Famiglie monogenitoriali
Tra le forme familiari delineate, particolare rilievo assumono per la loro consistenza numerica, le problematiche relazionali ad anche sociopolitiche che in molti casi vi sono connesse, le famiglie composte da un solo genitore e almeno un figlio, dette anche famiglie monoparentali o monogenitoriali.
In realtà le famiglie con un solo genitore non sono un fenomeno nuovo: essere erano diffuse nel passato, ma con caratteristiche e significati diversi rispetto ad oggi. Allora queste famiglie traevano origine per lo più dalla morte precoce di uno dei due coniugi, o dall’emigrazione degli uomini o delle donne nubili abbandonate dopo essere state rese madri (Barbagli, Saraceno, 1997). Nella realtà attuale, invece, le famiglie monogenitoriali derivano soprattutto da scelte volontarie degli individui e il loro aumento è riconducibile, spesso, alla fragilità che oggi sembra caratterizzare il legame coniugale, al diffondersi delle separazioni e dei divorzi e di stili alternativi di vita.
In Italia, in particolare, anche in questo caso coesistono elementi di tradizione e di modernità. In effetti, nel nostro Paese la quota di famiglie con un solo genitore è più bassa rispetto agli altri paesi, ma è anch’essa in crescita. Da noi i fenomeni che danno origine alle famiglie monogenitoriali, quali separazioni, divorzi, nascite volontarie fuori dal matrimonio, non raggiungono le dimensioni che hanno in altri paesi dell’Europa occidentale, per una serie di ragioni economiche, sociali e culturali che si possono riassumere sinteticamente nel ritardo del processo di modernizzazione del paese. Inoltre l’età dei genitori soli rimane più elevata in Italia rispetto agli altri Paesi, perché da noi la vedovanza ha ancora un peso relativamente maggiore e separazioni e divorzi avvengono abbastanza tardi. Tuttavia, si è registrato negli ultimi anni anche un rapido e considerevole ringiovanimento di madri e padri soli, perché calano i vedovi e le vedove, aumentano i genitori mai sposati, che sono di regola i più giovani e diminuisce l’età dei coniugi alla separazione e al divorzio (Zanatra, 1997).
Un altro elemento importante è la femminilizzazione che caratterizza questi nuclei familiari: in tutti i paesi, compresa l’Italia, nell’80% e più dei casi il genitore solo è la donna.
Si comprende allora il perché, secondo la maggioranza degli studiosi, queste famiglie corrono il grave rischio di trovarsi in condizioni economiche e sociali svantaggiate, proprio a causa della posizione sfavorevole delle donne nel mercato del lavoro e dell’assunzione esclusiva della responsabilità di cura verso i figli.
Le problematiche relative alle famiglie con un solo genitore che si sono formate a seguito di separazione e divorzio, meritano un’attenzione particolare, in quanto ovunque in aumento. In seguito alla rottura coniugale, di solito i figli restano con le madre non solo perché nelle separazioni giudiziali i giudici tendono a privilegiare fortemente l’affidamento materno, ma anche perché in tal senso si accorda la maggior parte degli ex coniugi quando ricorrono alla separazione consensuale. Si tratta, dunque, di un orientamento culturale generalizzato che delega alla sola madre i compiti di allevamento e cura dei figli determinando anche sensibili mutamenti sul normale svolgimento della vita familiare e del suo ciclo evolutivo.
Nonostante in questo ultimi tempi si parli molto del nuovo ruolo dei padri, essi sembrano essere i grandi assenti della scena. Il divorzio diventa così un evento critico non solo sul piano economico e sociale, ma anche e soprattutto su quello psicologico. In particolare, i figli attraversano un periodo iniziale di difficoltà da parecchi punti di vista (equilibrio psico-affettivo, adattamento sociale e scolastico) soprattutto qualora tra i genitori vi sia forte conflittualità.
La sostanziale prevalenza dei nuclei monogenitoriali materni, quando non accompagnata da un attivo interessamento del padre, incide in modo assai rilevante anche sulla qualità delle relazioni genitore-figlio. La non realizzata compresenza educativa di esperti fusionali e protettivi (materni) ed emancipati e di norma (paterni), produce spesso relazioni o di eccessiva dipendenza e fusionalità (soprattutto quando si tratta di bambini piccoli) o tropo disinvolta emancipazione ed autonomia, che li conduce addirittura ad assumere un ruolo "parentificato" accanto al genitore, soprattutto nel caso di figli adolescenti.
Altro elemento rilevante è legato al fatto che, in queste situazioni, è la famiglia d’origine che abitualmente offre l’aiuto maggiore sotto forma di sostegno economico e di servizi, quali il lavoro domestico, la cura dei bambini, ecc. E’ alla famiglia d’origine si rivolgono molte madri sole per essere aiutate a far fronte al duplice compito di procacciare le risorse materiali e prendersi cura dei figli. I effetti, i figli dei genitori soli convivono molto più frequentemente con i nonni di quanto facciano i figli delle coppie. Questo è in buona parte dovuto al fatto che spesso le donne, dopo la separazione o il divorzio, tornano temporaneamente o definitivamente a vivere con la famiglia d’origine, mentre le madri nubili spesso non se ne sono mai allontanate. Anche la convivenza con altri parenti è più frequente, così come l’affidamento abituale del bambino ad amici o vicini o il ricorso a personale pagato (Zanatra, 1997).
Il contributo della famiglia estesa è senza dubbio importante, tuttavia ciò che può comportare in termini di difficoltà e ritardo nei processi di emancipazione del nuovo nucleo, si converte in una maggior delega di quest’ultimo delle responsabilità verso i figli.
Prof. Maurizio Andolfi