Ecumene

Domenica, 21 Dicembre 2008 22:58

Il dialogo interreligioso, cammino per la pace (Benjamín Forcano)

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Nella misura in cui le religioni riusciranno ad unire le loro lotte per le grandi cause dell’umanità (uguaglianza, giustizia, fraternità, liberazione dei poveri) si riconcilieranno tra loro, renderanno più prossima la loro fede e la loro comunione con Dio e conquisteranno il grande bene della pace.

Non ci sarà pace tra le Nazioni se non c’è pace tra le religioni

(...) Inizierei dall’affermazione che la pace è il bene più prezioso dell’umanità ma è anche quello che risulta più difficile conseguire. Appare significativo il fatto che tale bene, cercato da sempre, abbia incontrato impedimenti speciali nelle religioni. E, tra queste religioni, devo indicare il giudaismo, il cristianesimo e l’islam.

1. Il Dio unico, principio di tutte le religioni, non può essere causa di divisione

È vero che oggi, da parte di queste religioni, si sentono dichiarazioni e proclamazioni a favore della pace come mai prima d’ora (Cfr F. Torradeflot, Diálogo entre religiones. Textos fundamentales, Trotta, 2002). Tuttavia, vi sono settori dell’u-manità che, a causa della sofferenza, dell’umiliazione e dei danni subiti, si sentono spinti a mettere da parte il ricorso al Dio tanto intensamente invocato dalle religioni e a ricercare per altri cammini il bene della pace. Malgrado ciò, non è possibile che Dio, centro di tutte le religioni, e la cui essenza è data dall’amore e dalla pace, sia stato usato per dividere gli esseri umani e i popoli e continui ad essere utilizzato per giustificare invasioni e dominazioni tra le più crudeli dei nostri tempi.

2. Abbiamo lasciato contaminare le nostre religioni da falsi dei

Mi spingo ad affermare che devono essere ben poveri e sbagliati i nostri pensieri su Dio se a risultati tanto spaventosi ci hanno condotto. Non può trattarsi del Dio vero, bensì di idoli a causa dei quali ci siamo divorati l’un l’altro. È chiaro che le religioni hanno contribuito a portare enormi beni all’umanità. Ma è ora di riconoscere i loro errori che, sostanzialmente, si riconducono ad uno solo: pensare che solo la religione che professo io è quella vera e che le altre sono false e, in quanto tali, meritano il disprezzo e lo sterminio. (...).

L’importanza della religione nel nostro tempo

È evidente che nel mondo religioso si sta registrando un cambiamento importante. Ma non tanto da parlare, come fanno alcuni non so con quanta esattezza, di un’ondata di paganesimo, nel senso di un’assenza progressiva di Dio nella società umana. I dati sono, malgrado tutto, eloquenti: la grande maggioranza della popolazione attuale, fissata in oltre 6 miliardi di abitanti, professa una religione (un 85%). Se la terza parte della popolazione mondiale è cristiana e la quinta parte è musulmana, le religioni continuano a proliferare: attualmente ve ne sono 10.000 diverse.

Viviamo in un tempo di ammirevoli progressi, di avvicinamento e scambio tra i popoli, di incontro tra Oriente e Occidente, un tempo in cui i popoli sembrano iniziare a prendersi sul serio. Tutto questo conduce ad una comprensione maggiore gli uni degli altri. Ma è vero anche che “il modo più sicuro di arrivare al cuore della gente è attraverso la sua religione, sempre che questa non si sia fossilizzata” (H. Smith).

Sarebbe pertanto un errore sottovalutare o dimenticare il fatto che le religioni sono eredi di grandi tradizioni di saggezza e aiutano a toccare questa essenziale somiglianza umana che tutti condividiamo. “E quando la religione acquista vita, rivela una qualità sorprendente: si impossessa di tutto” (H. Smith).

Come affrontare la questione

Alcune osservazioni preliminari

La pace nel mondo sembra essere legata alla pace tra le religioni. La soluzione esige da noi chiarezza, umiltà e coraggio. Fondamentalmente, si tratta di idee e di definizioni che hanno sostenuto posizioni di esclusione e di scontro. La questione è scoprire la radice del modo in cui abbiamo concepito la relazione delle religioni tra loro: questa relazione deve essere rivista.

Il problema sorge quando, in mezzo a questa pluralità di religioni, qualcuna di esse si erge ad unica vera e dichiara che le altre o sono false o hanno una parte di verità, ma derivata dall’unica vera religione. Vi sarebbe una confessione dell’inferiorità delle altre religioni e una loro subordinazione all’unica vera. Tale visione contiene il seme dell’esclusivi-smo e del distanziamento e suscita facilmente reazioni di rifiuto, di ostilità e di guerra. Se continuiamo a mantenere tale posizione, la guerra, in un modo o nell’altro, sarà sempre in agguato.

1. Condizioni di base per una nuova visione del tema

Per accedere a questa revisione, sono necessarie da parte di tutti alcune condizioni di base. La prima è che Dio – in qualunque modo lo si chiami – è uno solo ed è lo stesso per tutti. La seconda è che questo Dio vuole la salvezza di tutti. La terza, che questa salvezza, non ricevendola direttamente da Lui, ci giunge indirettamente attraverso cammini e mezzi diversi. Ognuno, quando nasce, è inquadrato in una storia, in una cultura, in un popolo e in una religione. E assume la religione per tramite del suo popolo. Ed essendo molti e diversi i popoli, sono molte e diverse anche le religioni. La quarta, che Dio offre in tutte le religioni i mezzi necessari per ottenere la salvezza. La quinta, che tutte le religioni sono, pertanto, valide, per quanto non siano ugualmente valide. Se lo fossero, non esisterebbe il problema né dovremmo porcelo.

2. Fedeltà di ogni religione alla sua identità, senza relativismi

Tutte le religioni valgono, ma non tutte valgono lo stesso; tutte le religioni sono vere, ma non tutte sono ugualmente vere. Certamente, il nodo della questione è qui. Una buona visione richiede la salvaguardia dell’identità e della diversità. Si tratta di avanzare sempre più tutti uniti verso il Dio Unico, assicurando come bene primo irrinunciabile il bene della pace.

Identità comune: la dignità umana

L’essere umano è stato creato per essere se stesso, sviluppare le proprie potenzialità e raggiungere la sua pienezza. Le religioni coincidono sul fatto che l’essere umano non può ottenere questa pienezza da sé, bensì a partire dal suo legame con Dio. I non credenti sostengono di poter raggiungere tale pienezza da soli. Da sé o attraverso un legame con Dio, è certo che il soggetto di questa pienezza è l’essere umano stesso, con la sua propria natura, che gli conferisce dignità, proprietà e diritti, che sono universali. (...). Questa dignità umana universale è la categoria maggiore e più importante, che non si sfuma né si riduce per il fatto che ad uno sia toccato nascere in un luogo anziché in un altro, sotto uno o l’altro credo religioso o sotto nessuno. (...).

Ogni razza, ogni cultura, ogni popolo eredita e possiede un patrimonio, un territorio, una lingua e uno Stato propri, ma, insieme a questo patrimonio particolare e particolarizzato, tutti i popoli hanno un patrimonio, una lingua, un territorio e uno Stato comuni, che sono quelli propri della specie umana. Per le vene di qualunque persona, della sua terra, della sua lingua e della sua cultura corre il sangue della categoria universale della dignità umana.

E, per essa, ci riconosciamo uguali, cittadini del mondo, senza che alcuna circostanza particolare possa ridurre, minimizzare o annullare questa condizione umana universale.

Fede comune (di credenti e non credenti) nella dignità umana

Il contenuto di ciò che rappresenta la dignità umana è più o meno presente nella teoria e nella prassi di tutte le religioni. Così, possiamo leggere: “Non infliggere agli altri quello che non ci piacerebbe infliggessero a noi” (Giainismo); “Non ferire gli altri con ciò che fa soffrire te” (Buddhismo); “Quello che non vuoi ti venga fatto, tu non farlo agli altri” (Confucianesimo); “Non fare agli altri ciò che, se fosse fatto a te, ti causerebbe pena” (Induismo); “La buona natura chiede di evitare di fare all’altro ciò che non sarebbe buono per se stessa” (Zoroastrismo); “Quello che per te è detestabile, non farlo al tuo prossimo” (Giudaismo); “Fate agli altri ciò che voi volete facciano a voi” (Cristianesimo); “Non fate agli altri ciò che non desiderate per voi stessi” (Bahái); “Quello che vi irrita della condotta degli altri rispetto a voi, non fatelo a loro” (Isocrate); “Nessuno è un credente finché non desidera per suo fratello ciò che desidera per se stesso” (Islam).

Questi sono principi che, in un modo o nell’altro, esprimono la cosiddetta “regola d’oro”, regola universale che nasce dalla natura stessa e si trova nelle religioni e nelle filosofie. Nel cristianesimo, questa regola d’oro assume accenti radicali:

- Puoi essere chiunque, vantare mille titoli o opere, ma, se non pratichi la giustizia e l’amore, non conosci Dio.

- A nulla servono le festività, i canti, il culto, le preghiere, l’incenso, se non vengono praticati in condizioni di giustizia.

- Conoscere Dio e stare bene con Lui è possibile solo a chi ama ed è misericordioso, per quanto ignori la legge, sia straniero o sia considerato eretico. La via di accesso a Dio è la giustizia e l’amore: “Chi non ama il fratello che vede non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4,20).

Il cristianesimo e le altre religioni

“La storia delle religioni – scrive X. Zubiri, è la storia degli uomini con Dio”. In questo senso, la storia del cristianesimo non è solo il modo in cui il cristianesimo, ad intra, si è relazionato con Dio, ma come ha proiettato questa sua relazione sugli altri popoli e sulle altre culture.

Questa storia appartiene al passato ed è giunta fino ai nostri giorni. Un passato in cui il cristianesimo, radicato ed elaborato fondamentalmente nell’Occidente cristiano, ha inteso la sua relazione con Dio in termini di universalità salvifica, depositata esclusivamente in esso come verità unica e totale, introdotta con la persuasione o con la forza in altri popoli ritenuti corrotti in quanto dominati dall’errore e bisognosi di conversione per salvarsi.

Questo progetto evangelizzatore, unito all’espansione imperialista, ha operato come ideologia di legittimazione di conquiste e colonizzazioni. Un progetto chiamato “regime di cristianità” che è proseguito praticamente fino al Concilio Vaticano II.

Il Concilio ha significato una rottura di questo progetto e una ridefinizione della teologia che lo sosteneva. Ha cambiato profondamente, cioè, il modo di intendere il cristianesimo nella sua relazione con le altre religioni.

L’attuale situazione: la modernità e i suoi nuovi valori

La modernità ha rappresentato un cambiamento irreversibile, buono e legittimo per molte cose; discutibile e sbagliato per altre. Ma sta qui la conquista della democrazia con le sue conseguenze in termini di laicità, uguaglianza, libertà e pluralismo. E, in mezzo a questo, come un ciclone, l’e-mancipazione dell’essere umano, con la conseguente affermazione della sua dignità e dei suoi diritti. La modernità è avanzata in un certo senso contro la Chiesa cattolica, che ha cercato di opporle resistenza e di condannarla, essendo essa la minaccia più forte al suo imperialismo religioso esercitato sulle coscienze, sulla società e sul mondo.

Il grido della modernità è, in questo senso, un grido profetico che si alza, più che contro Dio, contro una sua immagine invadente, responsabile in gran parte della genesi del-l’ateismo, fino al punto di farlo diventare una condizione quasi normale dell’essere umano di oggi. Non sempre le Chiese hanno presentato Dio, bensì immagini grottesche di lui, giunte all’estremo di umiliare e manipolare l’essere umano.

Ed è forse per questo che l’uomo di oggi rivendica con forza la libertà religiosa, la libertà di essere credenti o atei, cioè di abitare la propria vita, per poterla vivere e basta, a partire da essa. Cosa per cui ci troveremmo di fronte a questo paradosso, espresso da X. Zubiri: “Quando la vita si fonda più su se stessa, è allora che fondamentalmente è più in Dio e con Dio”.

La fede comune nell’essere umano

Nella cultura occidentale è evidente il fenomeno del-l’ateismo, che fa sì che l’uomo voglia vivere per se stesso, essere se stesso, contando evidentemente sul fatto ovvio che è egli stesso il proprio sostegno.

L’ateismo è una fede, una fede nell’essere umano che può essere condivisa dalle religioni. Guardiamoci in faccia, sottolineando in primo luogo non quello che ci differenzia e ci contrappone ma quello che ci unisce e ci accomuna. È questa convergenza che ci pone sulla strada giusta, dandoci la possibilità di camminare insieme, senza dogmatismi e-scludenti, con la convinzione che la salvezza dell’umanità inizia salvando la dignità dell’essere umano.

Senza alcun dubbio, le religioni considereranno l’area della salvezza intramondana insufficiente e cercheranno di offrire, ciascuna nella propria prospettiva, una salvezza radicale e più completa. È un loro diritto. Ma a condizione che nessuna pretenda di imporsi con la forza né mostri atteggiamenti di arroganza ed esclusione, bensì, cercando di ascoltare ed apprendere dalle altre, offra la propria luce, come un diverso raggio in questo arcobaleno del pluralismo religioso, e così rafforzare i punti di comunione tra tutte senza nascondere la propria identità. (...).

Siamo arrivati, in conseguenza di tutto ciò, a un fatto insolito: quello di uscire dall’isolamento, fisico e culturale, per mescolarci di fatto nella ricerca, nel dialogo e nella lotta per le grandi cause dell’umanità. Vedremo così come le distanze, i muri, i pregiudizi, i timori sono stati creati dagli uomini e non da Dio né dallo spirito primigenio delle religioni. Dietro le guerre storiche tra le religioni scopriamo sempre interessi e ragioni che distano molto dagli interessi e dalle ragioni di Dio. Di conseguenza, il nostro tempo storico segna un nuovo clima per ridefinire le relazioni tra le religioni. Questo clima è il dialogo.

L’evoluzione all’interno della Chiesa cattolica

Dopo tutto ciò che è detto prima, la mia convinzione è che, teologicamente parlando, il problema è aperto. E se è vero che il Vaticano II ha rappresentato un cambiamento importante, non gli ha dato però una soluzione esplicita, sicuramente perché la cosa non era ancora chiara nella mentalità conciliare.

Senza dubbio, il Vaticano II segna una linea divisoria con la tradizione anteriore, ma lascia nell’ambiguità la questione se le religioni siano salvifiche o meno.

(...) Logicamente, il dibattito teologico non poteva rimanere chiuso nelle prospettive del Concilio.

Esiste un certo consenso nell’adottare, come chiave risolutiva, il nuovo paradigma teocentrico, che consisterebbe nell’affermare che l’automanifestazione di Dio ha adottato forme diverse nelle diverse tradizioni religiose, senza privilegiare in alcun modo la manifestazione di Dio in Gesù Cristo come ultima e normativa. Tutt’al più, e questa è un’altra opinione, si dovrebbe privilegiare Gesù Cristo semplicemente come il simbolo perfetto o il modello ideale nelle re-lazioni tra Dio e l’uomo per la salvezza. (...).

L’essere umano, cammino per un’autentica relazione tra le religioni

Possiamo continuare a riaffermare che la missione salvifica di Dio ha in Gesù Cristo la sua mediazione piena e definitiva, e che questa passa per la Chiesa cattolica, l’unica depositaria della pienezza della verità e dei mezzi per assicurare la salvezza. E possiamo continuare a concludere, di conseguenza, che le altre religioni sono solo espressioni di una religiosità naturale, di una religiosità fragile, oscura e deficitaria, che quanto in esse c’è di buono e santo proviene dall’unica missione salvifica di Cristo e che, pertanto, esse hanno bisogno di purificarsi, convertirsi e abbracciare Gesù Cristo e la sua Chiesa.

Possiamo continuare, ma già abbiamo visto che con questo paradigma l’ecumenismo non avanza, il dialogo interreligioso nasce già morto e che, di fronte ai problemi veramente importanti dell’umanità che necessitano del concorso di tutti, perdiamo unità ed efficacia. Può essere questo il cammino?

1. Dio è il salvatore di tutti e sta con tutti

La mia impressione è che (...) abbiamo contrapposto l’u-mano al divino, il naturale al soprannaturale, finendo per contrapporre il Dio Creatore al Dio Salvatore e la storia profana alla storia della salvezza. Non so perché il Dio unico creatore non debba essere l’unico Dio salvatore, presente con il suo amore dal principio in ogni opera creata. Perché si dovrebbe negare come divina la multiforme e plurisecolare ricerca umana, per il fatto che Egli abbia deciso di arricchirla con l’autodonazione gratuita di Gesù Cristo nella storia?

2. Convergenza e unità con i non credenti

Lo stesso Concilio non esita ad affermare che Dio è presente in quanti seguono la voce della propria coscienza, anche se lo negano o non lo confessano esplicitamente (GS, n. 16). Secondo il Concilio, tutti siamo uniti dalla legge divina dell’amore per il prossimo; la fede in Dio non si oppone alla dignità umana; tutti siamo chiamati a collaborare all’e-dificazione di questo mondo, la casa comune; e nessun potere che rispetti i diritti umani può operare una discriminazione tra credenti e non credenti (GS, 21). (...).

D’altra parte, oggi non possiamo più dubitare del fatto che la libertà religiosa è un diritto e che atei e credenti hanno diritto ad esserlo. Il male è quando si continua a credere che l’ateismo sia una mostruosità e la fede un’alienazione. Le disgrazie che abbiamo sofferto su questo terreno non sono state causate dal fatto che gli uni fossero credenti e gli altri atei, ma dal fatto che idee e poteri dominanti si fossero impegnati ad ottenere che le persone fossero a forza credenti o atei. Io sono convinto che tanto un buon credente quanto un buon ateo possano essere buoni cittadini. Ma sono altrettanto convinto che un cattivo credente (un credente dogmatico) o un cattivo ateo (un ateo fanatico) siano un pericolo per la società e per la convivenza. Cosa che mi porta a presumere che, nella storia, le purghe e le persecuzioni sofferte siano state dovute piuttosto a cattivi credenti o a cattivi atei.

3. L’essere umano come punto di partenza e di confluenza

(...) A Dio, in sé, poco serve che lo affermiamo o lo neghiamo, che presentiamo prove a favore o contro se lì dove si trova di fatto lo disconosciamo o lo maltrattiamo: “Quando, Signore, ti abbiamo visto forestiero, assetato, affamato, nudo, incarcerato?”. “Quando lo avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli”. Quanto più l’uomo è uomo, tanto meno spazio resta per Dio, per un Dio utilizzato come sostituto, e tanto più emerge la realtà autentica di Dio.

4. Credenti e atei allo stesso tempo

Mi risulta sorprendente e altamente lucida la lettera che mons. Pedro Casaldáliga scrisse nel 1996 a Fidel Castro: “A questo punto della tua vita e della mia, e della marcia dei nostri popoli e delle Chiese impegnate con il Vangelo fatto vita e storia, tu e io possiamo molto bene essere allo stesso tempo credenti e atei. Atei del dio del colonialismo e del-l’imperialismo, del capitale egolatra e dell’esclusione, della fame e della morte delle maggioranze, con un mondo mortalmente diviso in due. E credenti, d’altra parte, del Dio della Vita e della Fraternità universale, in un mondo che è unico, nella Dignità rispettata ugualmente da tutte le persone e da tutti i popoli”.

Questa è la prospettiva. Qui la fede diventa da una parte denuncia di dei-idoli, che hanno alimentato ogni sorta di umiliazione e di sfruttamento umani e, dall’altra, un canto agli dei che hanno ispirato innumerevoli gesta di lotta per la giustizia e la fraternità. Casaldáliga mette il dito nella piaga.

5. Sulla convergenza tra credenti ed atei non si può fare marcia indietro

(...) Siamo in questo cammino. Questo cammino è cresciuto nelle coscienze, si è diffuso ed è esploso nel Concilio Vaticano II. (...) Si è aperta allora una nuova epoca. E nessuno potrà più dire: “Fuori della Chiesa non c’è salvezza” o “Tra cristianesimo e socialismo c’è contraddizione” o ancora “Il cristianesimo è controrivoluzionario”. (...).

La fede nell’uomo e nell’unico Dio vanno unite

Le vittime come criterio

All’interno delle religioni, vi saranno cose che differenziano le une dalle altre e che rimandano ad un’immagine diversa di Dio. Naturalmente, tutte le religioni portano a Dio, all’Unico, ma le rotte di accesso sono diverse. Diversa è la rotta del politeismo, diversa la rotta del panteismo, diversa quella del monoteismo.

Ma credo che queste differenze possano essere valorizzate e situate nel quadro delle vittime. Questo criterio mi sembra essenziale al momento di indicare chi è credente, chi segue Gesù, chi è cristiano e chi appartiene veramente alla Chiesa. Uno potrà presumere di appartenere a questa o quella religione, alla Chiesa cattolica, per esempio, di essere battezzato, di rispettare leggi e riti, di non uscire dall’orto-dossia, ma se non sta dalla parte del povero sarà un cristiano apparente, nominale.

La tradizione cristiana ha sempre detto che l’essere umano è gloria Dei vivens, una gloria sfigurata e maltrattata soprattutto nel povero. E secondo questa stessa tradizione: la Chiesa è dove è Cristo, ma Cristo è nel povero. “Quanto a-vete fatto ad ognuno dei miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me”.

L’amore, legge fondamentale del cristianesimo

Se tutte le religioni coincidono nel professare quella che è l’etica fondamentale di ogni essere umano: “fa’ il bene, evita il male”, “non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te”, “una vita umana vale più di tutto l’oro del mondo”, ecc., il cristianesimo (...) assume questo pienamente.

Questo atteggiamento di rispetto e di cura nel cristianesimo acquista livelli sconosciuti proprio perché Dio, il Dio di Gesù, è amore, un amore che cerca il bene dell’altro, spendendosi per lui, per la sua realizzazione; che perdona sempre; che si dispiega sul piano dell’uguaglianza; che prolunga verso l’umanità l’amore stesso di Dio: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato”.

Questo amore è incompatibile con l’ingiustizia, con il falso culto, con lo sfruttamento e il disprezzo dell’uomo, con ogni forma di discriminazione, con sentimenti di superbia, avidità e crudeltà.

(...) In ogni modo, a partire da questi criteri fondamentali, tutte le religioni devono incontrarsi e dialogare su questa base:

1. Devono esercitare l’autocritica. 2. Non possono permettere nulla di quanto danneggi o distrugga l’essere umano. 3. Devono tornare alle loro fonti, per recuperare la loro essenza originaria e normativa. 4. L’esistenza in esse di criteri propri nella ricerca della verità non nega i loro limiti. 5. Riguardo ai diritti umani, tante volte negati dalle religioni, esse devono esercitare una funzione di preservazione, garanzia e credibilità. 6. Il criterio minimo per tutte sembra essere quello dell’affermazione della dignità umana con i conseguenti valori e diritti. È bene per l’uomo quello che lo aiuta ad essere veramente uomo. 7. La verifica per questa vita autenticamente umana è nella maltrattata realtà dei poveri. Questi impediscono alle religioni di essere neutrali di fronte all’ingiustizia e alla menzogna o di organizzare la loro vita e le loro attività a partire da una preoccupazione che non sia quella della liberazione dei poveri.

La salvaguardia dell’umano costituisce un’esigenza minima per ogni religione, ma questa salvaguardia è autentica a partire dalla salvaguardia della dignità e dei diritti dei poveri.

Nella misura in cui le religioni riusciranno ad unire le loro lotte per le grandi cause dell’umanità (uguaglianza, giustizia, fraternità, liberazione dei poveri) si riconcilieranno tra loro, renderanno più prossima la loro fede e la loro comunione con Dio e conquisteranno il grande bene della pace.

Benjamín Forcano

(da Adista, 10 novembre 2008)

 

Letto 6675 volte Ultima modifica il Venerdì, 24 Gennaio 2014 22:07
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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