Famiglia Giovani Anziani

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 126

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 65

Venerdì, 29 Aprile 2011 15:59

Sorridere è un bene. Anche quando è ipocrita o forzato

Vota questo articolo
(2 Voti)

La maggiore o minore cordialità e affabilità che riscontriamo nel prossimo è uno dei sintomi più indicativi circa i nostri rapporti con lo stesso

Accade spesso— non sempre— che, a un nostro sorriso nel chiedere un favore, nel domandare la strada, ci si veda rispondere con un analogo sorriso. Anzi— senza troppa malignità— questa reciprocità di atteggiamenti, e forse anche di sentimenti, è alla base di tutta la nostra vita di relazione. Non solo ma, se non esageriamo, è il nocciolo di tutta la nostra vita comunitaria ed è, addirittura, il primo embrione di quel do ut des che costituisce il piedestallo dei nostri rapporti interumani (senza giungere a sostenere che è anche — in senso peggiorativo — il principio base d’un rapporto «mafioso» : «Ti faccio un piacere perché tu faccia altrettanto nei miei riguardi!» ).

 Naturalmente, senza volere approfondire il problema, ahimè quanto più serio, della mafia, non c’è dubbio che — al di là del vero e proprio atteggiamento mafioso — esiste una «Stimmung» (un’atmosfera patetica) che entra in gioco anche senza nessuna malignità o ritorsione, soltanto come aspettativa di un modo di rispondere del prossimo secondo una istintiva sensazione di «spettanza» circa la restituzione d’un favore e persino d’un sorriso che si rivela anche nelle più futili situazioni, ma che tuttavia può giungere all’esplodere di una totale incomprensione e di offensa, solo per il non aver rispettato la reciprocità del comportamento.

 Ma anche a prescindere da questa patologica suscettibilità nei propri rapporti, mi sembra davvero decisivo sottolineare il fatto che un simile scambio di atteggiamenti patetici avvenga più spesso di quanto non si pensi, per un innato istinto. È ovvio — si dirà a questo punto — si tratta dei soliti «neuroni specchio» ; ossia di quei neuroni che vengono attivati alla vista d’una azione da parte del prossimo e che sono indotti a copiarla proprio in seguito all’attivazione di quella area corticale sede di queste strutture neuronali, messe in luce come è noto (e come ebbi già a ricordare su queste colonne) da parte di una prestigiosa équipe di neuroscienziati pavesi. Ebbene; è forse un po’ triste riflettere sul fatto che— se non fosse per merito di questo circuito neuronale imitativo — non avremmo la soddisfazione di veder aleggiare, sul volto del nostro interlocutore, quel benevolo sorriso che corrisponde appunto e imita istintivamente quello stesso da noi messo in atto per invogliare a rispondere a una nostra richiesta o comunque a trattarci benevolmente.

 La maggiore o minore cordialità e affabilità che riscontriamo nel prossimo è uno dei sintomi più indicativi circa i nostri rapporti con lo stesso e anche del modo per giudicarlo tanto più se si tratta di un «forestiero» e non di un connazionale. Questo fatto, tra l’altro, spiega molti dei nostri giudizi, spesso a vanvera, a proposito di popolazioni straniere solo in base a questi episodi di mancata reciprocità mimica. E queste situazioni tendono ancora una volta a farci riflettere su quanto spesso il nostro comportamento venga indirizzato in maniera sbagliata o insufficientemente controllata nel nostro approccio col prossimo.

 Molti degli equivoci nelle interferenze tra vecchi e giovani, tra datori di lavoro e impiegati, ma anche tra familiari o fidanzati... sono viziati da una insufficiente «consapevolezza» del proprio comportamento di fronte all’Altro: un comportamento che non sempre dovrà essere spontaneo e automatico; quanti, dei sorrisi che abbiamo suscitato nel prossimo (in seguito ai nostri sorrisi) erano genuini? E quante altre volte, per contro, non ci siamo resi conto della benevolenza altrui solo perché il nostro interlocutore non atteggiava al sorriso il suo volto? In definitiva: non fidiamoci troppo dei neuroni specchio (anche se, per dargli più peso, li chiamiamo «Spiegelneuronen» ) e delle loro azioni e reazioni; ma invece sforziamoci, non sempre ma alle volte, di sorridere al nostro prossimo anche se non ne abbiamo voglia. Triste doverlo ammettere: ma credo che molte delle persone più amate e vezzeggiate, lo devono ai loro — più o meno— falsi sorrisi.

Gillo Dorfles

Portale   »   Cogito Ergo Sum ; Corriere della Sera 20.3.11

Letto 2305 volte Ultima modifica il Venerdì, 06 Luglio 2012 08:00

Search