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Mercoledì, 02 Novembre 2011 20:17

Il ruolo della donna nella tradizione ebraica. Breve panorama storico-sociale (Elio Limentani)

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Malgrado le società dell’antico medio oriente fossero essenzialmente a carattere patriarcale, la Bibbia riserva un immagine favorevole alla donna, sia in ambito famigliare sia all’interno della vita religiosa d’Israele.

Introduzione

La specificità della donna, nella lingua ebraica, è dichiarata direttamente sul suo nome: "ichà". Donna in ebraico, non è solo il femminile della parola "ich", uomo, ma il fatto che venga aggiunta una lettera nel nome, simboleggia, secondo un noto commento ebraico, la differenza e specificità della donna stessa. Del resto, nell’Ebraismo, la famiglia è considerata la base della vita sociale ed il Talmud attraverso le sue leggi, mira ad assicurarne la purezza e la stabilità.
Malgrado le società dell’antico medio oriente fossero essenzialmente a carattere patriarcale, la Bibbia riserva un immagine favorevole alla donna, sia in ambito famigliare sia all’interno della vita religiosa d’Israele (1). Inoltre, riconoscendo lo specifico ruolo che la donna riveste all’interno della famiglia, il Talmud le attribuisce un alto rango. Malgrado le sfere d’attività maschile e femminile all’interno della famiglia divergano, la donna non occupa un livello d’importanza inferiore all’uomo. Attraverso il ruolo che riveste in famiglia, la donna contribuisce allo sviluppo e alla continuità della comunità (2).

1. La donna nella tradizione religiosa

La Torah (3), nel suo complesso, si propone due scopi: il perfezionamento dell’anima ed il perfezionamento del corpo. In altri termini ci si prefigge di portare l’uomo a realizzare al massimo la Volontà divina attraverso l’osservanza degli obblighi religiosi. Per meglio raggiungere questo scopo anche gli istinti più comuni devono essere guidati e disciplinati. In generale, secondo la concezione ebraica, gli istinti di base sono due: la conservazione di se stessi, della propria vita (attraverso l’alimentazione) e la conservazione della specie attraverso la procreazione. Ad essi è possibile aggiungere un altro aspetto (più che un istinto) che non si riscontra se non nel genere umano: il desiderio di progredire coltivando la propria mente ed il proprio spirito (4).
Nell’Ebraismo buona parte dei precetti che mirano a regolamentare questi istinti è affidata proprio alla donna ebrea che di fatto diviene la vera responsabile dei momenti più qualificanti della vita (5).
Se tale è il ruolo della donna, è evidente che è suo preciso dovere conoscere a fondo questo ruolo attraverso lo studio della Torah.
L’unica cosa che può esserle preclusa è lo studio fine a se stesso, tale da occupare tutto il suo tempo, perché, se ciò fosse concesso, non avrebbe la possibilità di espletare quelle mansioni a lei connaturate (6).
Gli obblighi che la Bibbia affida in modo particolare alla donna, e che sono in relazione agli istinti di base sopra elencati, sono fondamentalmente "mitzvot domestiche" in quanto è la donna ad essere maggiormente presente entro le mura domestiche.
Nulla preclude alla donna ebrea la possibilità di svolgere fuori casa una qualsiasi attività lavorativa, ma ciò nulla deve togliere al suo impegno nell’espletamento di quegli obblighi che le sono esplicitamente affidate (7).
In base all’elencazione che ne fa la Mishnà, gli obblighi religiosi specificamente affidate alle donne sono:

  • La prelevazione di una parte dell’impasto destinato alla panificazione;
  • La purità famigliare;
  • L’accensione dei lumi al Sabato e durante le maggiori festività.

A riguardo del primo obbligo, al fine di rendere sacro l’istinto primordiale della necessità di nu-trirsi per mantenersi in vita, la Bibbia insegna a destinare a Dio una parte di ogni nostro impasto destinato alla pianificazione. Il pane è l’alimento per eccellenza, in quanto esempio evidente di trasformazione ad opera dell’uomo di una sostanza esistente in natura e per questo motivo in molte civiltà assume una valenza sacrale. Di fronte alla necessità di alimentarsi tutti gli esseri viventi agiscono istintivamente da predatori considerando l’alimentazione una proprietà. L’ottica dell’Ebraismo è totalmente diversa. Il cibo, come tutto ciò che è stato creato, non è proprietà dell’uomo bensì del Creatore ed è questo il significato delle molte limitazioni relative all’alimentazione. La donna è destinata dal Signore a dare nutrimento: è con se stessa che nutre e fa vivere i figli. E’ quindi logico che ad essa sia affidato anche il compito di sacralizzare il nutrimento attraverso questa cerimonia. La consacrazione del secondo istinto, quello della conservazione della specie, viene fatta attraverso le regole di purità famigliare ed è probabilmente collegata agli scopi stessi dell’esistenza del mondo. Ne consegue che il matrimonio, vita coniugale, gravidanza, allattamento, ed educazione dei bambini sono compiti fondamentali in quanto sono mezzi per garantire la continuità del genere umano. Essi sono tutti aspetti della vita legati al ruolo femminile. Se tutto ciò ha un valore sacro, gli atti, sia pure istintivi e naturali, che concorrono a realizzare tale scopo devono essere "sacralizzati" per non perderne di vista i valori che li devono informare (8).
Vi è, inoltre, un aspirazione eminentemente umana: lo studio di questioni che trascendono i nostri sensi. La realtà umana si esplica attraverso il tempo, ed è nel tempo che periodicamente è necessario recuperare il contatto con il mondo spirituale. Questo è, in genere, il significato dell’osservanza del-le ricorrenze ebraiche (9).
Le festività ebraiche vengono sacralizzate e solennizzate attraverso l’accensione di lumi, da parte della donna, che simboleggiano il desiderio umano di luce spirituale. Come in tutti gli altri aspetti dell’Ebraismo, ciò che si richiede all’ebreo è soprattutto di "fare" perché solo l’azione ha il potere di rendere consapevoli che gli insegnamenti morali e spirituali ci coinvolgono direttamente.
In accordo con la legge della Mishnà (Kid 1,7) riguardo a ciò a cui le donne sono esenti, in termini di obblighi religiosi, è prescritto che le donne sono obbligate a tutti i comandamenti negativi e a quelli positivi non direttamente legati a limiti temporali (10).

2. L’uguaglianza dei sessi

La donna nella Bibbia non è considerata uguale all’uomo nel senso che alla parola "uguaglianza" possiamo dare nel nostro secolo ma in numerose citazioni bibliche se ne esalta la dimensione umana e il ruolo fondamentale che ha, più volte, ricoperto nella storia del popolo ebraico.
Lo status sociale della donna, in quanto essere umano, viene riconosciuto dalla legislazione ebraica che la pone su un piano di equità legale pur riconoscendone le differenze e la specificità rispetto all’uomo. Ad esempio la legge stabilisce uguale rispetto per padre e madre e le regolamentazioni pertinenti all’alimentazione e alle conseguenze dell’adulterio valgono sia per l’uomo che per la donna in egual misura. All’interno del patto religioso che lega gli ebrei, su uomini e donne incombe la stessa responsabilità morale in casi, ad esempio, quali l’apostata o i voti religiosi .Inoltre,
malgrado la legge biblica non vieti la poligamia, da numerose fonti emerge la preferenza e la maggior frequenza, fin dai tempi biblici, della monogamia considerata unanimemente l’unione ideale  (11). Gli ebrei orientali che, nel corso del Medio Evo, avevano più di una consorte, risultano essere stati influenzati più dalle pratiche islamiche che dalla legislazione talmudica che regolamentava i matrimoni (12).
Il paragone profetico dell’amore del Signore per Israele con quello del marito per la propria moglie poteva essere fatto solo in una società dove le donne venivano rispettate e occupavano posti importanti.
 3. L’immagine della donna
Nella letteratura rabbinica si riscontrano una grande varietà di attitudini nei confronti della donna. I tratti caratteriali delle donne divennero, all’interno del pensiero e della mentalità popolare, proverbiali. E’ scritto nel Talmud che un uomo privo di moglie vive senza gioia, benedizione e bontà e che deve amare la propria moglie e rispettarla più di se stesso. Dai proverbi popolari emerge un immagine di donna giudiziosa e perseverante nel raggiungere i propri obbiettivi (13).
D’altra parte, però, la donna viene vista come fonte di tentazione in diversi spunti biblici e ad essa vengono attribuiti la predilezione verso la magia e l’occultismo. Vi è un attitudine ambigua verso l’elemento femminile anche nel pensiero cabbalistico che se da una parte le attribuisce il merito di rispecchiare il lato femminile presente nella divinità e nei mondi trascendentali, dall’altro la descrive come elemento passivo facente parte della sfera del giudizio e della severità (14).
E’ impossibile parlare di un unica attitudine ebraica verso la donna ma generalmente le immagini positive superano quelle negative.
La letteratura ebraica nei secoli ha illustrato le qualità da ricercare in una sposa e moglie (15). Emergono alcune caratteristiche stabili e ricorrenti sull’immagine femminile ideale. Innanzitutto è la compassione ad essere maggiormente lodata quale caratteristica essenziale.
Essa deve essere rivolta verso gli svantaggiati quali l’orfano, la vedova, lo straniero, ma anche gli animali. E’, inoltre, auspicabile che una donna visiti i malati e gli anziani, e li conforti.
Ciò dovrebbe comportare interesse ed entusiasmo e non mera pietà in quanto questo genere di attitudine deve essere fondata sulla comprensione e deve essere costruttiva e creativa.
Un altra caratteristica essenziale che una donna ebrea dovrebbe possedere, secondo la tradizione talmudica, è la modestia in quanto fondamenta per gli altri valori ebraici. Il termine "modestia" è generalmente utilizzato nella lingua ebraica per indicare relazioni fra uomo e donna ma è generalizzabile a qualunque altra situazione che implichi il rapporto con il prossimo. La modestia indica la pudicità e la privacy in ambiti quali il vestire ed il parlare.
Vi è inoltre una componente caratteriale, non strettamente femminile, che nell’Ebraismo è più volte elogiata: la perseveranza nei propri obblighi religiosi e sociali e la costruzione di una forte eticità.
La Bibbia considera l’aspetto fisico un nobile attributo, ma i suoi più grandi commentatori ed i rabbini hanno posto in luce l’importanza che essa non debba essere la qualità dominante e sicuramente non la principale da ricercare in una donna. Questi attributi non devono essere confusi con la mancanza di autostima o con la debolezza. Al contrario, essi sono elementi caratteriali più facilmente riscontrabili, secondo l’Ebraismo, in donne forti , devote e con una buona autostima  (16).

4. Il ruolo educativo della donna e aspetti storici ad esso connessi

Il ruolo educativo della donna come, emerge dalla pedagogia ebraica, riguarda strettamente l’educazione dei figli in famiglia ma in un senso più ampio include l’educazione infantile impartita in qualunque struttura sociale. E’ importante specificare che durante i primi anni della sua vita, il bambino era lasciato alla madre o ad una nutrice, ed era proprio la madre a fornirgli i primi rudimenti pedagogici, soprattutto morali, che potevano proseguire anche nell’adolescenza (17).
Nell’ebraismo, a differenza di quanto accade presso la gran parte dei popoli è considerata ancor oggi determinante l’appartenenza del bimbo alla madre e non al padre: ogni figlio/a ebrea è , per la legge religiosa, ebreo/a. In ogni caso, i ragazzi più grandi erano normalmente affidati al padre che era tenuto ad insegnarli la Bibbia mentre alle figlie erano insegnati il giudaismo e le responsabilità domestiche a casa dalla madre stessa. Oggi, questa distinzione non esiste più (18).
Alla donna spetta per primo il compito della trasmissione dei valori della tradizione attraverso particolari ritualità domestiche che fungono da simboli per fondamentali concetti morali.
La donna ebrea, nell’antichità, era di fatto spesso esclusa da gran parte della vita comunitaria e spesso rilegata fra le pareti domestiche, sottomessa dal padre o dal marito. In questo contesto le esemplari donne ebree della Bibbia rappresentano un importante eccezione in quanto posero la base per una trasformazione del ruolo e dell’immaginario femminile. Con il medio Evo si designarono due sfere di civilizzazione molto diverse tra loro. Al mondo occidentale si oppose quello orientale sotto sovranità musulmana (19).
Le varie differenti situazioni socioculturali ed economiche che si delinearono per le varie comunità ebraiche costituirono un fattore determinante nell’evoluzione dello status della donna. Un problema grave, dell’epoca, risultava essere il frequente abbandono delle donne cui mariti partivano in cerca di guadagno, in pellegrinaggio in Terra Santa o per motivi di studio (20).
La poligamia risultava più frequente malgrado fosse stata legalmente proibita nel decimo secolo. L’istruzione fra le donne era ancora poco comune, soprattutto in Oriente dove le donne dovettero subire maggiori limitazioni sia da leggi appartenenti alla società circostante che da quelle di origine talmudica. Ciò rese l’emancipazione della donna all’interno della loro epoca, molto difficile. Molti storici considerano l’espulsione dalla Spagna nel 1492, una data estremamente importante per il po-polo ebraico ma anche estremamente rappresentativa, a livello, simbolico, dell’inizio dell’epoca moderna (21).
Nelle civiltà orientale, la donna non avrà i mezzi per opporsi al suo status sociale fino ad un epoca estremamente recente mentre nel mondo occidentale occuperà un ruolo sempre più importante sotto l’influenza di diversi fattori. Innanzitutto, nel mondo occidentale, l’emancipazione del popolo ebraico comportava una rivalutazione dei problemi comunitari come quello del ruolo della donna sempre più esteso al di fuori dell’ambito domestico. Purtroppo, però, lo status effettivo della donna subì modifiche molto lente a causa della continua ricerca di soluzioni embrionali mal definite che di fatto non contribuivano a sradicare la ben radicata mentalità sociale (22). Di conseguenza, la donna ebrea risultava doppiamente discriminata: in quanto donna ed in quanto ebrea.
Fortunatamente la donna ebrea di oggi ha accesso agli studi ed al mondo del lavoro ed è probabile che una futura rinascita dell’Ebraismo passi attraverso una nuova valorizzazione della donna.

Elio Limentani

1) R. Rosenberg, L’ebraismo. Storia, pratica, fede, trad. it. e rist. Milano 1996.
2) H. Donin, To Be a Jew: a Guide to Jewish Observance in Contemporary Life, New York 1972
3) Insieme dei primi cinque libri dell’Antico Testamento
4) E. Artom, Vita d’Israele, Roma 1982.
5) Per un quadro di insieme, si veda la voce donna in Piccola Enciclopedia dell’ebraismo, a cura di J. Maier e P. Shaffer, trad. it. Casale Monferrato 1986, cc. 182-184.
6) E. Artom, Op. cit., pp. 35 ss.
7) L. Baeck, The essence of Judaisme, New York 1998.
8) R. Di Segni, Regole alimentari ebraiche, Roma 1995
9) A. Kaplam, Judaism and civilization, New York rist. 1992
10) B. Zion Bokser, Profilo di una fede, Bologna 1969
11) J. Maier e P. Shaffer, donna, cit., c. 183
12) B. Lewis, Gli ebrei nel mondo islamico, trad. it. Firenze 1991
13) A. Chouraqui, La vita quotidiana degli uomini della Bibbia, trad. it. Milano 1988
14) J. Maier e P. Shaffer, donna, cit., c. 184
15) R. de Vaux, Le istituzioni dell’Antico Testamento, trad. it. Bologna 1977
16) R. Roth, L’ebraismo, trad. it. e rist. Milano 1997
17) Cfr. E. Limentani, Il modello educativo ebraico, in Tempo presente, n. 236-237, agosto-settembre 2000, pp. 11-15
18) M-Kueng, L’ebraismo, trad. it. Milano 1993
19) AA.VV, Tutto su Gerusalemme biblica, Firenze 1970, pp. 193 ss.
20) J. Epstein, Il giudaismo, Roma 1987
21) J. H. Jerushalmi, Zakhor (Storia ebraica e memoria ebraica), Parma 1983
22) AA.VV., L’ebraismo, a cura di C. Puech, Roma 1988.

(tratto da B@bèl n. 3, luglio 2002: www.babelonline.net/home/003)

 

Letto 14248 volte Ultima modifica il Mercoledì, 20 Marzo 2013 16:45
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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