Ecumene

Venerdì, 13 Luglio 2012 23:28

Nagarjuna: la liberazione spirituale (Laurent Deshayes)

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Evocare il filosofo buddista Nagarjuna potrebbe essere una sfida. Come parlare di un uomo di cui non si conoscono le date di nascita e di morte, a malapena il periodo in cui è vissuto?

Nato nel sud dell'India in una famiglia di bramini, nel primo secolo a. C., questo monaco si è distinto come uno dei più grandi maestri della filosofia buddhista. Gentilezza amorevole, compassione, vacuità: ha trasmesso la «via di mezzo», che consente a tutti l'opportunità di sperimentare direttamente la realtà ultima dello spirito.

Evocare il filosofo buddista Nagarjuna potrebbe essere una sfida. Come parlare di un uomo di cui non si conoscono le date di nascita e di morte, a malapena il periodo in cui è vissuto, del quale si sa che ebbe numerosi omonimi, e al quale sono stati attribuiti tanti scritti in così diversi domini che sembra impossibile separare il vero dal falso? Alchimista, filosofo, medico, tutto in una volta?

Meditazione e longevità

In ogni caso, il più famoso Nagarjuna era un bambino il cui destino sembrava funesto. Era nato in una famiglia di bramini del sud dell'India, nel corso del secolo prima della nostra era, ma l'astrologo incaricato dai genitori per stabilire l'oroscopo diede un pronostico infausto: il bambino sarebbe morto prematuramente a sette giorni, a sette mesi o, nella migliore delle ipotesi, a sette anni. Per contrastare la sorte, senza tuttavia sviarla completamente, i genitori fecero delle grandi offerte per la comunità buddista. Vedendo i fatidici sette anni giungere veloci, decisero di mandarlo all'università monastica buddista di Nalanda (Bihar), dove uno dei maestri gli trasmise una tecnica di meditazione per favorire la longevità. Nagarjuna trascorse la notte dei suoi sette anni a meditare secondo le istruzioni che aveva ricevuto e si dice che la benedizione che trasse da essa fu talmente grande da poter vivere per diversi secoli. Questa è la spiegazione tradizionale dei suoi omonimi, che si ritrova nel corso di un periodo di quasi mille anni, e della molteplicità delle aree in cui eccelleva.

La sua vita fu costellata di eventi meravigliosi. Soprattutto, egli ottenne dal re dei Naga, divinità sotterranee ed acquatiche, gli insegnamenti completi sulla «Perfezione della Saggezza», la Prajñaparamita, che il Buddha gli aveva confidato. È da questo episodio che egli ha preso il nome di Nagarjuna, il «Vincitore dei Naga» e spesso è con un baldacchino di serpenti, che simboleggia i naga, che l'iconografia lo rappresenta.

Sono così tanti i testi che gli sono attribuiti che rimane molto difficile sapere con certezza ciò che ha effettivamente scritto. Il suo lavoro viene classicamente suddiviso in tre sezioni: quella dei consigli riguarda testi facilmente reperibili, come La preziosa ghirlanda dei consigli al re (Rajaparikharta Ratnamala), composta per il re Shatavahana e la Lettera ad un amico (Suhrillekha) per il re Gautamiputra. Le sezioni degli inni e della dialettica affrontano in maniera più diretta la dimensione filosofica del Buddhismo. Egli ha così coperto tutti gli aspetti dell'insegnamento buddhista, ponendo sempre gli elementi più semplici, l'etica nella vita quotidiana ad esempio, in una prospettiva ampia, quella della liberazione spirituale.

Il cantore del Mahayana

Monaco rigoroso, molto rispettoso delle regole di disciplina stabilite dal Buddha (Vinaya), si è affermato come uno dei propagatori più grandi degli insegnamenti Mahayana, che la tradizione dice che allora formavano un insieme disparato, poco conosciuto e poco pratico. Sviluppando e specificando il necessario sviluppo della gentilezza amorevole (metta) e della compassione (karuna), egli sottolinea la grandezza dei bodhisattva che incarnano queste qualità, vita dopo vita, lavorando per la liberazione spirituale di tutti.

Insieme a questo, Nagarjuna ha insistito sul principio della vacuità così come era esplicitato nell'approccio della «via di mezzo», un approccio di cui egli fu se non il fondatore, almeno il grande artefice. Per affrontare la vacuità è spesso attraverso un semplice principio logico, quello del tetralemma, che permetteva ai suoi ascoltatori e ai suoi lettori di apprenderlo. Un estratto dal Mulamadhyamakakarika, uno dei testi di cui egli è senza dubbio l'autore, dà una buona idea del suo artificio retorico: «Nulla è mai nato da se stesso, da altro, da ambedue o senza causa». Con questo, più che fornire risposte facili ai suoi interlocutori, ha dato a tutti la possibilità di sperimentare direttamente una realtà definitiva dello spirito, sempre descritto da circonvoluzioni, perché al di là del formulabile e dell’informulabile, del tangibile e dell’intangibile.

Superare le dicotomie

Poiché la «via di mezzo» promossa da Nagarjuna non è esattamente una via di mezzo tra il tradizionale (tutto è relativo quindi) e l’assoluto (tutto è vuoto). In un certo senso, essa si oppose, dimostrando la loro vanità, alle due grandi correnti della filosofia indiana spirituale del tempo, che volevano che tutto è sempre esistito (eternalismo) o, al contrario, che tutto è vuoto e senza sostanza (il nichilismo). Essa si situa al di là della solita dicotomia che vuole che ogni cosa non sia concepita che con il suo opposto: il bene e il male, l’alienazione spirituale e la liberazione spirituale, ecc. Spesso, per condurre il suo pubblico a interrogarsi sulla vera natura dello spirito, egli formulava dei brevi ragionamenti che terminavano con una domanda logica evidente: «Se, in qualsiasi momento, ogni cosa deperisse e morisse, che cosa resterebbe senza l'invecchiamento o il morire?».

Il Buddismo stesso, tuttavia, poggia su un’apparente opposizione tra esistenza ordinaria, condizionata dall'ignoranza fondamentale della natura ultima dello spirito, e la liberazione da questi ostacoli, lo stato di Buddha. Nagarjuna, allora, risponde senza mezzi termini: «L'esistenza condizionata (samsara), non possiede la minima differenza con l’estinzione (nirvana); l'estinzione non ha la benché minima differenza con l'esistenza condizionata». Lo spirito pienamente risvegliato è dunque al di là, come lo spazio che ci circonda, la cui natura rimane la stessa, giorno e notte. Qui Nagarjuna, riprendeva a suo modo il Sutra del cuore (Sutra Hridaya), uno degli insegnamenti più famosi della «Perfezione della Saggezza», del quale fa la sintesi: «La forma è vacuità. Il vuoto è forma. Il vuoto non è altro che la forma e la forma non è altro che vacuità». Il vuoto è lo spazio di tutte le possibilità.

Per complesso che sia stato l'insegnamento di Nagarjuna e dei suoi successori, come Chandrakirki (VII secolo), esso fa parte integrante del bagaglio filosofico di tutti i monaci Mahayana dall'Himalaya al Giappone, dalla Mongolia al Vietnam.

Laurent Deshayes

(traduzione dal francese a cura di Fausto Ferrari)

(da Le monde des religions, n. 46, mars-avril 2011, p. 54)

 

Letto 4544 volte Ultima modifica il Venerdì, 13 Luglio 2012 23:44
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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