L'assemblea si protrasse per undici giorni con preghiere, conferenze e gruppi di studio e ad essa parteciparono credenti appartenenti alle undici religioni mondiali che vennero identificate come le religioni esistenti attualmente.
Nessuno di coloro che vi hanno partecipato può dimenticare l'emozione suscitata dalle celebrazioni religiose del mattino officiate da parte dei ministri delle diverse religioni, così come dalle serate di meditazione silenziosa nella grande sala di lettura della biblioteca universitaria. Nella preghiera del mattino i presenti non pensavano di assistere a uno spettacolo. Ciascuno nel suo intimo era convinto che quella preghiera, pur espressa con una ritualità così differente da quelle che conosceva e con musiche e canti non abituali, era ascoltata dall'unico Dio o comunque dalla Realtà ultima a cui egli faceva riferimento.
Il cristiano, cosciente dell'azione dello Spirito Santo nelle altre religioni (tema sul quale ha insistito molto proprio papa Giovanni Paolo II) e del loro significato nel disegno; universale di salvezza, e nello stesso tempo consapevole del proprio sacerdozio battesimale, accoglieva nel suo cuore questa preghiera e quasi la trasfigurava per offrirla al Padre per Cristo e nello Spirito.
Questo lo avvertì con ancor maggiore intensità nelle preghiere serali che costituirono l'esperienza più sconvolgente. Nel silenzio della sala in cui tutti erano invitati a meditare qualcuno cominciò a esprimere ad alta voce una propria intenzione. Al primo se ne aggiunse un altro, poi un altro, e un altro ancora. Pregava lo zoroastriano, poi la musulmana palestinese, poi l'ebrea israeliana, poi si levavano altre voci e nessuno sapeva a quale tradizione appartenesse colui che pregava tanto simili erano le varie espressioni di lode, di ringraziamento, di invocazione. Tutti erano partecipi e accoglievano e intendevano fare propria la preghiera che avevano ascoltata formulata da uomini e donne provenienti dai più diversi orizzonti religiosi e culturali.
Quella esperienza precedette di due anni la giornata di Assisi (27 ottobre 1986) e certamente contribuì a prepararla. Essa venne ancora ripetuta in molte altre occasioni, tanto a livello locale, quanto a livello europeo o a livello internazionale: come dimenticare, per esempio, la meditazione mattutina in una baia vicina a Melbourne nel 1989, allorché già prima del levar del sole migliaia di persone si erano ritrovate sulla spiaggia accomunate da un'unica aspirazione di pace e di amore?
Preghiera comune, non gesto sincretista
Con chi può pregare il cristiano? Il cristiano sa che la forma più alta di preghiera è la preghiera liturgica, il culto pubblico reso a Dio dalla comunità cristiana, popolo sacerdotale, a nome di tutta l'umanità, una preghiera nella quale egli sente presente l'intera comunione dei santi, del cielo come di quelli della terra. A questa preghiera liturgica partecipano in linea di principio solo i credenti in Cristo, che si possono associare ad essa anche se fanno riferimento a Chiese o confessioni diverse e anche se talvolta norme canoniche delle diverse comunità possono chiedere di non accostarsi alla mensa eucaristica.
Al di fuori della preghiera liturgica, nella preghiera privata, personale o comunitaria, il cristiano sente di potersi associare ai credenti di altre religioni. Innanzitutto alla preghiera degli ebrei, quando vi assiste silenzioso, o alla preghiera dei musulmani nelle loro moschee: gli uni e gli altri si rivolgono allo stesso Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio il cui nome deve essere circondato di rispetto, il Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, al quale si rivolge la sua stessa preghiera. Non si compie quindi nessun gesto sincretista quando ci si unisce nel proprio cuore alla preghiera dei credenti delle grandi religioni abramitiche: se il contenuto della fede, la fides quae creditur, non può essere considerata la stessa, la fides qua creditur, la fiducia e l'abbandono in un Dio clemente e misericordioso è analoga in queste tre grandi religioni, anche se - come si è già ricordato - il cristiano nella sua preghiera sa di andare al Padre per mezzo di Gesù Cristo e nello Spirito Santo.
Per quanto riguarda le altre religioni, è forse giusto osservare che al di là delle apparenze oggi nella loro grande maggioranza si vogliono religioni monoteiste e, anche quando non possono essere considerate tali, vi sono al loro interno delle componenti teiste. Ciò vale certamente per lo zoroastrismo, per il giainismo, per il sikhismo, per le religioni tradizionali africane e americane, ma un dialogo più approfondito tanto con gli induisti quanto con i buddisti rivela anche in essi o almeno in molti di essi la presenza di una concezione monoteista. Questa è stata probabilmente rafforzata dall'influenza esercitata su queste religioni dalle religioni monoteiste.
Una preghiera comune è dunque possibile, anche se con i buddisti più che di una preghiera comune sarebbe bene parlare di una meditazione comune, visto che questa è la forma conosciuta da questa tradizione religiosa. Ricordando anche che il silenzio su Dio del buddismo può essere interpretato come un atteggiamento apofatico, che evita di parlare di Dio in maniera che potrebbe rivelarsi non rispettosa del suo mistero.
Cristo in tutti gli uomini
Circondare di rispetto o partecipare spiritualmente alla preghiera degli altri credenti significa riconoscere questo fatto essenziale del rapporto di tutti gli uomini con Dio, questa presenza di Cristo in ogni persona. Il Concilio contiene una proposizione fondamentale a questo proposito: «Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (GS 22). L'amore di Dio si estende ben al di là dei confini visibili della nostra tradizione. I libri di Rut, di Giona, il Deuteroisaia, ci dicono quanto Dio ami tutti i popoli e quanto sia necessario superare le nostre grettezze anche in questo campo per aprirci insieme alla venuta del regno di Dio. Il regno di Dio è più grande della Chiesa come comunità visibile, e in esso hanno il loro spazio anche i credenti delle altre religioni.
La comunione con Dio, che per dono dall'alto si realizza nella preghiera e nella meditazione, postula sempre anche una comunione con gli altri, così come ci pone in piena comunione con tutta la buona creazione di Dio. Forse anche per questo prima di accostarci alla preghiera siamo invitati ad assumere un atteggiamento di misericordia e a disporci alla riconciliazione, con l'intima convinzione di essere tutti figli dell'unico Dio e chiamati alla fraternità: se tu stai per fare la tua offerta all'altare, va prima a riconciliarti con il tuo fratello. Quello che sappiamo è che l'esperienza di coloro che sono progrediti nella vita spirituale e che hanno raggiunto lo stadio che la tradizione spirituale definiva della via unitiva o dei perfetti vivono la stessa esperienza trasformatrice di pienezza della carità e usano spesso gli stessi termini: i mistici di tutte le religioni immergendosi nell'intimità con Dio vivono esperienze e parlano linguaggi che sono analoghi in tutte le tradizioni religiose.
Queste prospettive sono quanto mai importanti per un mondo che si sta unificando, nel quale le diverse religioni sono chiamate secondo il disegno di Dio a costituire un fattore di unità, purificandosi e arricchendosi a vicenda, e nel quale l'intera famiglia umana è chiamata a vivere un'esperienza di solidarietà e di carità in grado di garantire la sua sopravvivenza e di assicurare un futuro alle generazioni a venire.
Giovanni Cereti *
*docente presso l'Istituto di studi ecumenici, Venezia, e la Pontificia facoltà teologica Marianum, Roma.