L'Islam, rispetto al Cristianesimo, purifica ma non mortifica. I musulmani non hanno mai avuto la paura del corpo, il timore della gioia fisica e tutto questo è presente nel Corano, nel Cristianesimo invece è sottolineata la mortificazione della carne. Il digiuno del mese di ramadan consiste nell'astensione, dall'alba al tramonto, da ingurgitare cibi solidi e liquidi, dagli atti sessuali, dal fumo. Il ramadan però non è una mortificazione, ma una purificazione e dimostra che il musulmano ha la capacità di soffrire sulla via di Dio. È un'attitudine che l'Occidente ha quasi perduto, mentre è presente nel mondo musulmano sia in senso positivo sia negativo (radicalismo islamico e fenomeno dei martiri che combattono per la jihad).
L'Islam non mortifica la carne, tant'è che vi sono alcune pagine del Corano, riguardanti il Paradiso, sulle quali in Occidente si tende a scherzare e che per alcuni secoli hanno creato un po' di imbarazzo anche agli stessi teologi musulmani. Nel Corano Dio dice: "Chi ha preceduto gli altri nella fede, li precederà in Paradiso. Costoro saranno vicini a Dio, in giardini di delizie, molti delle antiche generazioni, pochi delle ultime. Vi sono fiumi di acqua incorruttibili, fiumi di latte inalterabili, fiumi di vino, delizia di chi beve, e fiumi di miele purificato e avranno ogni specie di frutti e l'indulgenza del loro Signore. Circoleranno fra loro vassoi d'oro e coppe, tutto vi sarà, quel che desiderano i cuori, quel che delizia gli occhi. E voi dimorerete per l'eternità in Paradiso. Noi li sposeremo in Paradiso a donne dagli occhi di onice. I credenti che la loro progenie avrà seguito nella sede, saranno ricongiunti ai figli. I fedeli avranno donne come gazzelle. Saranno presso di loro donne dai grandi occhi modesti, simili a uova custodite". Il paradiso musulmano è terreno e la felicità è anche corporale e tutto ciò ha messo a disagio i teologi.
In un passo del Corano, Dio dice che ci sono due angeli che pesano le azioni buone e quelle cattive, se pesano più le prime si va in Paradiso altrimenti si è destinati all'Inferno. Per i cristiani è un'allegoria, un simbolismo, nel Corano invece è letterale perciò esistono trattati in cui si stabilisce che gli angeli useranno inchiostro di uguale densità, fogli di carta dello stesso spessore e sarà scritta ogni azione perché solo così il peso sarà esatto. La felicità si trova nella via di Dio ma è anche una felicità corporale e terrena. L'Islam si considera l'ultima rivelazione, Gesù per i musulmani è un profeta e Maria (Maryam) è l'unica donna menzionata per nome nel Corano (madre di Gesù con concezione miracolosa). Gli islamici si considerano parte della tradizione che parte dagli Ebrei, passa per il Cristianesimo ed arriva all'Islam. In questo percorso gli ebrei appaiono troppo concentrati sulle regole terrene, i cristiani tutti raccolti sull'aldilà e, pertanto, la felicità è nella città di Dio mentre sulla terra vi è solo mortificazione. Il Cristianesimo è l'unica religione abramitica che bilancia la felicità ultraterrena e quella terrena. Al-Gazari, un mistico e teologo, ha scritto l'Alchimia della felicità, un trattato in persiano, proprio per dire che la felicità è si un'alchimia particolare, ma ciò che fa il principio alchemico è sempre Dio e la fede in Dio.
Vita quotidiana e pace interiore
L'Islam, secondo i musulmani, dà la vera felicità ed essa è una felicità celeste ed una pace interiore ed è per tutti. I cristiani vedono la felicità solo dopo la vita terrena, per gli ebrei la felicità è destinata solo a chi è ebreo (non fanno proselitismo), l'Islam, invece, prende in considerazione l'istruzione, l'educazione e la felicità terrena e la beatitudine ultraterrena di tutti gli uomini, in tutti i luoghi e in tutte le ere fino al giorno del giudizio. Il Corano dà una serie di norme e di attributi. Oggi dei musulmani abbiamo un'immagine di radicalità, ma nel Corano Dio dice continuamente che è egli compassionevole e misericordioso ed invita alla prudenza, alla moderazione, alla generosità, al perdono. Dio dice che le donne non possono essere trattate con equità, perciò se non lo si può fare è preferibile tenerne una sola, se però la passione è tanta allora è consigliato prenderne più d'una, che siano esse ancelle o schiave. Questo fatto indica che nell'Islam vi è un'indulgenza verso i piaceri terreni, non vi è costrizione ma tutto dev'essere fatto con equità e secondo la Legge: se si vuole avere più donne si deve pagare loro la dote e questa appartiene ad esse; non si può sposare una donna per poi ignorarla, deve essere trattata equamente come tutte le altre mogli. Il Corano dice che gli uomini e le donne hanno la stessa dignità umana, ed è una cosa sorprendente perché nel 600 d.C. i cristiani ancora dubitavano circa l'esistenza dell'anima della donna e, anzi, si era certi che essa fosse ricettacolo di ogni nequizia. Gli uomini, però, sono superiori alle donne per la qualità che ha dato Dio a loro al di sopra di esse e per le spese che sostengono per esse, ma le donne buone sono obbedienti ed hanno cura per il marito assente.
La felicità è ricordarsi di Dio
La felicità è ricordarsi di Dio, abbandonarsi a lui e camminare sul suo sentiero. È una felicità che non mortifica, ma purifica ed accoglie con indulgenza le passioni terrene. C'è però un rovescio della medaglia: la felicità è solo soggetta alla Legge e la shari'a è letterale, eterna, astorica. Uno studioso musulmano è stato ucciso perché aveva scritto un articolo in cui parlava del linguaggio storico del Corano. Non è accettabile perché il Corano preesiste, è increato, cioè sussiste da sempre ed è valido senza eccezione.
Nella shari'a è previsto che l'Islam deve obbligatoriamente convertire i pagani, cioè gli atei e gli idolatri, ma non deve costringere la gente del Libro, ovvero gli ebrei ed i cristiani. Nel Corano, infatti, è presente una parte della Bibbia e vi sono alcune figure comuni quali l'arcangelo Gabriele, Abramo ed altri. I musulmani non possono obbligarci alla conversione, tant'è che i cristiani d'Oriente, che oggi vivono comunque tempi molto difficili, sono potuti rimanervi, mentre i cristiani nel corso dei secoli hanno scacciato gli islamici dai propri territori. Oggi i cristiani e gli ebrei sono protetti, ma non possono fare proselitismo. Chi appartiene ad un'altra religione, si può convertire all'Islam ed entrare nella felicità, ma se si è musulmani e si vuole cambiare fede, per l'apostasia la shari'a prevede la pena di morte, sia per chi abbandona l'Islam e sia per chi fa proselitismo. L'Islam, per i musulmani, è la verità che non può essere abbandonata volontariamente.
Nell'Islam, poi, non ci sono sacramenti, esistono solo contratti ed il matrimonio, infatti, è considerato tale perciò ci si può sposare, ripudiare, cambiare compagna e nell'Islam sciita sono permessi anche gli sposalizi a tempo (è accaduto anche che dietro il pagamento di un piccolo corrispettivo fossero celebrati matrimoni della durata anche di un'ora). Il musulmano può sposare anche una donna non musulmana senza che questa abbia l'obbligo di convertirsi all'Islam, è sufficiente che il maschio che fa da tutore per la donna firmi il contratto.
Se una donna musulmana si innamora di un non musulmano, la sua felicità confligge con la shari'a e quest'ultima vince perché la felicità è quella di una donna, mentre la shari'a è promanazione diretta di Dio, perfetta, immutabile, eterna e astorica e, quindi, la donna musulmana non può sposarsi salvo che il non musulmano si converta all'Islam. Se questo non si converte e l'unione è comunque fatta, la shari'a prevede la pena di morte per gli sposi ed anche per chi officia questa unione.
La felicità e la libertà nell'uomo hanno confini normati e legali che non possono essere oltrepassati. La regola di non dare le donne agli altri è sempre esistita e trova origine già all'epoca degli scontri fra tribù nomadiche, in quanto le donne erano un bene prezioso come i cammelli o l'oasi, ma oggi, dove le popolazioni si mischiano e siamo, e saremo, sempre più multiculturali, tutto ciò diventa un problema.
La shari'a e la felicità
La felicità nell'Islam è quella del credente, perché la shari'a è una legge che si applica a chi crede. Tutto questo pone dei rilevanti problemi con la modernità e si creano alcune difficoltà oggettive che confliggono con le interpretazioni date dall'Occidente per quanto riguarda il diritto e le libertà dell'individuo.
Il musulmano medio non si pone un approccio sulla felicità molto diverso dal nostro. Se si analizza la vita vissuta dalla gente, che sia musulmana o cristiana o buddhista, i problemi concernono la quotidianità ed il discrimine è la rettitudine della persona. Il mondo musulmano è più conservativo rispetto ai valori familiari ed al pudore femminile, perciò c'è una tendenza dicotomica fra un atteggiamento molto riservato verso i piaceri più corporali. Per l'Occidente la felicità è un discorso eminentemente personale e tale idea può essere intesa in modo prosaico oppure alto (beatitudine, armonia, ecc.), mentre nell'Islam il discorso individuale sulla felicità trova un limite invalicabile e preciso rappresentato dalla shari'a e dai precetti delle quattro fonti del diritto: è un contrasto che a noi sempre palese, ma nell'Islam non è percepito.
Il percorso mistico islamico è un percorso dentro a se stessi perché Dio è inconoscibile, inarrivabile e per quanto ci si sforzi di "saltare fuori" dal corpo non lo si può raggiungere. Il percorso mistico, quindi, punta ad avvicinarsi al cuore, dove c'è l'intenzione, tant'è che spesso tale percorso è stato rappresentato con una circonferenza (il cerchio perfetto), con al centro il punto. La circonferenza è la Legge, la shari'a, perciò il mistico parte sempre dalla Legge e dal rispetto di quello che essa prevede. Se non si rispetta la shari 'a significa che non si è musulmani, quindi non si può arrivare a conoscere Dio, ma se si rispetta la Legge si sta sulla circonferenza e Dio è al centro ed è lontano, allora come si può fare per arrivare vicino a Lui? E necessario fare un percorso interiore ed allora dalla circonferenza si fa partire un raggio che punta al centro, ovvero a Dio, ed i raggi saranno infiniti e così il percorso verso la felicità è individuale ed inesauribile.
Riccardo Redaelli
Università Cattolica di Milano
(da Rezzara Notizie, Anno XLIII, n. 9, dicembre 2013, p. 5)