrendo sempre meno quella interiore.
La comunità cristiana, dunque, gioca un ruolo fondamentale nell'educare i giovani alla scoperta di sé e nel presentare la chiesa come un luogo di incontro capace di capire e di supportare l'esperienza, spesso faticosa, del vivere umano.
Barbara Marchica
Settimana n. 10 anno 2011