Ecumene

Sabato, 23 Ottobre 2004 20:31

Dentro la Torah. Il rapporto tra Stato e religioni

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di Rav Scialom Bahbout

Vorrei iniziare col denunciare una situazione generale.

Le religioni monoteistiche, in quanto ritengono di essere portatrici di verità assolute, sono normalmente e naturalmente portate alla sopraffazione, all’eliminazione dell’altro, in quanto viene ritenuto portatore di idee e comportamenti diversi: l’altro quindi o si converte oppure non deve esistere. Questa è cronaca che appartiene alla storia umana per molti secoli. Le religioni monoteistiche contengono in sé un elemento di intolleranza che è difficile da eliminare, una sorta di peccato originale alla base delle singole religioni.

Questa affermazione vale, in linea di principio, per tutte le religioni monoteiste, e quindi questo varrebbe anche per la religione ebraica; anzi, qualcuno potrebbe dire, vale ancora "di più" per l’ebraismo per la sua idea della elezione del popolo ebraico. Se è vero che le religioni monoteistiche hanno questo virus è anche vero che è possibile dotarle anche degli antivirus. L’ebraismo ha elaborato il suo antivirus e si chiama "Le sette leggi di Noè", una religione universale che precede addirittura la religione abramitica e i cui particolari si trovano nel Talmud e nei codici ebraici successivi e un quello di Maimonide in particolare.

In effetti uno degli elementi che ha da sempre caratterizzato l’ebraismo è il fatto che esso non ha mai fatto proselitismo attivo, gli ebrei infatti non hanno mai cercato di convertire gli altri a tutti i costi, con la forza delle idee dove possibile o con quella fisica qualora le parole non bastassero. Possiamo affermare che, anzi, l’esercizio del proselitismo attivo è contrario al progetto iniziale della creazione dell’uomo: infatti, se Dio ha creato un solo uomo, dal quale far derivare tutta l’Umanità, lo ha fatto, non perché fossero tutti identici, ma per dimostrare la sua grandezza. Il Talmud infatti afferma che mentre l’uomo con il conio di una moneta può produrre solo monete tutte eguali tra di loro, il conio del primo uomo, Dio ha creato uomini tutti diversi l’uno dall’altro. Esiste addirittura una benedizione speciale per cui quando si vede una moltitudine, composta da persone l’una diversa dall’altra, si ringrazia il Signore la cui sapienza ha fatto sì che questo mistero della diversità si verificasse. Quando parliamo di diversità, dobbiamo intenderla nel senso più ampio, da quello fisico a quello spirituale e culturale. Quindi la diversità è considerata dall’ebraismo una ricchezza che Dio ha concesso all’uomo, e nel momento in cui l’uomo tenta di eliminare questa ricchezza, finisce con il compiere un atto che, sostanzialmente, si pone in posizione antitetica e contraria alla Creazione.

Proprio per combattere questa tendenza dell’uomo ad eliminare le differenze, l’ebraismo ha sempre condannato ogni forma di proselitismo attivo, ed ha accettato la conversione delle persone disposte ad accettare l’ebraismo solo in modo del tutto autonomo. La conversione all’ebraismo ha sempre comportato un percorso di attenzione, che richiede proprio alla persona che intende convertirsi un esame della propria vera vocazione. Un esame che il convertendo deve fare innanzi tutto per se stesso, affinché la sua decisione non sia contraria alla natura stessa dell’uomo.

Contro la tendenza a fare proselitismo attivo, l’ebraismo ha elaborato la religione noachide. Ancora prima di Abramo, secondo quanto afferma il Talmud, nella sua elaborazione e commento della Bibbia, immediatamente dopo il diluvio, vengono impartite a Noè sette norme fondamentali - che non gli vengono dispensate in quanto ebreo, poiché l’ebraismo nasce con Abramo - ed ogni uomo, secondo l’ebraismo, è tenuto ad osservare queste norme, che non impongono in nessun modo di passare da una religione all’altra, o neanche di avere una religione.

La prima norma, come precetto attivo, è quella di creare in ogni società dei tribunali. Una società, per essere sana, deve essere giusta, e lo è se ci sono dei tribunali che funzionano davvero. Altri principi universali sono quelli per cui è proibito l’omicidio - versare sangue innocente - l’incesto, il furto, la bestemmia cioè l’uso della parola per offendere Dio e il prossimo; è proibita l’idolatria nelle forme previste dalla religione noachide che sono diverse rispetto a quella ebraica, che com’è noto applica questa norma con molto rigore.

Un elemento davvero particolare delle Sette leggi dei Figli di Noè è il fatto che esse non riguardano solo il rapporto uomo-uomo, o uomo- Dio, ma anche quello uomo-animale: è proibito sbranare un animale e mangiarne parti vive. Sembra questa un’azione che solo dei bruti possono fare, ma tutti noi sappiamo come vengono cotte le aragoste, o come vengono mangiati animali invertebrati, come le ostriche o le cozze, che i realtà sono animali consumati vivi.

Quindi in generale possiamo dire che l’Ebraismo predica il rispetto della vita nelle sue varie manifestazioni da quelle superiori nel mondo umano a quelle inferiori nel mondo animale. Chi rispetta le sette leggi di Noè non rinuncia alla sua dignità di essere diverso, in quanto queste sette leggi universali non impongono l’appartenza a questa o a quell’altra religione.

D’altra parte, rispetto al tema di questo convegno, e cioè il rapporto fra religione e Stato, basta ricordare come nella Torah, nel pentateuco, nel momento in cui nella visione del Roveto ardente ad un certo punto Mosè dice: "Eccomi sono pronto", i Maestri immaginano che tra Dio e Mosè si sarebbe svolto un dialogo nel corso del quale Dio avrebbe chiesto a Mosè: "Pronto a fare che cosa?" e lui avrebbe risposto: "Eccomi, sono pronto a fare il sacerdote, sono pronto a fare il re" e Dio gli avrebbe risposto: "Puoi scegliere: o l’una o l’altra, non puoi fare tutte e due le cose insieme". Nella storia ebraica, quando è accaduta una cosa di questo genere, sono sempre successi grandi disastri. Il Midrash sottolinea che un solo personaggio ha potuto accomunare in sé queste due caratteristiche, ed era Abramo, che era cohen, cioè sacerdote, e quindi capostipite della religione, ma dall’altro viene riconosciuto dagli abitanti del paese di Canaan come Nasì, cioè capo, principe. In generale è assolutamente vietato, come è scritto nella Bibbia, ricoprire cariche politiche e religiose. Anzi, addirittura Rabbi Achivà, uno dei grandi maestri del secondo secolo, diceva proprio di non andare ad abitare in una città il cui capo è un rabbino. Bisogna quindi tenere separati in modo assoluto questi due aspetti.

Torniamo adesso ai precetti di Noè: la domanda a cui dobbiamo rispondere è come ci poniamo rispetto ad essi e, considerato il tempo disponibile, vorrei analizzarne soltanto uno, che ci riconduce alla figura di Abramo, il patriarca a cui si ispirano le tre religioni monoteistiche, senza dimenticare tuttavia che Noè precede Abramo e che il discorso che segue non riguarda solo le religioni monoteistiche, ma tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro religione o dalla loro ideologia.

Per le religioni che si ispirano all’esempio di Abramo, bisogna però fare una breve analisi della ’Akedà, il sacrificio di Isacco. L’insegnamento fondamentale che esso ci trasmette, è che il sacrificio non è stato consumato. In un primo momento, Abramo pensa di dover davvero sacrificare il proprio figlio, anzi ne è convinto al punto tale che nel momento in cui Dio gli dice di risparmiarlo e di non lanciare la lama del suo coltello su Isacco - secondo un’interpretazione dei Maestri - lui ha replicato: "No, adesso che mi hai detto di sacrificarlo, io voglio sacrificarlo, o almeno procurargli una ferita". Dio, per convincerlo, è costretto a chiamarlo per una seconda volta, come risulta al capitolo 22 della Genesi. Solo dopo il secondo richiamo Abramo rinuncia al sacrificio, è pronto ad accettare la lezione divina che in sostanza viene a dirci che nessun sacrificio umano, di nessun genere, può essere accettato dall’uomo, e neanche da Dio. Così come Dio non può chiedere il sacrificio di un uomo in suo Nome, così Dio stesso non può chiedere che un uomo possa sacrificarsi per il suo Nome, se non per quei casi particolari in cui la vita dell’uomo non avrebbe pià senso e che, secondo la tradizione ebraica, sono l’invito a fare idolatria, a fare l’incesto a a commettere un omicidio gratuito, non per legittima difesa. Trasgredendo questi divieti - che rappresentano la quintessenza dell’etica e quindi danno un senso alla vita - l’uomo perderebbe la sua dignità umana e una vita senza questi valori minimi perderebbe il suo significato.

Dal punto di vista ebraico, visto anche il sacrificio di Gesù - che assomiglia alla Akedà - non è consentito, così come non lo è il suicidio.

Visto che è stato richiesto di fare delle proposte, perché questo non fosse solo un dibattito teorico, direi che se le religioni monoteiste vogliono oggi inserirsi nel mondo moderno, dove la democrazia nelle sue varie forme è destinata a diventare retaggio di tutti i popoli, è bene che anche chi non la mette in pratica la impari, approfitti di questa occasione, accettandone alcuni principi.

Il primo fra tutti è quello di riconoscere che la diversità religiosa e quella culturale sono una ricchezza per l’umanità che Dio ha voluto dare all’uomo.

Il secondo consiste nel rinunciare in maniera chiara e definitiva a qualsiasi programma attivo di conversione.

Il terzo è proclamare apertamente e senza alcuna riserva che nessun uomo può essere sacrificato o può sacrificarsi in nome di Dio o di una causa.

Il quarto consiste nel definire e fare rispettare alcuni principi e leggi universali, senza che ciò comporti la conversione da una fede all’altra, simili alle Sette Leggi di Noè, che potrebbero anche essere elaborate in chiave moderna.

Il quinto consiste nell’elaborazione di un programma educativo che, diversamente da quanto avviene nelle scuole gestite dai laeders arabi palestinesi (vedi Corriere della Sera del 5.05.04), insegni nelle scuole, fin dall’infanzia, il rispetto del prossimo, delle sue idee, e non la sua eliminazione, fisica o culturale o spirituale: questo processo educativo può contribuire a trasformare la maggioranza silenziosa che, assistendo in silenzio agli attentati terroristici che stanno devastando il mondo, finisce per approvare gli atteggiamenti che assumono i propri leaders, anche quelli che distruggono e uccidono. Solo una maggioranza che invece isoli i leaders - spirituali o politici che siano - che predicano l’odio può poi avere il diritto di essere un partner nella trasformazione della società nella direzione che Dio ha voluto che l’uomo percorresse.

Il passaggio dai convegni delle parole a quelli in cui si misurano i fatti realizzati è ciò di cui oggi l’uomo ha bisogno.

Mercoledì, 16 giugno 2004

(da: www.ebraismoedintorni.it, giugno 2004 )

 

 

Letto 2739 volte Ultima modifica il Martedì, 20 Settembre 2011 19:15
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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