Il pane, segno d'unità
di Vladimir Zelinskij
Un ricordo personale: quando per la prima volta ho letto il Vangelo – mi pare a 20 anni, non ero né credente né battezzato –, un versetto mi ha colpito più degli altri: “Io sono il pane della vita; - dice Gesù - chi viene a Me non avrà più fame e chi crede in Me non avrà più sete” (Gv 6, 35). S’intravedeva qualche mistero in questo essere insieme, nell’essere la stessa cosa dell’Io umano e divino, della vita e del pane, del vitto quotidiano e del frutto della terra. Nel contesto delle parole di Giovanni quel pane è anche il dono del cielo. Il vangelo diceva che il mistero di Dio, di cui tutti siamo portatori, anche senza conoscerlo, s’incarna in modo concreto, in modo vitale nel cibo. Ma questo cibo s’identifica con l’inesprimibile ed inesauribile personalità dell’Uomo che non ha avuto paura di dire di se stesso: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30).
Poi, da cristiano, ho trovato. E questa scoperta accompagna la mia vita: tutto il Vangelo, il messaggio di Gesù nella sua pienezza e profondità, può essere visto, sentito, illuminato da qualsiasi episodio, a volte anche da una sola parola – se la percepiamo come parola di Dio che si rivela sempre di nuovo. Tutto può essere rivelato nella luce della Buona notizia, che si moltiplica davanti ai nostri occhi come il pane della famosa parabola. Perché quel pane unisce il cielo e la terra, la vita umana nella sua brevità e precarietà con il cibo della vita eterna. In altre parole: il pane rivela la sua natura autentica quando diventa eucaristico e ci unisce a Cristo. Tutta la creazione, infatti, porta in sé il suo segreto eucaristico. E questa visione appartiene proprio alla spiritualità ortodossa, in cui non c’è una divisione netta tra il naturale ed il sopranaturale, ma esiste una rivelazione della natura “cristica” delle cose. Qualsiasi creatura porta la parola che l’ha chiamata all’esistenza, ma il pane, fatto di frumento o di segale – di piante piantate ancora in paradiso – possiede un ruolo o una “vocazione” particolare. Con il pane l’uomo può ricevere la Parola stessa perché questo cibo unisce in sé i doni della terra e del cielo e perché il pane può essere il luogo o, addirittura, la “carne”, il corpo della Parola. Tutto questo è stato rivelato già ai profeti e ai saggi d’Israele che hanno paragonato l’assenza della Parola alla fame del corpo. “Verranno giorni, dice il Signore Dio, in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore” (Amos 8, 11).
Si pone la domanda: perché proprio il pane possiede questa proprietà, la grazia di accogliere la Parola di Dio? La Bibbia ci dice che il pane – o il mangiare del pane – esprime spesso lo stato d’animo della persona, si riveste delle caratteristiche umane: Le lacrime sono mio pane giorno e notte, dice il Salmo 42, 4. Tu ci nutri con il pane delle lacrime (Ps. 80, 6). Di cenere mi nutro come di pane (Ps 102, 10). Invece nel Libro del Qoelet troviamo: Va’ mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha già gradito le tue opere (9, 7). I peccatori mangiano il pane dell’empietà e bevono il vino della violenza (Prov 4, 17). Nello stesso Libro dei Proverbi troviamo il monito contro il vizio dell’ozio: il pane che mangia non è frutto della pigrizia (31, 27). Il pane è anche il segno dell’amicizia, che può essere tradita: Anche l’amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane alza contro di me il suo calcagno (Ps 41 10) ed anche Gesù cita questa parola (Gv 13, 18).
Il pane come cibo è segno dei doni del Signore, di cui il più grande è la vita stessa, con tutto ciò che la vita porta in sé: amicizia, allegria, ospitalità, gioia… ma anche tutte le pene, i dolori e le sofferenze. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto; polvere tu sei e in polvere tornerai (Gen 3, 19), dice il Signore ad Adamo, dopo la caduta. Ma quando Gesù, durante l’Ultima Cena, distribuisce il pane con le parole: Questo è il mio Corpo, toglie la condanna antica e libera il pane dal suo significato di schiavitù. Questo è il Mio Corpo significa il nuovo dono della vita che, dalla polvere della terra, si alza verso il cielo, risuscita nel Signore, entra nella Sua gioia che non passa. Nessuno potrà togliere la vostra gioia dice Gesù e questa gioia viene donata con il pane dell’Eucarestia che, nel termine originale greco, significa “ringraziamento”. La Rivelazione della vera natura del pane sta proprio nella gratitudine, nella gioia e nell’unità. Nell’Eucarestia il pane – che rimane il nostro pane quotidiano – diventa pasto del banchetto del Regno, dove tutti i discepoli di Cristo devono essere uniti.
I Padri della Chiesa parlano molto del mistero dell'unità con e tramite l’Eucarestia.
"Qui non portiamo idee nostre”, dice Sant'Agostino, “ma udiamo lo stesso Apostolo che, parlando di questo sacramento, dice: Un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo (1Cor …). Ma anche ciò che dobbiamo intendere del calice, pur senza dirlo, lo ha mostrato chiaramente. Come infatti per ottenere le specie visibili del pane molti grani di frumento vengono uniti a formare una cosa sola - affinché in tal modo si avveri ciò che la Scrittura dice dei fedeli: Era in loro un’anima sola e un cuor solo in Dio (At 4,32)…” (Discorsi).
Proprio il pane esprime la testimonianza dell’unità fra i discepoli di Cristo nelle parole degli Atti degli Apostoli: Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera. Questo versetto, che sembra così semplice, presenta quattro elementi della vita ecclesiale antica o primitiva, che sono legati fra loro in modo indissolubile: la retta dottrina (l’insegnamento degli apostoli), un forte senso della comunità unita nell’amore e nel rispetto reciproco (l’unione fraterna), la partecipazione al banchetto del Signore nell’Eucarestia e la preghiera condivisa. Tutto questo può essere riunito nel concetto della comunione, nella quale la partecipazione ai misteri di Cristo e la fratellanza dei discepoli di Cristo sono uniti fra di loro. Vale la pena di ricordare che l’epoca apostolica era ancora capace di riconciliare le tradizioni più diverse: una, ebraica, proveniva dai primi discepoli di Cristo stesso, mentre le altre appartenevano ai popoli pagani, appena convertiti al messaggio della Buona Notizia. L’Eucarestia del secolo apostolico, secondo le ricerche degli specialisti, poteva unire in sé alcuni elementi del culto pasquale ebraico con parti di culti pagani, assai lontani da esso. Possiamo affermare che l’epoca apostolica è partita dalla grande riconciliazione fra il popolo eletto (con la sua legge dell’Antico testamento) ed i convertiti provenienti dai popoli pagani – per arrivare, più tardi, alle irreparabili divisioni fra i cristiani stessi. Nell’epoca patristica il pane, come anche il vino, è diventato il segno dell’unità, confermata e proclamata nella preghiera eucaristica: “Come questo pane era disperso sulle colline e dopo è stato raccolto è diventato uno, così sia raccolta la Tua Chiesa da tutta la terra nel Tuo Regno”.
Così la frazione del pane riuniva insieme molti significati. Possiamo distinguervi tre livelli teologici, che non sono sottomessi l’uno all’altro. Il primo livello è comunitario. Il senso dell’unità, la gioia nello Spirito Santo, l’amore fraterno nel Signore. Il secondo livello è comunionale: il pane diventa il Verbo incarnato, la carne di Cristo che riceviamo con la comunione. Il terzo significato è quello dell’ordine cultuale: il pane che la gente porta al Signore come sacrificio diventa il Corpo che Lui dona agli uomini. Nell’esperienza delle prime generazioni cristiane questi livelli erano ancora uniti, poiché, secondo le parole di San Paolo, c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane (1 Cor 10, 17). Il sacramento (che non aveva ancora questo nome) era unico: quello dell’Eucarestia, quello dell’unità del Corpo di Cristo in comunità, quello dell’unione a Cristo nella preghiera, nella fede professata da un solo animo e nel mistero della fede, vissuto nell’intimo da ogni fedele.
Il versetto degli Atti che parla dei discepoli di Cristo assidui nell’ascoltare insieme la parola e nella frazione del pane, è rimasto come il ricordo di un’unità che da tempo non c’è più. Il pane spezzato nelle Chiese è diviso perché si sono separati i concetti e le esperienze della vita in comune. Sarebbe ingenuo pensare che per tornare al tempo dell’unità basti d’un tratto cancellare tanti secoli di vita separata. In questi secoli si sono create le diverse Tradizioni, che costituiscono un patrimonio inalienabile di ogni Chiesa. Bisogna conoscerle, capire le testimonianze degli altri ed in seguito riconoscere nelle diverse forme anche una nostra propria ricchezza. Bisogna cercare in immagini che sembrano lontane il volto del nostro Signore. Non ci si può riconciliare sopprimendo lo sviluppo delle altre Chiese, ma ci si può riconoscere anche nella diversità della vita ecclesiale, nello spezzare il pane comune, affinché questo pane diventi di nuovo il segno dell’unità fra gli uomini e degli uomini con Cristo.