ACCOGLIERE LE DIVERSITA' - SECONDA PARTE
-1- LA DIVERSITÀ OGGI: ANALISI E PROPOSTE
Dalla fine dei vecchi equilibri a nuove reti di solidarietà
Questa relazione vuole affrontare il problema della diversità dal punto di vista sociologico calandola nella nostra esperienza di famiglie.
La caduta di alcuni vecchi equilibri su cui si basava la nostra società a cui eravamo abituati da decenni ha accelerato in questi ultimi tempi la diversità, la contrapposizione tra le diversità.
Quali equilibri sono caduti? per esempio quelli legati all’organizzazione del lavoro, alla contrapposizione Est/Ovest, al ruolo degli anziani, dei giovani e della famiglia.
L’organizzazione del lavoro
L’organizzazione del lavoro cui eravamo abituati, il modello Fordiano che si riassume nella catena di montaggio, poteva essere alienante ma creava molti posti di lavoro, si poteva sperare di lavorare fino al raggiungimento della pensione, offriva un posto a tutti, anche a coloro con bassa scolarità.
La nuova organizzazione del lavoro è centrata sulla qualità totale, sul concetto di “just-in-time” che di fatto elimina i magazzini; in questa organizzazione i lavoratori sono definiti risorse umane.
Questa è una bella parola ma che cosa vuol dire risorsa? chi è risorsa? sono risorsa solo i lavoratori che sono adattabili nel tempo, che sono fungibili, e questa impostazione, insieme all’uso estensivo di robot per eseguire lavori che prima svolgevano gli uomini, riduce il numero dei posti di lavoro.
Cambiano così anche i rapporti tra i lavoratori, il neoassunto fa paura, i più anziani vedono in lui un concorrente perché è probabilmente più adattabile, più fruibile. Chi sopravvive e non viene espulso dal sistema produttivo è solo colui che supera la paura di non essere all’altezza.
La contrapposizione Est/Ovest
Alla caduta del muro di Berlino nel 1989 tutti abbiamo applaudito: era la fine della guerra fredda, e con lei la fine della paura di una nuova guerra mondiale, della “bomba”, della morte nucleare.
Ma c’era un rovescio della medaglia che abbiamo compreso solo col tempo: la caduta del muro, dei vecchi equilibri, ha innescato le attese di una moltitudine di individui dell’Est europeo che ha cercato di riversarsi anche nel nostro paese. Questo ci fa paura perché sembra attentare al nostro benessere ma non c’è rimedio: l’Italia è un paese con indice di natalità negativo, ha bisogno di braccia, e inoltre, rispetto ad altri paesi europei, gli stranieri da noi rappresentano solo il 2% della popolazione contro una media internazionale che è del 5%.
Il ruolo degli anziani
Il primo libro sugli anziani è del ’76 e si intitola emblematicamente “L’età inutile”.
Da allora molte cose sono cambiate: la salute degli anziani è migliorata, la speranza di vita si è spostata a 75-80 anni, gli anziani oggi sono più istruiti, sono inseriti in gruppi, hanno hobbies con cui occupare il tempo, ma nonostante ciò il 25% di essi è solo, è isolato.
Questo ha dei gravi costi sociali perché l’uomo ha bisogno di comunicare con gli altri, di relazionare, colui che ne è privato è come una persona a cui sia stato tolto il cibo, il nutrimento.
Ma anche molti degli anziani che svolgono attività reputano queste attività poco significative e ciò provoca in loro frustrazione; infatti il senso della vita consiste nel fare cose che gli altri ritengono significative.
In questo caso la donna è più fortunata (ha sempre badato alla casa e, una volta raggiunta la pensione, continua a farlo), l’uomo si trova invece in una situazione più critica.
Il ruolo dei giovani
Leggiamo ogni giorno sui giornali di ragazzi che vivono situazioni di malessere, leggiamo di omicidi, di atti di violenza contro gli altri e anche contro se stessi.
Un altro indicatore di questo malessere è la cosiddetta “famiglia lunga”, famiglia dove i figli ormai adulti continuano a vivere nella casa dei genitori.
Perché la famiglia lunga? Perché manca il lavoro? Perché non é sicuro? Perché i giovani con il loro stipendio non riescono ad avere una casa comoda come quella dei genitori?
Il motivo vero è che questi giovani, maschi e femmine, sono figli della “grande mamma italiana”.
Questa mamma, nei confronti dei maschi è soprattutto protettrice, teme per i figli, e questi non hanno un padre, perché il padre c’è ma sovente è come se fosse assente.
Ai giovani maschi manca l’identificazione con il padre, lo stare al suo fianco, il lavorare insieme, e, attraverso queste esperienze, comprendere che anche il padre commette errori e così emanciparsi.
Le femmine sono più fortunate perché la madre di solito è più presente in casa e le giovani possono quindi misurarsi, confrontarsi e scontrarsi con essa.
Lo si vede anche nell’ambito universitario: le ragazze sono più forti dei maschi, studiano di più, studiano meglio.
Il ruolo della famiglia
La famiglia è cambiata molto in questi ultimi anni: solo per citare un dato, attualmente i divorzi e le separazioni interessano il 20% dei matrimoni.
Questo mutamento ha un peso molto forte sui giovani, che sono portati ad affrontare il matrimonio mettendo già in conto che, se le cose vanno male, ci si può lasciare.
Il divorzio dei genitori crea inoltre nei giovani delle difficoltà ad avere rapporti con l’altro sesso, perché fa nascere la paura di essere abbandonati.
Come genitori dobbiamo fare un esame di coscienza perché non siamo stati capaci di trasmettere tutti i valori in cui noi siamo stati educati ai nostri figli. Tra questi valori vi possono essere valori grandi, significativi, ma anche altri molto più banali come l’ordine, l’attenzione per le proprie cose, il rispetto della disciplina, la capacità di cucinare, ecc..
Non li abbiamo passati forse perché li ritenevamo poco importanti o perché non ne siamo stati capaci e ora scopriamo i nostri figli disordinati, spreconi, indisciplinati, incapaci di nutrirsi in modo corretto.
Scopriamo che anche il poco che abbiamo insegnato sovente si è perso perché il peso degli amici, del gruppo, è stato più forte di quello della famiglia.
COME GESTIRE LA DIVISIONE
La divisione si gestisce accettando la diversità, trasformandola in una opportunità di scambio vicendevole.
Partendo dal mondo del lavoro le associazioni (dei lavoratori, degli imprenditori p.e.) non dovrebbero limitarsi ad avanzare rivendicazioni, ma dovrebbero diventare più solidali con coloro che rappresentano.
Se marito e moglie perdono il lavoro diventano improvvisamente, da piccoli-borghesi che erano, poveri, sul lastrico.
Le associazioni, anziché limitarsi a difendere coloro che un lavoro lo hanno ancora, dovrebbero fare corsi di riqualificazione per coloro che il lavoro lo hanno perduto, in modo che possano trovare un nuovo lavoro, possano passare alla libera professione, al lavoro in cooperativa.
Passando ai pensionati, la malattia più diffusa nei primi due anni successivi all’uscita dal mondo del lavoro è la depressione.
Solo coloro che si organizzano per tempo e riescono a continuare a fare qualcosa di utile ne sono esenti; un compito delle associazioni è anche quello di favorire chi va in pensione a trovare alternative valide per occupare il proprio tempo.
Anche per i giovani il discorso è simile: le associazioni possono creare progetti per i giovani attingendo ai fondi sociali europei; i giovani stessi, aiutati dalle famiglie, possono organizzarsi in associazioni “no profit” (senza fine di lucro) per offrire servizi.
Da ultimo alcune considerazioni sugli extracomunitari: non possiamo far finta che non esistano, che sono solo delinquenti, che ci portano solo malattie. Dobbiamo aiutarli a integrarsi, a diventare cittadini, se li lasciamo nelle mani degli sfruttatori resteranno sempre come dei topi, relegati a vivere nelle cantine o nei solai dei quartieri più degradati!
VERSO DOVE ANDARE
Siamo stati abituati ad affrontare la diversità? Direi di no: se nelle nostre famiglie nasce un problema siamo portati a nasconderlo per paura di essere considerati diversi.
È qualcosa da superare, dobbiamo mobilitarci per creare delle reti sociali, delle reti di solidarietà, perché, è inutile illuderci, non siamo autosufficienti!
Io padre, io madre, ho bisogno, per la realizzazione dei miei figli, che altri mi aiutino come io, a mia volta, devo cercare di aiutare gli altri.
prof. Guido Lazzarini, sociologo