Le sfide che ci lancia la cultura attuale sono cruciali per i destini di quella che noi e definiamo come "famiglia", sfide quindi che non possiamo certamente ignorare. Non possiamo infatti, di fronte alle provocazioni che ci giungono dalla società, assumere una visione complottista, ritenendo queste sfide una "macchinazione" contro una famiglia cosiddetta "tradizionale". Un simile atteggiamento è errato: teorizzare un ritorno alla (mitica) famiglia tradizionale è un'operazione storicamente scorretta e perdente, che può essere facilmente smentita e messa in crisi.
La famiglia in realtà, in tutte le epoche, ha sempre cambiato le sue forme, in una parola la sua pelle, pur mantenendo il suo valore di entità imprescindibile per la crescita e l'umanizzazione delle persone.
Ecco perché soffermarsi sulla forma assunta dalla famiglia in un determinato periodo storico come se fosse l'unica vera e possibile significa in realtà svuotarla del suo significato più profondo, quello di "universale culturale", con il risultato di non riconoscere le caratteristiche che la rendono tale e ci consentono di distinguerla da ciò che famiglia non è.
Questo non significa evitare la (doverosa) critica agli stereotipi della cultura odierna, con i quali il confronto dialettico può e deve essere serrato.
Ad esempio, dire che la famiglia ha conosciuto nel corso del tempo molte forme, non significa accettare supinamente la tesi che ormai la famiglia non esista più, e sia stata sostituita dalle nuove famiglie. Ci si dovrebbe invece confrontare con il fatto che la tanto strombazzata "pluralizzazione delle forme familiari" sia in larga parte la conseguenza, molto spesso non scelta né voluta, da un lato della fragilizzazione del legame coniugale e dall'altro dal processo di invecchiamento della popolazione.
Le sfide che l'attuale cultura pone all'esperienza familiare e affettiva sono - schematizzando - principalmente tre:
• la rimessa in discussione della differenza sessuale;
• la "familiarizzazione" della società in risposta alla trasformazione della famiglia in una sfera del privato;
• un'inadeguata concezione della natura e del ruolo degli affetti.
La teoria del gender
La prima sfida, e la principale come intensità e radicalità, è la rimessa in discussione della differenza sessuale (o di genere) come base stessa della della costruzione della famiglia.
Sono le cosiddette teorie dei gender studies, che costituiscono il corpo ideologico utilizzato dalle lobbies omosessuali per sostenere le loro rivendicazioni, in particolare concernenti il "matrimonio omosessuale".
Il percorso di queste teorie ha introdotto, nel corso degli anni, una crescente distanza tra il maschile e il femminile intesi in senso psicologico e sociale e il maschio/femmina intesi in senso biologico e naturale, fino a non dare più rilievo al dato biologico. Va quindi abolita la centralità della differenza come motore delle relazioni, superata dalla storia, per stabilire una vera uguaglianza tra gli esseri umani!
Come rispondere alla sfida di queste teorie che de-strutturano in modo così radicale la concezione tradizionale dell'uomo e della donna come base del matrimonio e della famiglia?
Ma in realtà questa prospettiva, in cui il singolo si costruisce da sé, in cui il sesso è visto solo come gioco di potere, uccide ogni relazione.
Invece, la differenza sessuale è quell'esperienza che "mette ciascuno di fronte a una finitezza che lo obbliga a coesistere con l'altro", e che "ciò che fonda la parità è l'universale dualità del genere umano, il porre la differenza sessuale come differenza universale" (S. Agacinki).
Sul versante delle conseguenze delle teorie gender nel campo della fecondità e della procreazione (certamente il più delicato), rimane invece indispensabile comprendere che l'ancoraggio fisico della paternità in un corpo maschile e della maternità in un corpo femminile costituisce un dato di fatto irriducibile, che non è solo un limite, ma anche una fonte di significato.
Anche se difficilmente ci sarà presentata in termini così sofisticati, non bisogna però sottovalutare l'insidiosità di questa sfida. Capita, infatti, che si presenti più facilmente sotto la forma della battaglia contro le "discriminazioni", come è successo nel dibattito dello scorso anno sulla regolamentazione delle coppie di fatto.
Sarebbe quindi opportuno che tutti coloro che considerano la differenza come vettore di senso e di umanizzazione sostenessero un approccio al maschile/femminile purificato dalle gerarchie della tradizione.
Oggi abbiamo la possibilità, proprio in risposta ad una sfida così radicale, di reinventare il gioco vivente della differenza non più come imposta da un potere istituzionale, bensì figlia della libertà attuale.
Un'ambigua "familiarizzazione" della società
Questa è la seconda sfida che propone la cultura odierna. Perché ambigua? Sostanzialmente perché ci troviamo di fronte ad una sorta di schizofrenia, dovuta a due tendenze contrastanti, promosse contemporaneamente dalle medesime forze sociali e culturali, fino a diventare sentire diffuso in ampi strati della società.
La prima di queste tendenze è quella che ha relegato la famiglia nella sfera del privato. La famiglia è stata vista così come dedita solo alla gratificazione affettiva dei suoi membri (concetto che riprenderemo nel prossimo punto).
Il soggetto famiglia è stato il grande assente dalle politiche sociali, che hanno avuto come referente quasi esclusivamente categorie omogenee di soggetti deboli, come minori, anziani, portatori di handicap, ecc., ignorando il fatto che vivano in una famiglia.
Ma, e qui sta l'apparente schizofrenia di cui parlavo, la società contemporaneamente spinge verso forme di welfare che rivalutino e valorizzino le comunità, verso servizi personalizzati per i quali si ricorre sempre di più all'aggettivo "familiare" per indicare le sue connotazioni ideali. E così nascono e si diffondono nuove forme di cura "familiare": le case-famiglia, l'affido familiare, le comunità familiari per i minori.
Come rispondere alla sfida che costituisce questo fenomeno? Premesso che tornare indietro è comunque difficile, perché la "privatizzazione" della famiglia la pone sempre più in difficoltà a far fronte ai propri compiti di cura, l'unica possibilità è che le famiglie stesse si organizzino e si mobilitino per chiedere alle istituzioni delle politiche che finalmente riconoscano (nei fatti, non a parole) il ruolo centrale della famiglia. Come per troppo tempo non si è fatto.
Basti pensare alla politica fiscale del nostro Paese, che ha come unità di riferimento l'individuo, o alla politica del lavoro, in grave ritardo nel garantire la possibilità di una conciliazione dei tempi del lavoro con quelli della famiglia, in specie per le donne. Oppure, al ruolo delle famiglie nel mondo della scuola, tenuto volontariamente ai margini di un sistema educativo che le dovrebbe vedere tra i protagonisti.
Non deve più essere consentito di proseguire, da un lato, ad indebolire la famiglia con interventi legislativi - vedi ad esempio la ventilata regolamentazione delle coppie di fatto - miranti a svuotarla di significato, di competenze e di diritti specifici pubblicamente riconosciuti, e dall'altro tentare di scaricare sulle sue spalle compiti e pesi per i quali non si riconoscono i giusti sostegni.
Per questo, è cruciale che le famiglie stesse, attraverso soprattutto l'associazionismo familiare, si attrezzino per difendere e promuovere i loro diritti, le loro prerogative e i loro spazi.
L'ipertrofia degli affetti
La terza sfida è la più pervasiva, perché volenti o nolenti influenza gran parte del nostro pensiero e della nostra sensibilità attraverso la sua diffusione capillare in ogni strato della società, nella cultura e nel costume.
È una concezione dell'amore e dell'affetto, visto come moto indipendente, non governabile del nostro animo, e come tale - come accennavo prima - espressione massima dell'intimità della famiglia e nello stesso tempo della privatezza individualistica in cui si pretenderebbe di farla esistere.
È la perdita della relazione, o quantomeno di una capacità relazionale vera e profonda, a favore di un solitario quanto astratto individuo che nella famiglia cerca solo la propria gratificazione, un nido caldo in cui essere coccolato e accudito, un riparo dall'esterno in cui vivere un'intimità che è in realtà solo proiezione della propria emozionalità.
Questa concezione dell'amore e degli affetti ci viene proposta dai rotocalchi, dalle canzonette, dalle avventure dei vip, e vengono troppo spesso presi a modello, soprattutto durante la fasi più delicate della formazione della personalità, come l'adolescenza. Ma è l'intera società che sembra aver subito un processo di "adolescentizzazione"!
È evidente che su simili concezioni non è possibile costruire niente di duraturo, stabilire relazioni serie e costruttive, in altre parole è difficile su basi tanto fragili e ingannevoli si possano fondare delle vere famiglie.
Dietro ogni relazione affettiva seria e significativa ci dev’essere un lavoro, su di sé e con l'altro, la cura del legame. Si tratta, cioè, di non compiere l'operazione deleteria di mettere in antitesi ciò che invece dovrebbe andare a braccetto: non affetti o legami, ma affetti e legami; non sentimento o ragione, ma sentimento e ragione!
Le conseguenze della mancata assunzione di questa "etica degli affetti" sono molteplici e gravissime. Ci limiteremo solo a un paio di esempi.
Nella relazione di coppia, prevale oggi una visione idealizzata del partner, all'insegna di una fusione automatica e senza incrinature, che porta a chiedere all'altro troppo: una completa intesa sessuale, un sentire comune, medesimi interessi e attitudini…finché la coppia, investita di tante e irrealistiche aspettative, scoppia, cioè va incontro alla delusione e alla disillusione. Non educati al lavoro di cura della relazione, i partner davanti ai primi ostacoli si ritirano, abbandonano il campo: gran parte della notevole crescita delle separazioni e dei divorzi avvenuta in questi anni si spiega così.
La stessa dinamica di sbilanciamento affettivo compare anche nelle relazioni genitori-figli. Oggi sembra che sia il figlio a fondare la coppia, a darle un senso di stabilità, fuori dal contingente. Ma questa centralità del bambino/figlio è molto pericolosa: le sue esigenze, i suoi diritti (e i suoi capricci!) spesso prevalgono sulla logica della coppia e della famiglia.
Il bambino oggi pare entrare nella trama delle relazioni familiari più per rispondere al desiderio di paternità e maternità dei genitori piuttosto che come una nuova generazione che entra nella comunità umana.
I genitori, allora, non si sentono tanto impegnati nel compito di educare (inteso in senso etimologico: ex-ducere, portare fuori, guidare verso una meta) quanto spinti ad attirare il figlio a sé, a "sedurlo" (se-ducere) saturando immediatamente i suoi bisogni su un piano di immediatezza affettivo-emotiva, senza quel distacco che costruisce nel tempo la sana emancipazione del figlio verso l'assunzione delle proprie responsabilità, con i relativi rischi.
Anche qui, è facile notare quanto ormai questo "stile educativo" sia diffuso e imperante, con le nefaste conseguenze sulla crescita umana e psicologica dei nostri giovani che tutti conosciamo, e che spesso vengono sterilmente denunciate da coloro che ne sono (inconsapevoli?) artefici.
Conclusione
La risposta alle sfide che siamo andati delineando ritengo che sia né più né meno che la riscoperta dell'identità più vera e profonda della famiglia, quello che potremmo definire il suo "genoma": quelle caratteristiche che la rendono tale, e che da un lato ci consentono di distinguerla da ciò che famiglia non è, e dall'altro di riconoscerla entro la pluralità di forme che storicamente ha assunto e assumerà, come si diceva all'inizio.
Cos'è quindi la famiglia? Questa è la risposta che ha fornito, in un testo mirabile per densità e precisione, che non richiede alcun commento ma una lettura lenta e meditativa per assaporarlo sino in fondo, la professoressa Eugenia Scabini: "La famiglia è una relazione sociale specifica che lega insieme, con un patto socialmente riconosciuto, due persone di sesso diverso e generazioni diverse, figli e genitori, e attraverso essi fa accedere alle genealogie/stirpi paterna e materna. Nella famiglia il biologico e il simbolico fanno un tutt'uno e il suo compito insostituibile e primigenio è quello di "generare umanizzando", nutrendo ciò che in essa vive e da lei nasce di quella sostanza etico-affettiva che contraddistingue e differenzia il genere umano, la specie Homo sapiens, dal mondo animale. Non c'è riproduzione nella famiglia, c'è pro-creazione, il fine non è biologicamente la sopravvivenza della specie ma la generazione di un irripetibile essere umano che può costruire la sua propria identità solo se può identificarsi con fonti generative benefiche (la madre e il padre o chi ne esercita responsabilmente la funzione) e trova un "posto" e con ciò un compito nella storia familiare.
Comprendere, rimodellare, rinnovare il patrimonio familiare, quello che attraverso la coppia coniugale ci arriva dalla lunga storia generazionale e dalla cultura di appartenenza, questa è l'unica strada che il piccolo dell'uomo ha a disposizione nella sua, a volte difficile, conquista di identità, matrice vuoi di generatività familiare, vuoi di responsabilità sociale. E sempre più e sempre meglio la ricerca psicologica ci documenta l'importanza delle relazioni familiari a partire addirittura dallo stadio intrauterino che è sede di primordiali, ma già vive, influenze interpersonali… Il genoma della famiglia, o "il famigliare", come usiamo chiamarlo, può tradursi in molte forme come la storia del passato suggerisce e come il futuro ci riserverà. Ma esso è un "universale culturale" e se viene meno, se si tradisce la sua natura, non ci sarà più possibilità di dar vita a corpi familiari, pesanti o leggeri, ma in ogni caso umani"
*Centro Internazionale Studi Famiglia
Pietro Boffi
(Sintesi non rivista dall'autore)