Un tempo era considerata un'età felice o, per lo meno, meno impegnativa di quelle successive, oggi è il contrario, un'età resa ancora più difficile dal contesto socio-economico contemporaneo: l'età adolescenziale, che per convenzione si pone tra i 10 e i 19 anni, deve fare i conti non solo con i cambiamenti fisici e psicologici tipici di questa fase, ma anche con le tante incognite che la realtà prospetta. Prima tra tutte la difficoltà di trovare un lavoro e di vedersi riconoscere le proprie capacità e la propria preparazione.
Se in Italia il 29% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è disoccupato, una media nazionale che nasconde punte ben più alte nel Sud del paese e che pone il nostro paese tra gli ultimi in Europa, il resto del mondo non sta meglio. Sono, infatti, 81 milioni i giovani che nel 2009 si trovavano a non avere un lavoro, una cifra enorme che rappresenta una questione di primaria importanza per tutti i paesi, con il rischio di sprecare i talenti giovanili che costituiscono, di fatto, la possibilità per una società di rinnovarsi e di essere all'altezza delle nuove sfide della globalizzazione. E per costruire il proprio futuro.
È una delle questioni più importanti da affrontare quando si parla di giovani e su cui dovrebbero concentrare sforzi e risorse. L'invito, quasi un appello, viene dall'annuale Rapporto Unicef sulla condizione dell'infanzia nel mondo che proprio sugli adolescenti ha puntato quest'anno la sua attenzione. Il motivo di questa scelta lo ha ben spiegato Anthony Lake, direttore generale dell'Unicef, in un'intervista a Famiglia cristiana (9/2011) che al Rapporto ha dedicato un intero speciale. «Negli ultimi vent'anni il mondo ha ottenuto degli enormi miglioramenti per l'infanzia - afferma Lake -. Si è registrata, per esempio, una diminuzione pari al 33% del numero di bambini che muoiono prima di compiere cinque anni. Anche il numero di bambini non iscritti a scuola è diminuito nettamente negli ultimi cinque anni, ora le femmine hanno la stessa probabilità dei maschi di frequentare la scuola elementare. Purtroppo, però, non si sono ottenuti gli stessi miglioramenti per i ragazzi tra i 10 e i 19 anni, e ciò costituisce un motivo notevole di preoccupazione».
Investire sui giovani
Vincenzo Spadafora, presidente di Unicef Italia, ha ricordato, nello stesso speciale, come molto meno siano stati i miglioramenti ottenuti in ambiti critici per gli adolescenti, come nella frequenza della scuola dell'obbligo: sono 70 milioni i giovani in età di scuola media che non la frequentano e le femmine sono ancora indietro rispetto ai maschi in termini di partecipazione alla scuola secondaria.
Un esempio drammatico di queste contraddizioni è il Brasile, dove nel corso del decennio 1998-2008 si è riusciti a salvare la vita a 26 mila bambini tra 0 e 5 anni da malattie e da sottoalimentazione, ma dove, nello stesso periodo, sono stati 81 mila gli adolescenti tra i 15 e i 19 anni uccisi.
L'adolescenza rappresenta il punto di svolta, quello che consente di confermare i progressi compiuti nella prima infanzia se si è capaci di riconoscerli e di valorizzarli e se esistono i supporti necessari perché questo accada. In assenza di questa capacità, o di questa volontà, il rischio è che dell'adolescenza si manifestino soprattutto le vulnerabilità, o che in tali si trasformino le opportunità tipiche di questa età.
Nel 2009 gli adolescenti nel mondo erano 1,2 miliardi, corrispondenti a circa il 18% della popolazione globale; la stragrande maggioranza, l'88% del totale, vive nei paesi in via di sviluppo. Se gli adolescenti costituiscono solo il 12% della popolazione nei paesi industrializzati, rappresentano invece il 20% in Africa subsahariana, in Asia meridionale e nei paesi meno sviluppati. Più della metà degli adolescenti, circa 660 milioni, vive in Asia, anche se entro la metà del secolo sarà l'Africa ad avere il maggior numero di adolescenti.
Tale dato evidenzia lo stretto rapporto che intercorre tra i giovani e la possibilità concreta di sviluppo per questi paesi. Investire nelle opportunità per i giovani, curandone la scolarizzazione e dando una formazione, anche professionale, di qualità, significa innestare processi virtuosi in grado di scardinare le dinamiche del sottosviluppo.
È scientificamente confermato come gli investimenti in istruzione secondaria possono accelerare i progressi verso il raggiungimento di alcuni degli Obiettivi del millennio, specie quelli relativi alla salute materna e alla promozione dell'uguaglianza di genere.
«La frequenza e il completamento della scuola secondaria sono ancora ben al di là della portata dei gruppi e delle comunità più emarginate di molti paesi», si legge nel Rapporto, il quale evidenzia come nel 2010 tra le ragazze del 60% più povero delle famiglie erano il doppio a non frequentare la scuola rispetto alle ragazze della stessa età del 40% più ricco. Una formazione secondaria di qualità è dunque la premessa perché la catena della povertà si assottigli sempre di più, come mostrano i dati di interventi mirati alla scolarizzazione secondaria delle giovani. È quello che viene definito "l'effetto ragazza"; quando una ragazza in un paese in via di sviluppo riceve sette anni o più di istruzione si sposa più tardi e ha possibilità più alte di trovare un lavoro, e quindi un reddito che, come alcuni studi hanno evidenziato, viene reinvestito nella famiglia nel 90% dei casi contro il 30-40% dei ragazzi.
La frequenza della scuola secondaria e l'acquisizione di competenze e conoscenze in grado di affrontare la sfida tecnologica su cui si basa sempre di più il mercato del lavoro anche nei paesi meno avanzati, sono anche la chiave di volta per ridurre gli effetti della crisi economica mondiale che colpisce le giovani generazioni molto più degli adulti. Nel 2008, anno in cui la crisi ha avuto inizio, i giovani avevano quasi tre volte più opportunità di essere disoccupati rispetto agli adulti, mentre quasi un quarto dei working poor, coloro che pur lavorando non riescono a uscire dalla condizione di povertà, era costituito da giovani.
Protezione e sicurezza
Un dato positivo riguarda la salute degli adolescenti. Quelli di oggi sono più sani delle precedenti generazioni, per notevoli progressi avvenuti nell'alimentazione, anche se in 14 paesi in via di sviluppo le adolescenti rischiano di soffrire di problemi nutrizionali, in particolare di anemia. L'altra faccia della medaglia è, nei paesi ricchi, il rischio di obesità che colpisce una fascia crescente di adolescenti.
Ma il dato più grave è quello degli infortuni: 400 mila sono i giovani che nel 2004 sono stati vittime di lesioni involontarie, tra cui spiccano gli incidenti stradali.
Riguardo alle patologie, occorre ricordare che un terzo dei nuovi casi di sieropositività da Hiv riguarda giovani tra i 15 e i 24 anni, con un rischio di infezione più alto tra le giovani. Si tratta di un dato preoccupante se si pensa che tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni solo il 30% dei maschi e il 19% delle femmine possiede una conoscenza corretta dell'Hiv.
Per le adolescenti rimane grave la loro condizione di esposizione alle mutilazioni genitali: 70 milioni sono, infatti, le bambine e le donne che hanno subito questo genere si escissione che viene fatta di solito nell'età della pubertà.
Il rapporto ricorda come pratiche molto diffuse, specie nei paesi più poveri, determinino condizioni che rendono la vita delle adolescenti più difficile rispetto ai coetanei. È il caso dei matrimoni precoci, che in 31 paesi dell'Asia meridionale e dell'Africa subsahariana avvengono prevalentemente tra i 15 e i 18 anni, e le conseguenti maternità precoci. In Africa ancora oggi un quarto delle ragazze partorisce prima dei 18 anni, in America Latina il 22% , nei Carabi il 18%. Ciò espone le ragazze a maggiori rischi di complicazione sia durante la gravidanza che durante il parto, mentre la mancanza di educazione aumenta la probabilità di infezione da Hiv.
Fondamentale diviene un percorso educativo alla sessualità e all'affettività che renda consapevoli le giovani di questi pericoli. Interessante, al riguardo, sono alcune esperienze come quella avviata in Brasile dove gli adolescenti hanno utilizzato mezzi di comunicazione da loro stessi creati per istituire dei forum dove discutere di argomenti delicati come questo.
L'importanza della partecipazione
Questo esempio evidenzia l'importanza di coinvolgere gli adolescenti nella soluzione dei problemi che li riguardano. È proprio questa una delle indicazioni che si evince dal Rapporto. Lavorare con loro, evitando di far calare dall'alto soluzioni preconfezionate, è l'invito che emerge dal Rapporto, che presenta molti casi di successo dove tale metodologia è stata applicata.
Esprimere le proprie opinioni e idee, oltre ad essere un diritto della Convenzione sui diritti dell'infanzia, stimola il pieno sviluppo della propria personalità, educando i giovani a diventare cittadini attivi. Nell'epoca della massificazione del pensiero e degli stili di vita dettati acriticamente dai media, questa modalità di intervento verso il mondo adolescenziale diviene fondamentale, per evitare il rischio, fin troppo presente nelle società occidentali, di una passività rispetto a tutto ciò che viene proposto.
E i giovani hanno mostrato di saper rispondere a questo stimolo. Mentre nel nostro paese iniziative come i "consigli dei ragazzi" sono stati per lo più un importante momento di confronto tra le istituzioni amministrative e politiche in tema di elaborazione di politiche giovanili - che continuano tuttavia ad avere un colpevole carattere residuale rispetto all'agenda politica -, in paesi in via di sviluppo ragazzi di 15-16 anni hanno espresso le loro idee in merito a questioni verso cui mostrano una sensibilità molto più spiccata degli adulti, come quella ambientale. Come successo al vertice Onu sui cambiamenti climatici del 2008 e a Bonn, nel corso di un incontro internazionale nel 2009, quando un giovane inglese ha provocato scalpore con una domanda rivolta ai rappresentanti adulti dei vari governi, "Quanti anni avrete nel 2050?", che racchiudeva l'acuta consapevolezza che il cambiamento climatico è una questione per cui necessita una risposta intergenerazionale.
Il messaggio che il Rapporto Unicef lancia è non solo che dei ragazzi più giovani occorre aver fiducia, ma che è necessario ascoltarli e prenderli in seria considerazione se si vuole, realisticamente, affrontare sfide epocali che interessano tutti. E che senza di loro il futuro non è possibile.
Sabrina Magnani
Settimana. 10 anno 2011