Ecumene

Domenica, 24 Luglio 2011 16:56

La Sharî’a. «Il sentiero della volontà divina» (G. B. Maffi)

Vota questo articolo
(2 Voti)

Qual è la natura propria e i contenuti di questa legge islamica? Quali sono i suoi fondamenti etici e il suo sviluppo storico?

Tentiamo, in questo breve articolo, di dare alcune delucidazioni che, pur non essendo esaustive, vogliono aiutare il lettore a comprendere la relazione che lega questo sistema giuridico all’esperienza religiosa e alla vita quotidiana del credente musulmano.

Non possiamo parlare dell’islam senza affrontare l’argomento della legge che da esso deriva e regola ogni comportamento della vita del musulmano a livello individuale e collettivo: la sua vita privata e quotidiana, la sua vita sociale e religiosa, il suo comportamento etico e morale. Ogni società umana ha bisogno, per la propria organizzazione, di un riferimento a un potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Così l'islam, fin dal suo nascere, ha elaborato un insieme di norme che regolano la vita della comunità musulmana.
"Il Corano - scriveva Louis Massignon - costituisce essenzialmente il codice rivelato di uno Stato sovranazionale". Ma qui, il termine di "Stato" non ha il significato moderno al quale noi siamo abituati: è da capirsi piuttosto come riferito alla "migliore tra le comunità che sia mai sorta tra gli uomini", secondo quanto recita un versetto del Corano (3,110): " ".
Il termine 'nazione' o 'Ummà' indica la 'Nazione del Profeta' o la sua comunità di credenti. La radice del termine 'Umma' (nazione, comunità islamica) evoca l'idea di madre: 'Umm', dunque l'idea di origine comune, popolo o nazione con un’unica matrice. Nella psicologia musulmana, però, la 'Umma' connota sempre una origine comune assicurata non tanto dal legame di sangue, ma piuttosto dalle radici spirituali della stessa fede.

La Sharî’a: i fondamenti coranici e il suo sviluppo storico

Il Corano forma un insieme indissolubile di affermazioni riguardanti la fede e di regole di vita politico-sociale. Non è, però, un codice di leggi completo e definitivo, non si tratta di un manuale politico o teologico: il suo contenuto legale e le esigenze della morale coranica potrebbero essere facilmente accordate al Decalogo giudeo-cristiano dettato dall'Antico Testamento, un insieme, cioè, di principi naturali di diritto e di morale.
Guardando il contenuto essenziale dei comandamenti biblici, possiamo ritrovare più o meno lo stesso contenuto morale sparso nelle 114 Sure, o capitoli, che compongono il Corano, soprattutto in quelle ispirate a Medina, nell'ultimo periodo della vita di Maometto, quando, cioè, la prima comunità musulmana si stava organizzando ed era alla ricerca di uno statuto giuridico di carattere politico, sociale e religioso. Non si tratta, dunque di un codice legale per uno Stato politico unificato, ma di un compendio di regole per poter vivere insieme "da buoni musulmani"; regole che sono condizionate dalla morale e soprattutto dal modo di agire indicati dal Corano: il libro delle "relazioni sociali".
Queste regole esigenti dell'agire umano dettate dal Corano, sono state accolte come "legge positiva di origine divina". Questa è la definizione essenziale della legge, nella filosofia politica dell'islam.
La sua applicazione concreta nel corso della storia, riferita a casi specifici, avrà valore in quanto espressione di un giudizio pratico che rispetta e rispecchia i principi fondamentali di questa "legge rivelata", poiché Dio solo, e - per Sua volontà - il profeta dell'islam, Maometto, meritano il titolo di "Legislatori", nel senso stretto.
Così la Legge divina (shar' = via, sentiero; legge coranica), si prolunga e si concretizza in una Sharî'a (legge islamica), una giurisprudenza, se vogliamo, frutto dell'esperienza della comunità dei credenti, nella storia.
Questo processo di formazione e di elaborazione del codice della legge islamica si svilupperà lungo i primi tre secoli dell'islam, completandosi con le "Tradizioni del Profeta" (la "Sunna"). Tale processo, inoltre, darà origine a quattro scuole giuridiche, le uniche tuttora riconosciute, aventi autorità in materia: esse sono la testimonianza storica di un cammino evolutivo delle regole di completamento, a partire da un embrione legale contenuto nel Corano.
Ma quando l'assetto istituzionale di queste scuole fu completato, esse stesse effettuarono la cosiddetta "Chiusura delle porte dello sforzo personale del ragionamento" in materia giuridica, imponendo così un limite restrittivo ad ogni evoluzione della legge. Conseguenza inevitabile di questa "chiusura delle porte" è la sclerotizzazione e la fossilizzazione della Sharî'a, il suo irrigidimento formale e la sua consacrazione come Legge divina, tout court.

I contenuti della Sharî'a

Due sono i principi che sottendono i suoi contenuti giuridici:
1. L'intangibilità dei testi coranici. Si tratta di capirli, di interpretarli, applicarli nel concreto e mai di metterne in discussione la loro origine, considerata divina.
2.  L'immunità da errore (inerranza) riconosciuta alla comunità musulmana, in quanto tale.
Un ordine coranico, contenuto nel versetto sopra citato, rafforza questi principi, animandoli di quella capacità operativa di cui sempre hanno dato prova: l'ordine di comandare il bene e di vietare il male. Per capirci: lottare contro ogni tipo di innovazione nel culto ma anche nella condotta dei musulmani, contro gli abusi e gli errori che mettono in causa i "diritti di Dio e degli uomini" di cui la comunità musulmana è garante e giudice al tempo stesso.
La Sharî'a, in quanto di origine divina, si estende a tutti i campi della vita umana, privata e collettiva, sociale, politica ed economica, oltre, evidentemente, a quella religiosa e spirituale. Nessun problema, neanche quelli posti dalle ultimissime scoperte scientifiche (o che sorgeranno in futuro), può sfuggire alla sua autorità. Poiché "tutto è già contenuto nel Corano", la risposta giuridica ad ogni problematica nuova deve essere ricercata e trovata in esso e nella Tradizione islamica.
La sua vocazione non è soltanto quella di regolare il comportamento della comunità umana, ma ha anche una "funzione dissuasiva": il codice penale della Sharî'a è "pedagogia in vista del bene". Così le pene, molte delle quali non sono contemplate nel Corano ma provengono da tradizioni più tardive (come la lapidazione delle adultere, il taglio della mano ai ladri), hanno un "valore dissuasivo", come amano precisare ancora oggi i giuristi musulmani: "Poiché si tratta di una ingiunzione divina, il rigore di questa legge mette a dura prova i musulmani stessi. Essa costituisce una punizione, ma anche una forma di purificazione. Non si può insultare il colpevole [al momento della sua esecuzione, n.d.r.]. Dopo la sua morte si prega per lui" (Ramadan, Hani: La Sharî'a incomprise; in: Le Monde, 10 settembre 2002).

Sharî'a indiscutibile: un esempio

L'autore dell'articolo appena citato, ci offre un esempio che potrei definire "classico", di come un musulmano dei nostri giorni e istruito, difende il valore intrinseco della Sharî'a. Riporto, in traduzione, le parole di Hani Ramadan tratte dallo stesso articolo.
"La volontà di Dio, per i credenti si esprime a due livelli: nel libro della Rivelazione [il Corano, n.d.r.], e in quello della Creazione. [...] Dunque noi ci chiediamo: chi ha creato il virus dell'AIDS? Notate bene che la persona che rispetta strettamente i comandamenti divini è al riparo da questa infezione, la quale, a meno di un errore di trasfusione sanguigna, non può attaccare un individuo che non intrattiene rapporti extraconiugali, [...]. Rispetto a questi principi di base, si espongono al contagio di questa malattia soltanto coloro che hanno un comportamento deviante. Prima di giudicare questa concezione moralizzatrice e completamente sorpassata, propongo solamente che venga fatto uno sforzo di riflessione: la morte lenta di un malato affetto da AIDS è meno significativa che quella di una persona lapidata? [cioè un'adultera, n.d.r.]. Per il musulmano, i segni divini che l'intelligenza umana percepisce si scoprono sia nell'universo così come nella legge [islamica, n.d.r.]. [...] I musulmani vedono nel rigore di questa il segno della misericordia divina.
I musulmani sanno che la natura è a loro sottomessa nella misura in cui essi stessi si sottomettono a Dio, ma si ribella contro di loro, invece, se infrangono le leggi dell'Onnipotente".
Potremmo pensare che si tratti di una lettura un po' troppo semplicistica, per non dire cinica e concordista della realtà.
È solo il ragionamento logico e conseguente di un musulmano che cerca di spiegare a chi non lo è, come siano contemplati, nell’islam e nella sua legge, la volontà e il progetto di Dio sull'uomo.

G. B. Maffi

(da Africa, n.1, 2003)

 

Letto 5591 volte Ultima modifica il Mercoledì, 17 Agosto 2011 12:29
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search