Il viaggio può essere considerato la metafora dell’esistenza umana, e dunque anche della vita di coppia. In questo cammino – che si configura spesso come una possibilità di esperienza estetica e un momento di contatto con il sacro – la coppia può subire alcune tentazioni. C’è la tentazione della stanchezza; quella della tensione tra il possedere e la povertà; ed infine, pericolosa per l’esistenza stessa della coppia, quella della morte della fantasia.
"Tre cose mi sono difficili,
anzi quattro, che io non comprendo:
il sentiero dell’aquila nell’aria,
il sentiero del serpente sulla roccia,
il sentiero della nave in alto mare,
il sentiero dell’uomo in una giovane" (Prv 30, 18-19)
Visitando due diverse località, in tempi successivi e in opposti spazi del mondo, ho avvertito dei turbamenti che difficilmente potrei descrivere, senza cadere nella banalità che scaturisce quasi sempre dai luoghi comuni dei racconti. Totalmente diversi e, paradossalmente, con tante similitudini, hanno colpito la mia attenzione, fino ad imprimere nella mia memoria immagini di eventi straordinari. Non sto parlando di musei o di collezioni d'arte, dove la creatività e il sudore dell'uomo hanno lasciato tracce perenni, ma di luoghi che avevano in comune una variabile esile e inconfondibile: in entrambi questi luoghi si parlava di viaggi. Il primo di questi, Auschwitz, trasformato in luogo di culto e di meditazione da una sana volontà collettiva che chiede all'umanità intera di non dimenticare, conserva, accatastate come erano state disposte all'epoca, ma in una cornice da sacrario, le poche cose che venivano tolte ai prigionieri dei campi i quali, a loro volta, da li procedevano per l'ultimo viaggio: o i lavori forzati se avevano ancora energie, o i forni crematori. L'altro, Ellis Island, l'isoletta che sta tra la statua della Libertà e il porto di Manhattan, punto di sbarco per chi si lasciava convincere a tentare la fortuna nel nuovo mondo, ha avuto dopo il 1953, data in cui ha cessato le sue funzioni di quarantena per tutti gli immigrati, una sistemazione suggestiva - al pari di un sacrario ricostruito sulla base di testimonianze e la catalogazione di oggetti e corredi che accompagnavano quella povera gente, privi peraltro di qualunque valore venale - in grado di riproporre fedelmente lo spirito che accompagnava chi all'epoca, aveva deciso di trasformare la propria vita con il più promettente ed avventuroso dei viaggi.
L'inquietudine, un percorso consumato.
A differenza degli spostamenti animali, sostenuti per la maggior parte da istinti di branco o da esigenze fisiologiche, il nomadismo umano è animato dal desiderio di scoprire, raggiungere, vedere, possedere, ripartire. Giasone, Ulisse, Pantagruele, Gulliver, Sigfrido, Parsifal, Galahad… la schiera dei grandi avventurosi che hanno da sempre popolato la nostra fantasia con i loro viaggi fantastici è incontenibile, come incontenibili sono le gesta – qualche volta nobili, altre di pura, umana curiosità - che hanno fatto da propulsore ad imprese da leggenda. Se è vero che la mèta è quasi sempre figurativa, diventa concreto e coinvolgente, invece, il confronto con le difficoltà. Mai vi fu metafora tanto fedele e trasparente quanto il confronto simbolico tra viaggio ed esistenza umana. Nel gergo comune, l'uso sempre più frequente dei sinonimi che arricchiscono l'immagine del viaggio si modella su uno stile di pensiero che si oppone alla staticità e alla concretezza del mondo reale. Nella routine si parla ormai di tragitti concettuali, di cammino esperienziale di percorso esistenziale. di itinerario formativo, di transiti esplorativi, di voli pindarici, di sentieri iniziatici, di decorsi convalescenziali, di viaggi mentali.... una polisemia, quella legata a questo simbolo, che occupa un numero indefinito di piani, intrecciandovi di continuo il proprio significato latente. Ma se davvero il viaggio può essere considerato la metafora dell'esistenza umana, è innegabile ammettere che alla base si trova la volontà e non la casualità, Quello che rende ogni viaggio degno di nota e di interesse è la presenza e la natura degli ostacoli che si frappongono nel raggiungimento del fine. Le traversate del mar Rosso e del deserto del Sinai finiscono per essere gli stereotipi di tutti gli ostacoli. Da una parte le difficoltà materiali e la paura; dall'altra la solitudine e la tentazione. Un'esperienza, dunque, che può rendere titubanti, ma che sa presentarsi come irresistibile e, quindi, irrinunciabile. La vera molla di tutto ciò è e resta l'inquietudine umana che conserva da sempre due ingredienti allettanti: la curiosità e la fantasia. Ed è proprio quest’ultima che sembra imparentare l'uomo con il divino. Ogni gesto, ogni approccio, ogni conquista viene sempre prima assaporata dall'immaginario. Si può sostenere che, prima ancora che nella realtà materiale, i nostri incontri vengono consumati nella fantasia: un cavallo brioso e bizzarro - per dirla con Platone - che chiede di essere domato per offrire garanzie di razionalità e che allo stesso tempo pretende la briglia sciolta per condurre alla scoperta di mondi e trasgressioni attraverso opportunità uniche e irripetibili. Il viaggio non può essere catalogato come un'esperienza qualunque. I caratteri che lo contraddistinguono fanno dell'uomo che lo affronta un prode e un coraggioso perché oltre ad essere una prova di padronanza fisica, offre l'opportunità per un'esperienza estetica e un momento di contatto con il sacro.
La prima di tre tentazioni: la stanchezza
La coppia vede la luce quando il maschio e la femmina decidono di intraprendere un cammino di condivisione totale. Era tutti gli stereotipi che si possono evocare, quello relativo alla coppia in cammino esprime in modo appropriato il più avventuroso dei viaggi. Se il regno animale offre esempi strabilianti di attrazioni fisiologiche e, conseguentemente, di spostamenti che hanno dell’incredibile - dalle migrazioni di abitanti marini che attraversano oceani interi per congiungersi e accoppiarsi, alla piccola e fragile falena che è catturata dall'odore degli ormoni del partner che può distare anche qualche chilometro -, l'attrazione tra un uomo e una donna è il punto di partenza per un percorso fra i più esaltanti e originali che qualunque fantasia possa concepire, proprio perché si presenta come totalmente immateriale e fortemente impegnativo. A sottolineare lo spessore di questa fatica entrano in giuoco le opposte polarità entro cui si muovono le componenti della concretezza e della immaterialità, dello sconforto e della gioia, della routine e della novità. Si procede a tentoni, almeno per un certo periodo o, per dirla con un termine caro alla scuola comportamentista, per tentativi ed errori. Contare gli ostacoli disseminati sul cammino è tanto arduo da risultare impensabile; e quello che può facilmente sfibrare la resistenza di una coppia è la maledetta tentazione di tirare i remi in barca e arrendersi. Chi non è rimasto deluso dalla constatazione di aver contemplato un miraggio? Chi vorrebbe far credere di non aver ceduto qualche volta alla stanchezza che segue una prova estenuante! Nella stupenda sentenza "Dies irae", fonte inesauribile di ispirazione sacra e profana, con poche struggenti pennellate, ci vengono presentati i tratti di un Salvatore che a furia di rincorrere il peccatore, per offrirgli la salvezza, si ferma stanco (querens me sedisti lassus). L'evangelista Giovanni inizia il racconto che culminerà con la conversione della Samaritana da una immagine di Gesù stanco e assetato. La stanchezza e la tentazione allo scoraggiamento sono realtà fisiologiche del tutto comuni: nella vita di una coppia, poi, sono variabili che devono essere messe in conto fin dall'inizio per poter essere opportunamente affrontate. Le prove, le delusioni, gli ostacoli, gli imprevisti, tutto può trasformarsi in battuta d’arresto. Ci sono momenti così faticosi che al normale ruolo che ci viene chiesto di interpretare, preferiremmo quello della comparsa. E ci sono anche delle menti tanto ossessionate dalla fatica che finiscono per scorgere un pericolo nei più innocenti fatti quotidiani, fino a trarre dal più piccolo evento un motivo di ansia. Si arriva anche a dimenticare il motivo di vanto costituito dall'aver condiviso, in periodi tormentosi, la sofferenza dell'altro. Poi, quasi d'improvviso, ti rendi conto che qualcosa è tramontato senza lasciarti il modo di distinguere se sia la scena che hai di fronte o le immagini del tuo mondo interiore. Ti senti fuori luogo, oppure vecchio o semplicemente un po’ smarrito? È un disagio che devi affrontare, vincendo con fatica la tentazione all'appiattimento e all'inedia, per non correre il rischio che una normale sosta nel tuo percorso diventi la tua prigione. Vivere insieme significa compartecipare e quindi cibarsi anche di frutti che possono essere amari o mangiare insieme piatti di gusto diverso. Superare la tentazione della stanchezza significa riassaporare la voglia di riprendere il viaggio.
La seconda: tra avere o essere
Viaggi e spostamenti: una preoccupazione costante, quindi, per la nostra mente che, però, subisce anche il fascino di tante, imprevedibili incognite. I traguardi sono sempre fuori dalla portata del nostro sguardo ed è difficile sapere fin d'ora quali sorprese, buone o cattive, ci riserba la sorte. Il boscaiolo che abbatte una grossa pianta può fantasticare sull'utilizzo e il destino futuro di quell'albero e forse non saprà mai se, una volta scavato, servirà in un viaggio come barca o come bara. La preoccupazione più avvertita e angosciante che risuona negli orecchi all'inizio di ogni itinerario sembra essere uguale per tutti: "Cosa mi porterò dietro? Di cosa potrò avere bisogno?".
Tutti i traguardi della nostra modernità appaiono incastonati e sintetizzati nel breviario per l'uomo di successo: più soldi più felicità. Ci sono delle persone che, prese dall'incubo di spezzare un'eredità, trovano tutte le giustificazioni alla loro preoccupazione di non sovraffollare la terra.
I richiami delle Scritture alla povertà dei ricchi sono molte e tutte molto severe: "Meglio un povero dalla condotta integra che uno dai costumi perversi anche se ricco" (Prv 23,6). "Meglio un ragazzo povero, ma accorto, che un re vecchio e stolto che non sa ascoltare i consigli. Il ragazzo, infatti può uscir di prigione ed essere proclamato re anche se, mentre quegli regnava, è nato povero" (Qo 4,13-14). "Molti sono andati in rovina a causa dell’oro, il loro disastro era davanti a loro. E’ una trappola per quanti ne sono entusiasti, ogni insensato ne resta preso" (Sir 3 1,6-7). "Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla" ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo" (Ap 3,17). A dire il vero, in un contesto storico dalle grandi aperture, in cui si ama essere definiti progressisti, si parla tanto anche dei poveri. Ma fin quando non si ha il coraggio di condividere la loro sorte, le nostre filippiche rischiano di rimanere urla isteriche, unite qualche volta ad ipocrisia. Portiamo nelle nostre case ingombranti bagagli di preoccupazioni e di tristezze. Spesso viviamo nel silenzio e nella solitudine, delegando ai beni di consumo il compito di risollevarci. La stessa cura che impieghiamo nel ricuperare i mobili d'arte diventa un surrogato della pietà con cui alleviamo quelle ferite che sminuirebbero l'armonia e la felicità che da loro ci si aspetta. Man mano che si procede nel cammino verso il successo, aumenta la nostra propensione all'uso del pronome possessivo. La povertà fa paura. Fa paura l'abbrutimento che spesso ne consegue. Non è un'iperbole affermare che un povero che vive in Grazia di Dio è un santo. Lo spettacolo che molti poveri hanno offerto ai nostri occhi non può non farci riflettere. Nel testamento spirituale di don P. Mazzolari si legge: "Non possiedo niente. La roba non mi ha fatto gola e tanto meno occupato. Non ho risparmi, se non quel poco che potrà si e no bastare alle spese dei funerali". Chi decide di far conoscenza con i poveri - e fra questi i poveri di spirito - sa che la loro scelta è tra l’essere o l’avere. Loro non hanno altro pane che quello di volersi bene e dirsi a vicenda le pene che tarlano i loro piccoli giorni. Sono come le formiche di tutte le case ed hanno per amico fidato il sole. A lui chiedono un soldo d’oro e lo stringono nella mano scura mentre i bimbi bevono l'acqua della fonte e tutti insieme chiedono di non perdere la salute e la possibilità di guadagnarsi qualcosa per arrivare a sera. Sono sempre all'ultimo posto e cenano a lume del tramonto; si levano col canto del gallo e sono estranei alla cronaca del mondo, ma sanno che sulla terra, prima di loro, fu povero Gesù.
Terza: la morte della fantasia.
Da molti anni, nei momenti in cui il sonno tarda ad imprigionarmi, mi dà serenità immaginare che sui passi irrequieti degli uomini, Dio disegni ogni notte un sorriso di stelle, quasi a rintracciare le lacrime perdute, cosicché, vinto dal sonno, nella sua muta casa, ogni uomo veda oltre i confini della sua fronte un paese dai tetti d'oro e dalle ombre di cristallo. Le lacrime sono una tappa obbligata, la prima esperienza che ogni uomo fa, venendo al mondo. C'è chi si ferma a contemplare il momento della nascita come l'inizio del dramma, sostenendo che il bimbo piange per gridare l'orrore di essere stato espulso dal grembo materno. In realtà, se questo evento rispetta un copione ben conosciuto, è lecito affermare che tutta la commedia che l'uomo recita nel corso della propria vita ha per teatro il mondo intero e rischia di essere monotona e ripetitiva. Eppure la noia ha i suoi antidoti: vecchi quanto l’uomo, ma sempre validi. Una grossa parte di opinioni, quella legata al folclore, sostiene che la nostra fantasia è alimentata da cronache o prescrizioni, da ricordi o fattacci irripetibili che si devono sussurrare sottovoce, con le teste vicine, le schiene ricurve e uno sguardo circospetto capace di allontanare indiscrezioni su segreti, per la verità, più volte profanati. Una residua parte, quella che cerca di crescere nella saggezza, ritiene, al contrario, che la fantasia sia un bene da proteggere e da condividere prima di tutto nella coppia. E c'è un posto solo dove si può aprire il teatro più bello per uno spettacolo unico al mondo. Senza abilità né doni da prim'attore, senza una scuola che ti insegni come strappare gli applausi ed il bis di un pubblico assorto, puoi avere tanto talento da sentire che anche in mancanza di manifesti hai davanti il tutto esaurito come ad una grande prima. E’ il traguardo dell'intimità. La sua ricerca presuppone una grande costanza e una fede incrollabile. Il sentiero che porta all’incontro, costellato di enigmi e di tentazioni, può essere riconosciuto solo se lo spirito è animato da una sana, incontenibile curiosità per l'altro. E in questo incontro, la più grande avventura della tua vita, gli altri incontri sfumano, facendosi rari fino a scomparire, come le stelle in una notte piovosa.
Giovanni Scalera, Psicologo – Siena (da "Famiglia domani" 2/99)