Islam cristianesimo una parola comune
«Storica» e «senza precedenti». Sono gli aggettivi più ricorrenti tra i sostenitori islamici (firmatari e non) della lettera dei 138. Pur nell’attenzione in generale molto limitata data a questo evento dai media dei Paesi a maggioranza musulmana, ci sono state comunque voci degne di essere registrare. «Sottoscriviamo pienamente questa lettera», ha scritto in un significativo editoriale il quotidiano saudita Arab News, sottolineando che, se «il dialogo islamo-cristiano ha sfortunatamente avuto la tendenza a fiorire al chiuso dei contesti accademici o su una base personale tra i chierici, questa lettera, al contrario, ha il potenziale per creare un nuovo spirito di cooperazione». L’editoriale pone l’accento su un altro aspetto importante del documento, i cui firmatari «provengono da tutte le tradizioni e scuole islamiche, non solo sunnite, e da ogni angolo del globo. Ecco la Umma, la comunità musulmana mondiale, che parla con una sola voce, la voce della maggioranza, che crede nella pace, che è preoccupata per il futuro di tutti noi su questo pianeta, non solo i musulmani, e che vede i cristiani non come nemici storici ma come compagni, nell’unico Dio, per la pace».
Del «peso del sentimento popolare musulmano» parla anche il quotidiano degli Emirati arabi Khaleej Times che, tra l’altro, in un editoriale spiega che «è nell’interesse di tutti liberare il mondo dalle tendenze estremiste. L’islam e la cristianità hanno entrambi nella pace il carattere essenziale che li definisce. È in quel nucleo che molti dei problemi dominanti di oggi possono trovare soluzione».
Gulf News, quotidiano di Dubai, nell’articolo intitolato «I musulmani chiamano all’armonia» riporta le parole dello sceicco Ali Zain Al Abideen Al Jifri, fondatore del Taba Institute e tra i firmatari della lettera: «Seguendo il precetto coranico del dibattere “nel modo più corretto”, noi, musulmani, speriamo di aumentare in questo modo la comprensione reciproca e ristabilire la fiducia tra islamici e cristiani».
Un tono simile pervade l’articolo pubblicato su Gulf Times, quotidiano di Doha, in Qatar, che riporta un intervento di Aref Ali Nayed, consigliere del Cambridge Interfaith Programme e anch’egli tra i firmatari del documento: «Nell’islam - spiega Nayed - abbiamo avuto problemi quando le voci della maggioranza sono state soffocate da una minoranza che ha scelto la violenza». Ma i sottoscrittori dell’attuale documento «non prendono alla leggera le proprie firme», ha assicurato il professor Nayed, spiegando che «stiamo cercando di istituzionalizzare questi sforzi, per non perderli» e aggiungendo che ‘iniziativa nei confronti dei cristiani potrebbe essere seguita da altre simili indirizzate a ebrei e anche laici.
Lo stesso Nayed è citato anche dal quotidiano britannico Guardian, che ha dato voce agli esponenti dell’islam britannico. Oltre al professore di Cambridge, secondo cui «questo consenso, costato quasi tre anni di sforzi» è «offerto come amore gratuito, non in una gara alla ricerca della reciprocità», sul quotidiano inglese viene data voce a Inayat Bunglawala, assistente del segretario generale al Muslim Council britannico. In un commento intitolato «La sfida di Maometto», Bunglawala, intellettuale controverso, accusato più volte in passato di antisemitismo, si sofferma - non a caso - sul passaggio della lettera in cui i firmatari scrivono che «come musulmani, noi diciamo ai cristiani che non siamo contro di loro e che l’islam non è contro di loro - a meno che loro non intraprendano la guerra contro i musulmani a causa della loro religione». Un passaggio, scrive Bunglawala, «degno di essere ponderato in un momento in cui il macchinario di propaganda dei guerrafondai sta scaldando ancora il motore, questa volta per preparare il pubblico occidentale per un attacco all’Iran».
Dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, The American Muslim, magazine on line voce della Islamic Society of North America, ha dato molto spazio alle contrastanti reazioni suscitate negli Usa dalla lettera dei 138 saggi. Se sulla rivista il direttore esecutivo Abdus Sattar Ghazali tende a riportare le diverse opinioni senza commentarle, nel proprio sito, American Muslim perspective, Ghazali entra maggiormente nel merito del dibattito: «Si dice che un profondo ostacolo alla realizzazione di relazioni positive tra musulmani e cristiani. sia stata la mancanza di una singola voce islamica autorevole. Questa lettera cambia la situazione», scrive Ghazali in un commento. Nel quale sottoscrive, tra l’altro, l’opinione di Ingrid Mattson, presidente della Islamic Society of North America e firmataria della lettera, secondo cui il documento è un forte motivo di incoraggiamento per gli esponenti islamici già impegnati nel dialogo interreligioso, perché «dà a ognuno di noi la speranza di essere parte di un movimento globale che può superare l’abuso della nostra religione e avere un impatto sul mondo».
Una certo eco alle considerazioni di Ghazali è stata data anche da Khabrein, magazineon line basato a New Delhi, in India, che riserva una particolare attenzione alle notizie legate alla comunità islamica. E se per il quotidiano Middie East Times, con sede a Washington, «il fatto significativo è che questa iniziativa raggruppi sia sunniti sia sciiti, con le diverse scuole di pensiero all’interno di queste due branche dell’islam», il direttore della testata Claude Salhani, in un commento sul libanese Daily Star, dimostra un certo scetticismo riguardo la reale rappresentatività del documento: «Questa lettera è indubbiamente un passo incoraggiante, ma come potrebbe dire un commentatore cinico, per quanto possano essere prominenti, questi restano solo 138 nomi su 1,6 miliardi». Nomi che, tuttavia, hanno sicuramente un peso importante, come dimostra il dibattito che la loro iniziativa ha suscitato, e la stessa risposta del Papa, anch’essa accolta con molto interesse dai media mondiali. Il giorno dopo la pubblicazione della risposta, il quotidiano islamico basato a Londra Al-Hayat titolava: «Il Papa accetta l’invito islamico al dialogo e propone di ospitare incontri in Vaticano». Segnali di un disgelo che non ha solo risvolti religiosi. Mette l’accento su un dato politico Hassan Hanafi, intellettuale egiziano, anche lui tra i 138 firmatari: «Oggi ci troviamo davanti al rischio di un mosaico di mini-Stati costruiti su base etnica - spiega -. In questa situazione riscoprire le radici comuni è un fatto importante anche per le nostre società arabe. Oggi vediamo le nazioni spaccarsi. E invece abbiamo bisogno di ritrovare un denominatore comune. Questo può nascere solo dal rispetto reciproco».
Ha confermato la sua adesione al documento anche Aisha Youssef Al-Mannai, del Qatar. Lo ha fatto durante l’incontro interreligioso promosso a Napoli dalla Comunità di Sant’Egidio. «Rifiutiamo la violenza a tutti i livelli: contro gli ebrei, i cristiani e i musulmani». Parole rese particolarmente significative dal ruolo ricoperto da questa professoressa con il chador nero. All’Università di Doha, infatti, è la prima donna a ricoprire la carica di decano del Collegio di Sharia e di studi islamici. E in questa veste, nel maggio dell’anno scorso, ha promosso la terza edizione della Conferenza interreligiosa che dal 2005 ormai ogni anno si svolge a Doha, cioè in un emirato Wahhabita che confina con l’Arabia Saudita. Proprio sotto la sua guida questo incontro si è aperto anche ad alcuni esponenti dell’ebraismo americano. «Quando parliamo delle vittime irachene - ha detto a Napoli - noi diciamo sempre che tra queste vittime ci sono anche i cristiani. Siamo contro ogni forma di terrorismo».
Chiara Zappa
A Mindanao sul calendario di Silsilah
Simposi, conferenze e perfino un calendario, per diffondere «una lettera che e un passo storico nel cammino di dialogo tra musulmani e cristiani». Parola di un esperto dell’argomento: padre Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime nelle Filippine dal 1977, è infatti il fondatore del SiIsiIah, movimento per il dialogo cristiano-islamico diffuso nell’isola di Mindanao. «A Zamboanga stiamo organizzando varie iniziative per far conoscere il testo del 138», racconta padre D’Ambra. Alcuni passi del documento sono già stati selezionati per essere pubblicati sul «SiIsiIah calendar», il tradizionale calendario interreligioso dell’Istituto, che scandisce sia l’anno gregoriano sia quella dell’Egira, con le rispettive ricorrenze.
«All’interno dell’istituto, il cui responsabile è un professare musulmano - racconta ancora il missionario - intendiamo poi organizzare Incontri con gli ulema locali per presentare loro i temi della lettera, affinché li sviluppino nelle rispettive comunità». In programma anche un simposio pubblico a Zamboanga, un intervento nel contesto dell’incontro tra i leader del Consiglio interreligioso, un approfondimento alla prossima assemblea generale annuale dei rappresentanti del movimento SiIsiIah, che conta circa venti gruppi a Mindanao. «L’idea è cogliere tutte le occasioni che si presenteranno per creare uno spirito diffuso di dialogo, attraverso una riflessione congiunta su questo documento, anche perché diversi leader musulmani non sono preparati al tipo di linguaggio utilizzato nella lettera, che a tratti è piuttosto nuovo rispetto alla tradizione islamica».
(c.z.)
(da Mondo e Missione, gennaio 2008)