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Sabato, 07 Agosto 2010 18:51

La Liturgia della Chiesa

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di P. ADRIEN NOCENT O.S.B.

 

Il culto è essenziale alla Chiesa, poiché in esso trova la sorgente della sua santità ed in esso esprime la sua vita. Tutta l’opera della Chiesa ha una caratteristica religiosa ed una finalità cultuale, poiché è orientata alla santificazione degli uomini e alla glorificazione di Dio.

 

La stessa attività apostolica ha, nel Nuovo Testamento, un aspetto cultuale: “Ministro di Cristo presso i pagani esercito la sacra funzione di predicatore dell’evangelo, affinché i pagani diventino una offerta accetta, santificata nello Spirito Santo” (Rom. 15,16). Tutta la vita di santità e di apostolato del singolo cristiano, di una comunità di fedeli, della Chiesa universale, ha una funzione cultuale (C.C. art. 10,34). Ma non tutto ciò che si fa nella Chiesa, anche in preghiere organizzate o in atti religiosi collettivi, è liturgia nel vero senso del termine. Con il termine liturgia (dal greco = servizio pubblico a favore del popolo; dalla fine del secolo XVI usato dagli studiosi per indicare il culto pubblico della Chiesa; solo in questo secolo entrato nei documenti ecclesiastici) si designa quel complesso di riti sacri in cui la Chiesa riconosce di svolgere il suo culto ufficiale.

 

    1. L’ambito della liturgia

     

Quali azioni sacre si possono chiamare azioni liturgiche? Un documento della Congregazione dei Riti (3 sett. 1958) così precisa: “Sono azioni liturgiche quelle azioni sacre che, per istituzione di Gesù Cristo o della Chiesa e in loro nome, vengono compiute dalle persone a ciò legittimamente deputate, ed in conformità ai libri liturgici approvati dalla Santa Sede, per tributare il debito culto a Dio, ai Santi e ai Beati”.

Cinque condizioni definiscono una azione liturgica:

 

1. L’istituzione da parte di a Gesù Cristo o della Chiesa;

2. Il compimento in nome di Cristo e della Chiesa;

3. Da persone che hanno, ricevuto una ufficiale deputazione e, per alcune celebrazioni, un potere ministeriale;

4. La conformità alle norme ed alle forme stabilite o riconosciute dalla Sede Apostolica, e contenute nei libri approvati;

5. Lo scopo di. queste azioni sacre deve essere il culto di adorazione a Dio o di onore ai suoi Santi (ciò non esclude quei riti sacramentali che sembrano mirare innanzi tutto alla santificazione, poiché la santità è data in vista del culto a Dio e la vita santa è già lode al Signore).

 

Rimangono al di fuori della liturgia propriamente detta tutte le pratiche di pietà personali, tutte le preghiere anche pubbliche e le cerimonie religiose che non sono contemplate dai libri liturgici. Tutte queste azioni sacre che non verificano simultaneamente le cinque condizioni prescritte vengono chiamate pii esercizi” (C.L. art. 13).

Praticamente il riconoscimento di una azione liturgica avviene riscontrandone la presenza in un libro liturgico. I più in uso sono, per la liturgia romana: il Messale, per la celebrazione della Messa; il Breviario, per il canto o la recita del Divino Ufficio; il Rituale, per l’amministrazione dei sacramenti e per molte benedizioni; il Pontificale, per le celebrazioni proprie dei vescovi.

Nella liturgia vi è un complesso cerimoniale ricco e vario, di oggetti, di gesti, di formule, di canti, che si è venuto formando nei secoli. In un recente passato ci si fermava a questo apparato esteriore, cerimonialistico ed anche folcloristico. Ma la liturgia è qualche cosa di più intimo e profondo, che sfugge a chi. non ha fede e che si esprime e si attua nei riti esterni senza però ridursi ad essi. Pio XII, nell’enciclica “Mediator Dei”, ha riprovato un certo modo di vedere la liturgia solo dall’esterno: “Non hanno una nozione esatta coloro che ritengono la sacra liturgia come una parte soltanto esterna e sensibile del culto divino o come cerimoniale decorativo; né sbagliano meno coloro che la considerano come una semplice somma di leggi o di precetti con i quali la Gerarchia ecclesiastica ordina il complesso dei riti” (IPL ti. 525).

 

    2. Natura e definizione della liturgia

     

Il Concilio Vaticano 2° definisce la liturgia come “l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo; in cui, per mezzo di segni sensibili, viene significata e, nel modo proprio ad ognuno, viene realizzata la santificazione dell’uomo, e viene esercitato dal mistico Corpo di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale” (art. 7). Tutto l’apparato esteriore e visibile è presente in questa definizione (“per mezzo di segni sensibili”), ma al di là di esso si percepisce ciò che dà alla liturgia il suo valore: l’azione sacerdotale di Cristo che, in unione alla sua Chiesa, realizza la santificazione dell’uomo e rende culto degno al Padre. Questa azione santificante e cultuale del Cristo sacerdote si compie, nella liturgia, con la collaborazione ministeriale della Chiesa e si esprime necessariamente attraverso dei segni sensibili, cioè gesti e cose che hanno lo scopo di manifestare ciò che Cristo e la Chiesa hanno intenzione di compiere. Studiamo particolarmente i tre aspetti della liturgia: azione sacerdotale di tutto il Corpo mistico; per mezzo di segni sensibili; in vista della santificazione e del culto.

 

a) Gli “attori” della liturgia

 

Gesù Cristo, unico vero Mediatore fra Dio e gli uomini, sommo ed eterno Sacerdote, è il principale “attore” delle celebrazioni liturgiche. “In ogni azione liturgica, insieme con la Chiesa, è presente il suo divino Fondatore” (Pio XII,IPL, n. 520). Il Vaticano II ha indicato le forme liturgiche di questa presenza operante del Salvatore all’art. 1, modi di presenza del Signore:l’assemblea dei fedeli («Il Signore è presente quando la Chiesa prega e loda. Lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro”» (Mt. 18,20); il ministro sacro (“Il Signore è presente nella sua Parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura”); i Sacramenti (“il Signore è presente con la sua virtù nei Sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza”); il sacrificio della Messa (”il Signore è presente soprattutto sotto le specie eucaristiche”).

Il valore della liturgia cattolica è in questa presenza operante del Cristo sacerdote, da lui stesso promessa, ed attualmente esercitata “per il ministero della Chiesa”, da lui dotata di appositi poteri ministeriali. Ogni azione liturgica richiede l’opera di un ministro, che abbia i poteri richiesti e che agisca in nome di Cristo e con l’intenzione della Chiesa. Questo “attore ministeriale”può essere anche un non cristiano nel caso del Battesimo amministrato per necessità, ma sempre secondo l’intenzione della Chiesa; è il fedele cristiano nel sacramento del Matrimonio; è il sacerdote per la celebrazione eucaristica ed altri sacramenti; è il vescovo per la Cresima (che però può essere amministrata anche da un prete in date circostanze) e per le ordinazioni sacre. Il Vaticano 2° ha rivalutato anche il diaconato come ministero liturgico permanente (C.C. art. 29).

Nell’esercizio del suo sacerdozio il Cristo associa a sé tutta la Chiesa, tutto il popolo cristiano in quanto ”sacerdozio regale, santo sacerdozio, nazione di sacerdoti”; la santifica con la grazia diffusa nel Corpo mistico dallo Spirito Santo, è con essa rende al Padre il culto supremo di lode. Per il Battesimo e la Cresima ogni cristiano viene inserito nella Chiesa, corpo sacerdotale del Cristo sacerdote; riceve l’”unzione” interiore (significata dall’unzione con il crisma) che lo consacra partecipandogli il sacerdozio di Cristo, ed in virtù della quale può prendere parte al culto della Chiesa (C.C. art. 11). Quindi anche ogni singolo fedele è “attore” in ogni azione liturgica, in quanto è unito a Cristo ed è membro della Chiesa che si riunisce nella particolare comunità in cui si svolge quella concreta celebrazione sacra. Sempre più questo viene messo in evidenza favorendo una partecipazione attiva anche esteriore dei fedeli, che non debbono essere spettatori passivi e muti in azioni sacre di cui sono parte attiva di diritto (C.L. art. 14).

Tutto nella liturgia si compie in stretta armonia fra gli attori della celebrazione: Cristo capo, sommo ed eterno Sacerdote; la Chiesa gerarchica che ha poteri ministeriali su diversi gradi; la Chiesa tutta, comunità di consacrati, che ha dignità e funzioni sacerdotali. Ogni minima azione liturgica impegna quindi tutta la Chiesa, mistico Corpo del Cristo. In questa visione si intende l’affermazione di Pio XII: “la liturgia è il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, del Capo e delle membra” (IPL n. 521).

 

b) I segni sensibili nella liturgia

 

Nella liturgia l’azione divina si inserisce nella situazione concreta dell’uomo, spirito incarnato, che conosce le cose spirituali solo partendo da esperienze sensibili e che esprime i più intimi pensieri e sentimenti solo mediante gesti sensibili. La liturgia non può quindi fare a meno di un apparato esteriore di cose, persone, gesti, parole. Anche perché il culto cristiano non è puramente individuale; esso :richiede la partecipazione di una comunità; e non si dà vita comunitaria ed azione comune se non in espressioni visibili e tangibili.

Nella Redenzione cristiana il corpo e la realtà materiale sono veicoli della grazia della salvezza. Una Redenzione suppone l’Incarnazione: “Il Verbo si è fatto carne” (Giov. 1,14); gli apostoli si fanno testimoni della esperienza concreta del “Verbo di vita” (1 Giov. 1,14). In questa prospettiva si comprende l’economia sacramentale della salvezza, per cui la grazia redentrice viene manifestata e comunicata per via di gesti sensibili.

Tertulliano, verso l’anno 200, scrive: “Viene lavata la carne perché sia purificata l’anima; si unge la carne per consacrare l’anima, la carne viene segnata con la croce per fortificare l’anima; la carne è adombrata con l’imposizione delle mani, perché sia illuminata dallo Spirito anche l’anima; la carne viene nutrita del Corpo e del Sangue di Cristo perché l’anima sia alimentata di Dio” (De carnis resurrectionis 8,3). I gesti sacramentali hanno una efficacia soprannaturale, pèrché impegnano l’azione sacerdotale di Cristo, in quanto sono compiuti per il ministero della Chiesa. Ma essi non sono solo “efficaci”, sono innanzitutto “significativi”, cioè compiono soprannaturalmente ciò che significano, ciò che simbolicamente manifestano. Sono “segni sensibili efficaci della grazia”.

Non solo i gesti sacramentali (in numero di sette) sono espressivi di una realtà misteriosa che operano; tutto ciò che si fa nella liturgia vuol esser espressivo di realtà spirituali e manifestativo di atteggiamenti interiori. La liturgia è un complesso di “segni”, stabiliti da Cristo o scelti dalla Chiesa, con il compito di esprimere pubblicamente le invisibili realtà di salvezza e di grazia che si attuano nel rapporto di Dio con il suo popolo. Secondo la definizione conciliare, santificazione e culto sono significate “per mezzo di segni sensibili”; ma per mezzo di questi segni, santificazione e culto si “realizzano”; cioè concretamente si attuano. I segni sacri della liturgia non hanno solo uno scopo didattico, non sono vuoti di realtà; essi sono gravidi di grazia, fecondi di salvezza, perché manifestano l’azione del Cristo e esprimono la risposta della Chiesa.

Riprenderemo questo argomento nel capitolo dedicato alla “intelligibilità della liturgia”; ora conviene rilevare una precisazione della definizione conciliare: “nel modo proprio ad ognuno”. I segni liturgici non hanno la medesima efficacia: quelli propriamente sacramentali derivano la loro forza santificatrice da una azione che direttamente il Cristo compie, quando il segno è stato compiuto nel modo dovuto (ex opere operato); gli altri segni derivano la loro virtù santificante dall’azione della Chiesa, che prega ed implora in unione con Cristo suo Capo (ex opere operantis Ecclesiae).

 

c) Il culto santificante della Chiesa.

     

La definizione del Concilio Vaticano 2° precisa la duplice finalità della liturgia: santificazione dell’uomo e culto a Dio; la santificazione dell’uomo nella Chiesa ed il culto che viene reso al Padre dalla Chiesa santificata dallo Spirito Santo per la mediazione del Cristo Sacerdote. Vi è nella liturgia un duplice movimento: di discesa; per cui l’azione divina raggiunge l’uomo, lo guarisce dal peccato e lo santifica; di ascesa, per cui la risposta umana di ringraziamento, lode ed implorazione, sale a Dio.

Nella realtà liturgica concreta, l’azione di Dio che santifica e la risposta della Chiesa che rende il suo culto a Dio s’intrecciano intimamente e non possono separarsi, poiché sono due aspetti correlativi di una medesima realtà. E’ perciò felice l’espressione recente che definisce la liturgia cristiana come “culto santificante della Chiesa”.

Se si volesse stabilire una gerarchia in questa duplice inscindibile finalità della liturgia, il culto avrebbe il posto preminente, ma senza però prescindere dalla santificazione. La gloria di Dio è l’uomo santificato, affermavano i Padri della Chiesa, e san Tommaso dice che “la santificazione è ordinata al culto” (Summa Theol. III, q. 60, a.5). Questo si verifica soprattutto nella celebrazione eucaristica: la comunità ecclesiale, santificata dalla grazia dello Spirito Santo per la partecipazione al sacrificio ed al banchetto del Signore, rende al Padre “per Cristo, con Cristo ed in Cristo” ogni onore ed ogni gloria.

 

    3. La liturgia nella vita della Chiesa

     

La liturgia non ha solo un posto importante nella Chiesa, è elemento indispensabile ed essenziale per la sua vita. Fra tutte le attività che essa compie, è la più eccellente e la più efficace (C.L. art. 7), e quella che più ne esprime l’intimo mistero e ne pone in evidenza le caratteristiche proprie (C.L. art. 2)

Però non si deve pretendere di ridurre alle celebrazioni liturgiche l’azione della Chiesa, che deve annunciare il messaggio della salvezza ai non credenti; che deve istruire e invitare alla penitenza gli stessi fedeli; che deve promuovere attività caritative e apostoliche (C.L. art. 9). Tuttavia la liturgia ha un posto privilegiato nella Chiesa e tutto ad essa deve convergere e tutto da essa deve promanare (C.L. art. 10).

Queste affermazioni del Vaticano 2° si comprendono se si considera la vita concreta di una comunità ecclesiale, sia essa diocesi o parrocchia. I momenti di maggior intensità di vita cristiana comunitaria, e di più efficace azione pastorale, sono offerti dalle riunioni dei fedeli che sotto la guida di ministri sacri ascoltano la Parola di Dio, pregano e partecipano a celebrazioni sacramentali, specialmente alla Eucaristia (cfr. C.L. art. 41—42; C.C. art. 11; 26; 28;34).

Ciò che è vero per la Chiesa vale anche per i singoli cristiani. La loro esistenza cristiana inizia e cresce nelle celebrazioni sacramentali (Battesimo, Cresima, Penitenza, Eucaristia), e trova nella liturgia forme di santificazione dei momenti più importanti (Matrimonio, malattia, morte) e in varie circostanze (con appositi riti “sacramentali”). Nella liturgia ogni cristiano viene educato al dialogo con il Signore che a lui si rivolge con la Parola proclamata dalla Chiesa, ed apprende a pregare con il linguaggio della Bibbia ed in comunione con il Corpo mistico.

Però la spiritualità del singolo fedele non si esaurisce nella liturgia, poiché la vita cristiana richiede anche la preghiera, nel silenzio, e lo sforzo ascetico per imitare il Cristo e offrirci con Lui al Padre nelle circostanze concrete. Vi è quindi posto per tante altre forme di preghiera, individuale e collettiva, e di ascesi che non sono strettamente liturgiche. Ma la liturgia rimane sempre il punto di arrivo, e anche la norma, di tutta la vita spirituale (C. L. art. 12—13).

 

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