Esperienze Formative

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Sabato, 24 Novembre 2007 20:50

Verginità di Maria (Luigi De Candido)

Non esiste per questa verità mariana una proclamazione dogmatica solenne. Eppure pastori e fedeli hanno sempre onorato Maria con questo titolo. La sensibilità odierna per questo appellativo mariano.

Nella costituzione dogmatica sulla Chiesa, ma non solo, il concilio ha dedicato una attenzione particolare al sacerdozio comune o battesimale dei fedeli. Essa si spiega con la ripresa della riflessione sulla natura e sull’identità della Chiesa, iniziata in modo originale subito dopo la prima guerra mondiale, e dunque negli anni ’20 del XX secolo.

Venerdì, 23 Novembre 2007 01:38

Minucio Felice (Lorenzo Dattrino)

MINUCIO FELICE

di Lorenzo Dattrino






Della sua vita abbiamo alcune notizie da Girolamo: «Minucio Felice, distinto avvocato in Roma, scrisse un dialogo, in cui riporta una discussione tra un cristiano e un pagano, intitolato Octavius (Ottavio). Sotto il suo nome circola pur un altro libro Sul destino o contro i matematici; ma per quanto sia opera d’uomo di talento, non mi sembra concordi nello stile con l’opera già menzionata. Minucio è altresì ricordato da Lattanzio nelle sue opere». (1)

Indubbiamente il nostro uomo appartenne a un’età compresa fra gli ultimi decenni del Il secolo e gli inizi del III. Sembra ormai accertato che la sua patria fu l’Africa, (probabilmente Cirta, oggi Costantina, Algeria). Presto egli si portò a Roma, dove esercitò l’avvocatura. Era dapprima pagano: si ignora se la sua conversione avvenisse prima del suo arrivo nella capitale dell’impero, oppure dopo.

L’opera, intitolata Ottavio, si presenta in forma di dialogo, svolto da parte di tre intimi amici: Cecilio Natale, pagano; lanuario Ottavio, cristiano e Minucio Felice, arbitro tra i due interlocutori. L’occasione che diede motivo alla discussione fu un bacio che Cecilio, il pagano, aveva indirizzato, come espressione di religioso ossequio, alla statua di Serapide, davanti alla quale erano venuti a trovarsi i tre amici, mentre compivano una loro serena passeggiata lungo la strada che da Ostia portava a Roma.

L’opera si articola nelle seguenti parti: dopo una breve introduzione (cc. 1-4), ecco un’esposizione del paganesimo, dichiarata con piena convinzione da parte di Cecilio (cc. 5-13). Interviene allora Ottavio con una risposta di ben maggiore convinzione in difesa del cristianesimo (cc. 14-38)

Il carattere di quest’opera è strettamente apologetico. Specialmente in passato essa è stata oggetto di indiscussa ammirazione. Rimangono tuttavia alcuni problemi ancora insoluti. Resta dubbia innanzitutto una prima questione: il dialogo è realmente avvenuto, oppure è opera d’una mera finzione letteraria? I critici rilevano, nella struttura dell’opera, la presenza di due orazioni abilmente introdotte dall’autore stesso e poi collegate fra loro, così da risultarne un dialogo.

Dopo tutto, lo scrittore si sofferma poco sulla trattazione dei dogmi e sui principi essenziali della fede cristiana, come tale. Egli sa che di fronte al suo obiettore deve difendere il cristianesimo più nella sua parte esteriore che non per la profondità dei suoi dogmi. Pertanto «le ragioni delle caratteristiche dell’opera di Minucio vanno ricercate nell’epoca in cui l’autore visse, come pure nell’educazione e nel carattere della sua mentalità, ben diversa dal carattere e dalla mentalità di un Tertulliano». (2) Quella che egli intende difendere e valutare è la vita dei cristiani, ben più che il complesso dottrinale della loro fede.

1) Girolamo, De viris illustribus, Torino 1971 (trad. di E. Camisani), p. 166
2) U. Moricca, Letteratura latina, I, pp. 84-85.




Per l’approfondimento

Edizioni

L 3,231-360; CSEL 2.1-71

Traduzioni

E. Paratore, Minucio Felice: Ottavio, Bari 1971; L. Rusca, Minucio Felice: Ottavio. Contraddittorio tra un pagano e un cristiano, Milano 1957

Studi

E. Paratore, La questione Tertulliano-Minucio, ha «Ricerche Religiose» 18 (1947), 132-159; I. Vecchiotti, La filosofia politica di Minucio Felice, Urbino 1974 Girolamo, De viris illustribus, Torino 1971 (trad. di E. Camisani), p. 166 U. Moricca, Letteratura latina, I, pp. 84-85.

Appollaiata sulle alture della Galilea, Safed (Tsfat) città santa del giudaismo, accoglie ogni anno decine di migliaia di pellegrini che si stringono sulle tombe dei saggi e dei grandi maestri della mistica ebraica.

Risposte raccolte da Frédéric Lenoir e Karine Papillaud


Celebra le donne e la Ragione, il sacro e il dovere, la Storia e il romanzo, in una trentina di libri come La Gloire de l’Empire, Histoire du Juif errant; la Douane de mer o Une fête en larmes: Jean d’Ormesson è uno degli scrittori francesi più conosciuti e soprattutto più amati dai suoi lettori. Entrato all’Académie française nel 1973, è stato, a 48 anni, il più giovane accademico da lungo tempo. Aristocratico, repubblicano, innamorato di Chateaubriand e di Venezia, è un erede dei Lumi per la sua cultura enciclopedica, un libero pensatore affermato e soprattutto un focoso innamorato della vita e dei suoi piaceri. Dall’alto delle sue 81 primavere piene di fascino e di vitalità, Jean d’Ormesson è, da solo, una parte del patrimonio letterario francese. Agnostico, flirta volentieri con il problema di Dio.

Venerdì, 23 Novembre 2007 00:53

Il buon uso di Giuda (Frédéric Lenoir)

Il buon uso di Giuda

di Frédéric Lenoir



Il Vangelo di Giuda è stato il best-seller internazionale di questa estate. (1) Destino straordinario per questo papiro copto strappato alle sabbie dopo diciassette secoli di oblio e di cui non si conosceva finora l’esistenza se non dall’opera di sant’Ireneo Contra hereticos (180). Si tratta dunque di una scoperta archeologica importante. (2) Tuttavia esso non apporta nessuna rivelazione sugli ultimi momenti della vita di Gesù e non è assolutamente possibile che questo libricino possa “agitare fortemente la Chiesa”, come proclama l’editore in quarta pagina di copertina.

Anzitutto perché l’autore di questo testo scritto alla metà del II secolo non è Giuda, ma un gruppo di gnostici che ha attribuito la paternità del racconto all’apostolo di Cristo per dargli più senso e autorità (procedimento frequente nell’Antichità). E poi perché, dopo la scoperta di Nag Hammadi (1945), che ha permesso di portare alla luce una vera biblioteca gnostica che comprende molti vangeli apocrifi, si conosce meglio la gnosi cristiana, e infine perché Il Vangelo di Giuda non porta alcuna luce nuova sul pensiero di quel movimento esoterico.

Il suo successo fulmineo, perfettamente orchestrato dal National Geografic che ha acquistato i diritti per tutto il mondo, non dipende soltanto dal suo titolo straordinario: “Il Vangelo di Giuda”. Associazione di parole stupefacente, impensabile, sovversiva. L’idea che colui che i quattro Vangeli canonici e la tradizione cristiana presentano da duemila anni come “il traditore”, “il cattivo”, “l’adepto di satana” che ha venduto Gesù per una manciata di soldi, abbia potuto scrivere un vangelo è intrigante. Che abbia voluto dire la sua versione degli avvenimenti per tentare di allontanare l’obbrobrio che pesa su di lui è anche formidabilmente romanzesca, quanto il fatto che questo vangelo perduto sia ritrovato dopo tanti secoli di dimenticanza.

In breve, anche quando non si conosce nulla del contenuto di questo libretto, non si può che essere affascinati da un simile titolo. Tanto più che, come ha ben rivelato il successo del Codice da Vinci, la nostra epoca dubita dei discorsi ufficiali delle istituzioni religiose sulle origini del cristianesimo e che la figura di Giuda, come quella della lunga lista delle vittime o degli avversari vinti dalla Chiesa cattolica, è riabilitata dall’arte e dalla letteratura contemporanea. Infatti come avrebbe potuto il Cristo compiere la sua opera di salvezza universale se non fosse stato consegnato da quel disgraziato? Il vangelo attribuito a Giuda cerca d’altronde di risolvere il paradosso facendo dire esplicitamente a Gesù che Giuda è il più grande degli apostoli, perché è lui che permetterà la sua morte: “Ma tu li superi tutti! Perché sacrificherai l’uomo che mi serve da involucro carnale” (56). Questa parola riassume bene il pensiero gnostico: il mondo, la materia, il corpo sono l’opera di un dio perverso (quello degli Ebrei e dell’Antico Testamento); lo scopo della vita spirituale consiste, mediante l’iniziazione segreta, in questo: che i rari eletti, che possiedono un’anima divina immortale, dono del Dio buono e inconoscibile, possano liberarla dalla prigione del loro corpo. È piuttosto divertente constatare che i nostri contemporanei, infatuati della tolleranza piuttosto materialisti, e che rimproverano al cristianesimo il disprezzo della carne, si appassionino per un testo nato da una corrente che a suo tempo fu condannata dalle autorità della Chiesa per il suo settarismo e perché considerava che l’universo materiale e il corpo fisico fossero un’abominazione.

1) L’Évangile de Judas, traduction et commentaire de R. Kaiser, M. Meyer et G. Wurst, Flammarion, 2006, 221 p., 15 €. Rodolphe Kasser, Marvin Meyer, Gregor Wurst, Bart D. Ehrman (a cura di), Il Vangelo di Giuda, Vercelli, National Geographic Society - White Star, 2006. È la versione italiana della traduzione "ufficiale" del testo, accompagnata da alcuni saggi.

2) Vedere Le monde des Religions, n° 18.
(da Le monde des religions 19, p. 5)

di Andrea Pacini

La grande sfida è trovare vie che portino alla conoscenza della fede cristiana, con uno sforzo di mediazione culturale dell’annuncio.

di Biagio Bonardi

L’uomo è un essere che spera, ma oggi molti ostacoli impediscono il pieno esercizio di questo atteggiamento. La mancanza di fede, il neo-paganesimo, l’indifferentismo, l‘ateismo hanno cancellato e reso molto ardua la speranza soprannaturale. Ma anche la speranza naturale si è resa difficile e il nostro futuro si fa problematico.

Giovedì, 22 Novembre 2007 23:51

Fatwâ (Maria Domenica Ferrari)

Fatwâ

di Maria Domenica Ferrari

La fatwâ è un parere giuridico non vincolante in merito a questioni civili o religiose. Per molti aspetti ricorda l'istituzione romana dello jus respondendi.

Una fatwâ può essere chiesta da un singolo musulmano a titolo privato, da un giudice (qâdî), da un’istituzione. Chi svolge tale compito si chiama muftî.

Un muftî si limita a dare indicazioni su di un comportamento, molto spesso pratico, dal punto di vista della correttezza rispetto alla shari‘â. Non sentenzia su di un fatto compiuto.

Da mettere in rilievo è il fatto che una fatwâ è una semplice opinione, lo stesso richiedente può rivolgersi a vari mufî e se questi esprimono pareri diversi, conformarsi a quello che più lo soddisfi.

La futyâ (l’atto di emettere fatwâ) permise, e permette, se ben utilizzata di proporre nuove interpretazioni, dell'apparente immodificabile shari‘â.

Le fatwâ dei grandi muftî potevano essere riportate nei libri di diritto.

Una fatwâ ha forza di legge solo se un giudice si conforma ad essa.

Accanto a muftî non ufficiali, tali perché accettati come autorevoli da una comunità, fin dalle origini dell'Islam sono esistiti muftî designati e utilizzati dal potere esecutivo. Grande sviluppo di tale carica si ebbe soprattutto con gli Ottomani, quando il muftî di Costantinopoli divenne la più importante carica amministrativa religiosa sunnita, indipendente dal sovrano.

Un esempio di fatwâ, emessa nella zona di Gerusalemme nel secolo scorso, riguarda uno shaykh beduino che aveva ripudiato la moglie non intenzionalmente. Nella richiesta lo shaykh spiegava i motivi che avevano causato questo ripudio involontario: il fratello voleva sposare una donna che lui non approvava, ed aveva promesso solennemente che se il fratello si fosse sposato contro la sua volontà, e questa donna fosse entrata in casa sua, lui avrebbe sciolto il proprio matrimonio.

Il giudice applicando la legge della scuola giuridica hanafita, si pronunciò per lo scioglimento del matrimonio poiché gli hanafiti non danno importanza all’intenzionalità in tali decisioni. Lo shaykh che non voleva ripudiare la moglie, si trovò in una situazione per la quale la legge musulmana prevede che la donna prima debba sposarsi con un altro uomo, divorziare da lui e solo allora può risposarsi con il primo marito. Lo shaykh scontento di tale decisione si rivolse allora ad un muftî della scuola shafi‘ita, che invece prevede l’elemento dell’intenzionalità nella formula del ripudio ed ottenne una fatwâ che considerava ancora valido il suo matrimonio.

Martedì, 20 Novembre 2007 00:00

Lezione Quattordicesima. Gesù Messia e Signore

Lezione Quattordicesima

GESÙ MESSIA E SIGNORE


1. Gesù Messia

Introduzione

1. Passando dalla riflessione dall’A.T. al N.T., ci collochiamo nella prospettiva storico-salvifica, come si è fatto per le lezioni precedenti.