In tal senso andrebbe poi ricordato che la Convenzione di Strasburgo del 1967 in merito all’adozione di minori, afferma che l’adozione possa riguardare oltre che “due persone unite in matrimonio” anche un unico adottante. Prova ne è il fatto che in molti Paesi Europei la questione dell’adozione da parte di un single non è affatto una novità, ma noi in Italia, e non solo in questa materia, ci distinguiamo per essere sempre diversi.
Non intendo qui però soffermarmi su aspetti giuridici della questione, ma porre soltanto alcune riflessioni sul fenomeno dell’adozione nella società odierna. E’ fuor di dubbio che in qualsiasi società laica ed ancor di più in un Paese a forte tradizione cattolica come l’Italia, anche persone dotate solo di buon senso possano concordare sull’idea che una coppia che non può aver figli o che pur avendo figli biologici vuole adottarne un altro, per accogliere realmente un bambino debba essere in grado di offrirgli amore e cura.
Pertanto il desiderio di maternità / paternità adottiva dovrebbe essere centrato sul benessere del minore così come dovrebbe avvenire quando viene dato alla luce un figlio biologico.
Se però passiamo dagli enunciati teorici e rientriamo nei dati di realtà dobbiamo fare i conti con modalità di fare famiglia le più disparate. Oggi quando si sente una coppia di genitori affermare: “Questo è per il bene dei figli” spesso finisce per dirci esattamente il contrario, ovverosia quanto oggi molti adulti hanno bisogno dei figli per sentire meno il vuoto, per rassicurarsi rispetto alle proprie incertezze esistenziali o per farsi la guerra tra di loro triangolando i bambini in mille modi. Oggi una quantità crescente di coppie si separa entro i primi tre anni del matrimonio (vedi dati Istat 2010), magari con un bambino molto piccolo. Una quantità crescente di coppie rimane in situazioni di profonda ostilità ben oltre lo scioglimento del legame di coppia utilizzando in un modo o in un altro i figli piccoli come alleati, come partner sostitutivi, come merce di scambio: molte giovani coppie si sposano avendo già ben presente la possibilità/eventualità di separazione e purtroppo molte giovani donne, già nella fase di costruzione di una vita a due, si prefigurano la possibilità di dover negli anni fare a meno dei propri partner nella cura dei figli. Non che non ci siano ancora molte famiglie felici, stabili, dove amore e affetto circolano quotidianamente nell’ambito della famiglia e dove i figli crescono sicuramente sani con genitori responsabili. Ma purtroppo ciò non è più così frequente in una società sempre più violenta, disintegrata, dove i valori sociali condivisi sono meno presenti e dove prevale l’etica dei consumi assai più di quella dei valori.
Quindi il destino dei figli, e non solo quello dei bambini adottivi, è molto più precario, ma nonostante ciò nella mia esperienza clinica di più di quarant’anni con famiglie e coppie in difficoltà, ho potuto constatare che i figli possono crescere ugualmente bene attingendo a piene mani all’affetto di un genitore solo, di un nonno speciale e talvolta attraverso la risorsa dell’essere / ritrovarsi fratelli con genitori assolutamente immaturi o assenti.
I bambini sanno dove cercare affetto e cura e ne attingono laddove ce ne sia disponibilità.
Quindi, se è vero che molti bambini crescono bene con l’affetto e la continuità anche di un solo genitore (se l’altro non c’è), per i motivi sopracitati, non vedo perché un bambino adottato non possa ricevere le stesse cure e lo stesso amore da un single che possa garantirlo nei suoi bisogni primari.
La motivazione e la capacità di amare sono molle interne individuali che a volte si incontrano con quelle di un altro (il partner) e allora scatta la “magia”, ma questo non può avvenire per legge, per desiderio delle famiglie d’origine o soltanto perché si è “contratto matrimonio”. Una persona però che abbia sperimentato a pieno la vita e che nonostante le difficoltà di questa sia ancora in grado di offrire amore incondizionato a un bambino, potrebbe essere un ottimo candidato all’adozione.
Fin qui stiamo parlando della nostra società culturalmente avanzata, economicamente privilegiata e basata nonostante tutto sulla continuità dei legami, non dimenticando che oggi le adozioni sono pressocchè esclusivamente “internazionali”.
Spostiamoci ora in Paesi (che ho avuto modo di conoscere bene negli anni), come il Brasile, dove nove mesi dopo il carnevale, si possono ritrovare molti neonati abbondonati per strada, nati durante una festa da genitori anonimi; o come l’India dove quantità immense di bambini vivono sole in mezzo al fango in città invisibili, senza risorse; o come il Senegal dove centinaia di bambini dall’età di lattanti fino ai dieci anni, quando sono fortunati, crescono in strutture di accoglienza, dove sono accuditi da pochissimi “eroici” volontari e dove, nell’arco della crescita, sono sottoposti ad ogni sorta di violenza; o come la Colombia, dove i bambini abbandonati in età precocissima, hanno la strada come tetto e apprendono a delinquere come unica opportunità dell’esistere.
La lista di condizioni inumane di vita infantile potrebbe allungarsi all’infinito. Lì non ci sono coppie sposate disponibili ad accogliere un bambino con tutto il loro affetto, lì non c’è niente se non la speranza che “di fuori” qualcuno si accorga di loro. La speranza che almeno alcuni bambini che crescono con il nulla possa incontrare l’amore di qualcuno che attraverso il riconoscimento della profonda ingiustizia sociale in cui gli uomini abitano questo Pianeta, possa diventare candidato per adottare un bambino che cresce tra la vita e la morte.
Di fronte a questa rara disponibilità umana (dare un tetto a un bambino che vive nel fango) bisognerebbe essere meno filosofi, meno Farisei, dimenticarsi della “famiglia del mulino bianco” (immagine più violenta dei film dell’orrore) e fare vere e proprie campagne di sensibilizzazione per coppie e single di tutte le parti del mondo benestante e favorire l’adozione di bambini senza futuro in tante parti del mondo (sia quelle a distanza, ma anche quelle vere!) così da offrire un esempio concreto di come ribilanciare l’ingiustizia sociale, piaga, la più grave, del nostro Pianeta, con l’augurio che nel tempo l’uomo sia in grado di riscoprire un’ “umanità” universale e progredita … rinunciando alle “regole della giungla”.
Prof. Maurizio Andolfi, Docente universitario (Facoltà di Psicologia). Direttore: "Accademia di psicoterapia della famiglia". Fondatore e Presidente della Fondazione "Silvano Andolfi" per lo studio e la ricerca sulla famiglia.