Sfortunatamente la maggioranza dei musulmani - mi costa doverlo ammettere - è illetterata e povera. Sono preoccupati della propria sopravvivenza, più che di un documento di questa natura.
Come è stato accolto in Bangladesh? Perché se n’è parlato così poco?
Il documento non è stato pubblicizzato dai mezzi di comunicazione di massa per mancanza di interesse su questi temi. Per di più questo documento qui forse non appare così originale o così nuovo.
La lettera è arrivata a un anno dalla risposta di 38 leader islamici al discorso di Ratisbona. Alla luce di tutto quello che è successo dopo, che bilancio trarre di tutta la vicenda?
Al discorso del Papa sono seguite almeno tre tipi di reazione. C’è chi ha reagito pensando che il Papa avesse voluto deliberatamente offendere i musulmani; c’e stato qualcuno che ha ammesso che quanto il Papa aveva detto era innegabile e che dunque occorreva fare autocritica, e c’è stato infine qualcun altro che ha pensato che il Papa avesse commesso un errore, ma avendo avuto anche l’umiltà di chiedere scusa, non era il caso di alimentare la polemica. Personalmente sono convinto che - per comunicare ciò che gli stava a cuore - Benedetto XVI poteva evitare di fare quel riferimento storico. Va inoltre ricordato che Giovanni Paolo II si era prodigato tantissimo per la promozione della concordia tra i cristiani e i musulmani. C’era dunque, comprensibilmente, molta aspettativa nei confronti del suo successore, ed è forse per questo che il discorso di Benedetto XVI è stato uno shock. Comunque ora la posizione del Papa rispetto al dialogo è assolutamente chiara. E la visita recente del re dell’Arabia Saudita in Vaticano costituisce un evento storico eccezionale e altamente simbolico.
Questo testo, accanto all’amore di Dio, pone come altro pilastro irrinunciabile l’amore per il prossimo: come riaffermare nel mondo islamico di oggi questo secondo aspetto?
Il «prossimo», secondo la tradizione islamica, è la persona della porta accanto, a qualunque comunità appartenga. Su questo punto la religione islamica è lapidaria. Recita: «Se il tuo vicino ha fame e tu spendi l’intera notte in preghiera senza aiutarlo, la tua preghiera non è ascoltata da Allah». Purtroppo noi musulmani non mettiamo in pratica questo precetto, ma l’insegnamento del Profeta su questo punto è chiarissimo. L’amore per il prossimo è comunque un elemento comune a tutte le maggiori tradizioni religiose, anche al di là di quelle monoteistiche. Islam significa abbandono in Dio e pace, e chiunque si abbandoni alla volontà di Dio sperimenta tale pace. Ne consegue che chiunque crede nel concetto di unità di Dio può essere considerato un musulmano. Il concetto di unità di Dio inoltre è ritrovabile nelle maggiori tradizioni religiose, anche se molti musulmani non sono d’accordo con questa mia affermazione. I Veda, le scritture induiste, ad esempio recitano che «Egli è uno e non più di uno», e così fanno i testi sacri di altre tradizioni. Il concetto dell’unità di Dio non è monopolio di alcuna religione.
La lettera dei 138 afferma la libertà religiosa ma non affronta il caso dell’apostasia: la libertà religiosa comprende anche il diritto di rinunciare alla fede islamica o di abbracciarne un’altra?
Il Profeta non ha mai punito nessuno per aver abbandonato la fede islamica, anche se ha rimproverato i simulatori. Punire le persone perché queste abbracciano un’altra fede non è islamico, è contro l’islam.
Questo testo indica una serie di grandi principi condivisi: quali ulteriori passi ritiene necessari oggi per dare concretezza a queste affermazioni?
Sono profondamente convinto che un modo per cambiare le cose sia l’educazione. In Bangladesh, l’educazione offerta da alcuni tipi di scuole coraniche è un’autentica maledizione per il Paese. Queste scuole sfornano ogni anno migliaia di disoccupati, ignoranti e pericolosi che, oltre ad essere facilmente preda di gruppi terroristici, con le loro interpretazioni unilaterali del Corano sviano la gente comune. In questi luoghi deve essere introdotto l’insegnamento obbligatorio delle altre materie scolastiche, oltre che delle altre religioni. Occorre prevedere nel curriculum della scuola primaria, secondaria e universitario, l’insegnamento degli elementi essenziali di ciascuna delle religioni maggiori. I testi utilizzati dovrebbero inoltre essere preparati da comitati misti di esponenti di quelle tradizioni.
Ci si sta muovendo in questa direzione?
Tra ciò che già si fa, segnalerei l’iniziativa della Caritas, in collaborazione con il Ministero dell’Educazione, che organizza dei workshop di una settimana per maestri che prevedono l’insegnamento degli elementi essenziali di ogni religione. Oltre poi ai corsi che il Dipartimento delle religioni mondiali dell’università di Dhaka offre, abbiamo proposto un progetto per un centro di dialogo interreligioso e interculturale che, oltre a prevedere una biblioteca e un museo delle religioni, offrirà un corso di un anno aperto a tutti sulle varie religioni. Sono esempi di come si può educare i giovani a una fede illuminata e dialogante e, a partire da loro, costruire una società diversa.
* Missionario del Pime a Dhaka (Bangladesh)
(da Mondo e Missione, g ennaio 2008)