Ecumene

Venerdì, 08 Gennaio 2010 22:31

Chiese d’Occidente. Reciproco affidamento ed esperienze comuni (Michele Cassese)

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Il grande sconvolgimento della separazione delle Chiese d’Occidente da quella cattolica dipese in parte da una richiesta di rinnovamento. Oggi i problemi sono diversi e comuni. E si avverte più viva l’esigenza di un ecumenismo di documenti, ma anche di esperienze pratiche comuni.

Chiese d’Occidente

Reciproco affidamento
ed esperienze comuni

di Michele Cassese *

L’Unitatis redintegratio è certamente una pietra miliare nei rapporti ufficiali tra Chiesa cattolica e altre Chiese e comunità ecclesiali d’Oriente e d’Occidente; ma è pure un punto di riferimento per un nuovo rapporto tra i cristiani. Ad esso occorre ancora ritornare per rivedere e riprendere il cammino ecumenico.

Quali i motivi di tanta importanza? Innanzitutto il momento storico della sua stesura: un periodo di grande risveglio e speranza per la cristianità e il mondo intero. La Chiesa cattolica seppe aprire “un cantiere” per aggiornarsi e rinnovarsi, sentendosi al servizio del mondo, consapevole della sua missione profetica. Inoltre il tono pacato e il linguaggio costruttivo del decreto - fatto comune a quasi tutti i documenti conciliari -, senza trionfalismi né anatemi, costituirono una grande novità dei documenti ufficiali pontifici o curiali, un modo nuovo di presentarsi della Chiesa cattolica. Ciò andrebbe ripreso come modello di ogni pronunciamento ed espressione ecclesiale. Infine il contenuto del decreto: orientamenti fondamentali per il mondo cattolico quanto a visione e azione ecumenica. Importante è però anche la presentazione che si fa dei “fratelli separati” da Roma e delle loro posizioni dottrinali, soprattutto ecclesiologiche.

Il grave sconvolgimento

Soffermandoci qui sulle “Chiese e comunità ecclesiali separate in Occidente” (19-23), si rileva come l’UR riconosca che le separazioni in Occidente (dei secoli XII-XIII, e XVI) costituirono una «gravissima crisi» (19). Il decreto non chiarisce le cause di quel grande “sconvolgimento” ecclesiale e spirituale, ma lascia intendere quanto le separazioni furono laceranti e profondi i motivi di coloro che si allontanarono da Roma. La storiografia, come pure i diversi dialoghi bilaterali postconciliari, ha illuminato non poco questo aspetto.

Si trattava di una diffusa e forte richiesta di rinnovamento della Chiesa; si ricercava una Chiesa più spirituale e meno mondana, più vicina a quella apostolica e più profetica nel suo annuncio del Dio di misericordia, rivelato da Cristo; si voleva una cristianità più prossima al messaggio evangelico. In entrambi i periodi i due concili - che pur rimangono importanti nella storia della Chiesa cattolica, il Lateranense IV (1215) e il concilio di Trento (1545-1563) - diedero una risposta solo parziale. Rinnovarono certo l’assetto organizzativo e pastorale, offrirono anche più chiare definizioni dogmatiche, ma non permisero l’alternativa così desiderata di rinnovamento profondo della Chiesa.

Del mondo protestante e anglicano odierno, in una visione cattolico-centrica, l’UR ricorda l’esistenza di differenze «soprattutto d’interpretazione della verità rivelata». Mette in luce però i punti che devono fare da fondamento al dialogo ecumenico con il mondo dei “fratelli separati” d’Occidente. Sono gli elementi che la Chiesa cattolica riconosce - e lo fa con espressione di gioia (UR 20) - come cardini della fede del mondo protestante e anglicano, visti non solo come autentico valore, ma come sorgente del comune cammino. Sono la centralità della fede in Cristo come «fonte e centro della comunione ecclesiastica» (UR 20); la Sacra Scrittura, amata e venerata come un “culto”, perché vi «cercano Dio come parlante in Cristo» (cf 21) e la presenza della vita sacramentale, particolarmente nella celebrazione del battesimo.

Per la mancanza del sacramento dell’ordine non viene ritenuta «genuina e integra» la celebrazione del mistero eucaristico (22). Fede in Cristo, grazia del battesimo e parola di Dio sono “alimenti” fondamentali della vita cristiana di questi fratelli (23) e dunque anche pilastri su cui far poggiare un comune lavoro per l’unità. Implicitamente, oltre l’ecumenismo teologico, l’UR richiama anche le strade dell’ecumenismo spirituale e pratico, di cui si parla nel cap. II del decreto.

Momenti di alto valore

A quarant’anni dal Concilio, si avverte un momento di stanchezza del cammino ecumenico e della passione per l’unità, per svariati motivi, tra cui un affievolimento di voci profetiche nelle Chiese, scarsa ripresa di autentica vita ecclesiale, forme di proselitismo, presenza “deviante” delle sette, ma anche decisioni “avanzate” di alcune Chiese, come quella anglicana con l’ordinazione delle donne all’episcopato.

Penso tuttavia che occorra recuperare lo spirito di fondazione del Consiglio ecumenico delle Chiese, soprattutto degli anni ‘40-60, e del Vaticano Il. Sentire vivamente l’esigenza di un aggiornamento di quella Chiesa di Gesù Cristo, a cui tutti i cristiani ritengono di appartenere; l’Ecclesia semper reformanda è un’eredità comune alle Chiese nate dalla Riforma come alla Chiesa cattolica. E’ stato quello spirito che ha portato a eliminare reciproche scomuniche, a trovare una maggiore dimensione dialogica, i cui frutti sono stati i numerosi dialoghi bilaterali e multilaterali, con il chiarimento delle rispettive posizioni su punti controversi, ma anche intese e dichiarazioni congiunte (come quella “sulla giustificazione” del 1999).

I momenti di alto valore in questi ultimi 40 anni non sono stati pochi. Penso alle Assemblee ecumeniche europee (di Basilea sulla “Pace nella giustizia” e di Orari sulla “Riconciliazione”), alla Carta ecumenica per l’Europa (2001) sull’incentivazione delle relazioni reciproche e la responsabilità comune delle Chiese cristiane per la crescita della società europea. Se si fosse messa in atto tale carta, avrebbe potuto avere maggiore successo la richiesta del riconoscimento delle radici cristiane nella stesura della Costituzione europea.

Fortunatamente non mancano altri segni, tra i quali l’esperienza di fede comune che da oltre mezzo secolo propone la comunità di Taizé: essa è diventata punto di riferimento di molti cristiani, soprattutto di tanti giovani europei; il successo dell’azione di tutte le Chiese cristiane del Sud Africa contro l’apartheid; la bontà dell’iniziativa della “Pastorale della Terra” in Brasile sostenuta insieme dalle diverse Chiese cristiane negli anni ‘80-90; la ricerca di collaborazione tra Chiese protestanti tedesche, fino al varo della Concordia di Leuenberg (1973) e, sempre in Germania, l’aiuto reciproco tra docenti di religione di diversa confessione cristiana.

E occorre ancora ricordare l’esperienza positiva di molti matrimoni interconfessionali, verso i quali la Chiesa cattolica ha fatto passi veramente grandi. Essi vengono visti come fucine di costruzione dell’unità, perché ove regna l’amore ivi regna Dio, e il Dio della fede. E’ tempo forse di superare ogni forma di paura e vivere in profondità “esperienze ecumeniche” «in un costante rapporto di “mutua receptio”, di affidamento reciproco», dichiara L. Sartori. Penso anch’io che oltre l’azione dello Spirito, mattoni solidi di costruzione dell’unità siano le esperienze comuni di cristiani e di Chiese diverse nella valorizzazione delle proprie identità.

 

* docente alle Università di Trieste e Cà Foscari di Venezia

(da Vita Pastorale, dicembre 2005)

Bibliografia

Girault R. Vernette J., Credere in dialogo. Il cristiano di fronte alle religioni, le chiese, le sette. EDB 1987, Bologna; Cullmann O., L’unità attraverso la diversità. Il suo fondamento e il problema della sua realizzazione, Queriniana 1987, Brescia; Sartori L., L’unità della chiesa - Un dibattito e un progetto, Queriniana 1989, Brescia; Bouchard G., Chiese e movimenti evangelici del nostro tempo, Claudiana 1992, Torino; Neuner P. Kleinschwärzer-Meister B., Breve manuale dell’Ecumene, Queriniana 2001, Brescia.

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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