Il deserto è accostato alla “voce di uno che grida”. Il deserto è il regno del silenzio, perché non è il luogo normale di abitazione. Quello di Giovanni Battista, che “comparve a predicare nel deserto della Giudea” ( Mt 3,1), è appunto un caso eccezionale. Se una voce grida nel deserto, quasi certamente è l’unica e, supposto che vi sia qualcuno ad ascoltare, si sente meglio, perché non si confonde con l’una o l’altra delle tante voci che risuonano nel trambusto della città.
In questo senso, il deserto diventa il sinonimo di raccoglimento, silenzio, meditazione, contemplazione, in vista di un ascolto forte e nitido della “voce di Dio”, senza il rischio di confonderla con qualche voce umana. È entrata nell’uso l’espressione “fare deserto”, “giornata o periodo di deserto”.
S. Giovanni Battista ha avuto vocazione e grazia di attrarre folle intere fuori dagli abitati, nel deserto, per trasmettere loro gli annunci divini che oggi ancora la chiesa fa risuonare nell’avvento. È una strada, che non si contrappone certo all’apostolato compiuto nel vivo dei paesi e delle città, ma è ad esso funzionale e complementare. È una strada praticata, tanto o poco, da quasi tutte le religioni, ed è esigenza anche attuale del cristianesimo di valorizzarla maggiormente, come risvolto e antidoto dell’asfissiante informazione e cultura materialistico-pubblicitaria.
“Nel deserto, preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. La via, i sentieri: sappiamo cosa sono se letteralmente intesi. Moralmente o metaforicamente, come qui, si suppone, significano la condotta umana uniformata costantemente, problema dopo problema, scelta dopo scelta, atto dopo atto, passo dopo passo, al volere del Signore. In tal senso, la via e i sentieri non sono nostri, ma del Signore, proprio come dice il testo; suoi sono il disegno, la chiamata, l’ispirazione, il comando, l’aiuto o la grazia “ausiliante”.
Questi stessi via e sentieri, pur restando del Signore, sono anche nostri. “Preparate…raddrizzate” sono esortazioni evidentemente rivolte a noi. E poi, fuori di pedisseque osservazioni su questo o quel verbo, è tutta la Bibbia che parla di vie del Signore e di vie nostre, contestando che spesso le nostre vie non sono quelle del Signore, divergono e quindi sono cattive; conducono alla perdizione.
Nostre sono dunque le vie della vita, in quanto questa dipende anche dalla nostra libera scelta e dalla nostra effettiva volontà di porre determinati atti e non altri. E le nostre vie saranno buone, quando usiamo della nostra libertà per scegliere le vie del Signore e quando poniamo tutta la nostra volontà nell’attuarle, in quella misteriosa sinergia di azione divina e di libertà umana, e di responsabile corrispondenza alla grazia; saranno cattive quando e in quanto il nostro libero dinamismo umano si lascerà assorbire nel mistero del male.
Converrà allora distinguere tra volontà e volontarismo; l’ascetica non si contrappone con la mistica, anzi di solito procedono contemporaneamente in simbiosi. Il volontarismo è presunzione di produrre con atti volitivi umani ciò che radicalmente è dono gratuito e libero di Dio. Ma una volta riconosciuto il dono dall’alto, deve scattare la nostra disponibilità, docilità, oblazione, fedeltà, ubbidienza, cioè la nostra volontà, almeno per quel tanto che la risposta umana dipende da noi. L’educazione cristiana sarà perciò sempre anche una educazione al sacrificio. Conoscenza e convinzione sono pregiudiziali all’azione, ma non bastano: occorre decisione, generosità, abitudine alla rinuncia. Non è la grazia del Signore che manca o non si fa sentire; è la nostra incorrispondenza che ha il terribile potere di renderla vana. Perché l’edificio spirituale della nostra salvezza sia fondato sulla roccia, è indispensabile che, accolta la parola di Dio, la mettiamo in pratica.
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