I “lama reincarnati” o tulku, ritrovati quando sono ancora bambini, hanno contribuito largamente a costruire il mito del Tibet. Indissociabili dal paesaggio spirituale e sociale del Tibet tradizionale, si dividono in due grandi famiglie.
La prima è quella dei tulku considerati “ultimi”, la cui nascita è miracolosa: il buddha Shakyamuni, o ancora Padmasambhava, uno degli artefici del primo tentativo di impiantazione del buddhismo nel Tibet (sec. VIII), di cui la leggenda dice che fosse nato da un loto. La seconda categoria è costituita da esseri ritenuti abbastanza avanzati sulla via spirituale da poter padroneggiale la nascita e la morte. Questa categoria offre grandissime diversità, secondo il grado di realizzazione interiore della persona. I più elevati sono considerati come manifestazioni umane delle qualità spirituali quali la compassione (dalai lama, karmapa) o l’energia (gyeltsab rinpoché).
Molteplici manifestazioni
I tilku sono sempre esistiti da un punto di vista buddhista. L’originalità tibetana consiste nel fatto di averne fatto un’istituzione. Per comprendere bisogna risalire al sec. XII, al tempo della seconda diffusione del buddhismo nel Tibet. Fra i mistici più famosi, Dusum Khyenpa (1110-1193), è ritenuto la reincarnazione di maestri che si sono succeduti in India e nel Tibet. Durante la sua vita egli evoca l’esistenza di varie altre manifestazioni che gli sono contemporanee. Poco prima di morire affida a uno dei discepoli fedeli una lettera che dà le indicazioni riguardanti la sua futura incarnazione in quanto karmapa, il capo del lignaggio spirituale dei Karma Kagyupa che si è formato sotto la sua direzione. Poiché egli ha fatto costruire monasteri e instaurato eremitaggi, essi vanno necessariamente alla sua seconda incarnazione, il II karmapa, Karma Paksi (1204-1283). Anche se su questo avvenimento esistono incertezze – c’è stata secondo alcuni cronisti una incarnazione intermedia che non è sopravvissuta – il karmapa è considerato come il fondatore morale dell’istituzione della direzione di lignaggio o di monastero mediante una lignaggio di tulku.
Istruzione, visione od oracoli
In seguito vengono creati altri lignaggi di tulku, dapprima fra i Karma Kagyupa, poi nelle altre scuole spirituali, senza però che i tulku abbiano sempre un ruolo di direzione. I dalai lama, che formavano già un lignaggio di tulku prima di ricevere il titolo dai Mongoli nel 1578, ne sono i rappresentanti più famosi. Altre grandi incarnazioni, i panchen lama, sono istituite nel sec. XVII dal V dalai lama (1617-1682)
Concretamente come si svolge questo processo di riconoscimento dei tulku? In generale il tulku stesso lascia delle istruzioni per facilitare la sua scoperta. Egli fornisce elementi concernenti il luogo, i suoi genitori, eventualmente l’anno della sua rinascita. Può anche accadere che non lasci nessuna istruzione: sono allora le visioni dei suoi discepoli o degli oracoli che permettono di ottenere degli indizi. Una volta riuniti questi elementi, si instaura una missione di ricerca e molto spesso vengono selezionati vari candidati. Si procede allora a dei test. Il più conosciuto è quello del riconoscimento degli oggetti del tulku precedente. In questa prova l’attuale dalai lama ha riconosciuto, fra l’altro, un bastone appartenuto al suo predecessore.. Alla fine del sec. XVIII la Cina ha tentato di intervenire su tale sistema riducendo questi rituali a un semplice sorteggio con un’urna d’oro. Verosimilmente questo sistema sarebbe stato usato una sola volta, per l’ XI dalai lama (1838-1855), ma si dice che nell’urna non vi fosse altro che il suo nome.
Una volta scelto, il tulku segue una formazione spirituale estremamente rigida. I suoi genitori ricevono un risarcimento materiale o, nel caso dei dalai lama, ricevono un titolo nobiliare. Spesso rimangono nel loro ambiente, ma sono numerose le testimonianze dei tulku che raccontano la loro pena di essere separati del calore del focolare. Perchè il tulku non è un essere umano ordinario, ma una funzione la cui formazione esigente spinge al massimo,in teoria, le sue competenze. Tutta un’organizzazione si mette in moto intorno a lui: tutori, servitori, orari.
Il problema della reggenza
Il riconoscimento dei tulku è una sfida importante, perché se si tratta di un capo di lignaggio o di monastero, la sua dimensione sociale, e anche politica, acquista tutto il suo rilievo. Il Tibet è stato regolarmente attraversato da conflitti più o meno gravi intorno al loro riconoscimento. L’ultimo in ordine di data è quello che, dall’inizio degli anni 1990, divide il lignaggio Karma Kagyupa a proposito della reincarnazione del VII karmapa. Due gruppi rivendicano ciascuno un karmapa: l’uno, Orgyen Trinlé Dorjé è riconosciuto ufficialmente dalla immensa maggioranza dei membri del suo lignaggio religioso e ha ricevuto, come vuole la tradizione dal sec. XVII, l’avallo del dalai lama; l’altro, Thayé Dorjè, non è riconosciuto che da una minoranza a capo del quale si trova uno dei reggenti del lignaggio, lo shamarpa.
Quando si parla di tulku, non si può non parlare della reggenza che assicura l’interregno. Il Tibet non è sfuggito a quel sembra essere una regola: quel periodo è sempre delicato. I reggenti, spesso anche loro dei tulku, hanno il compito di formare spiritualmente il nuovo maestro e di mantenere il lignaggio sia materialmente che spiritualmente. Nel caso dei dalai lama, la reggenza è auspicata dai Mongoli quando nel 1642 hanno contribuito alla loro installazione a capo del Tibet. Questa reggenza ha conosciuto variazioni nel suo esercizio. Rimane un problema quando si sa che nel sec. XIX quattro dalai lama muoiono prematuramente, mentre certi reggenti hanno regnato per più di quindici anni. Come altrove, la reggenza è una porta aperta per gli ambiziosi di ogni specie.
Laurent Deshayes
(da Le monde des religions, n. 30, pp. 28-29)