Ecumenismo protestante
Capitolo secondo
Ugo Janni:
l'attualità del suo pensiero ecumenico
di Renzo Bertalot
Ugo Janni (1865-1938), pastore valdese, è una delle figure più significative della cultura evangelica italiana, i cui meriti furono ampiamente riconosciuti anche all'estero con il conferimento di un dottorato honoris causa.
Il suo pellegrinaggio confessionale va dalla Chiesa romana alla Chiesa valdese attraverso il Vecchio Cattolicesimo nel quale fu consacrato sacerdote.
L'ambiente in cui matura e s'esprime, con maggior ricchezza d'argomenti, il pensiero di Janni è quello tra i due ultimi conflitti mondiali. Siamo sotto il pontificato di Pio XI e nel pieno rigoglio delle prime conferenze ecumeniche, le quali, nelle assemblee di Stoccolma (1925), Losanna (1927), Oxford (1937) e Edimburgo (1937), rendono vivo ed irrevocabile il senso della ricerca dell'unità della Chiesa.
Secondo il giudizio di Giovanni Miegge, l'ecumenismo in Italia non è un prodotto d'importazione, ma un problema maturato sul nostro suolo mediante l'opera di pionieri tra cui Giovanni Luzzi e Ugo Janni.
L'interesse ecumenico si concentra intorno alla rivista “Fede e Vita”, sorta come organo della Federazione Studenti per la Cultura Religiosa e diretta, in un secondo tempo, dallo stesso Janni fino al 1937. Sempre secondo Giovanni Miegge, questo lavoro d'avanguardia viene notato all'estero come “una posizione eminente delle nuove tendenze che si affacciano bruscamente alla coscienza del gran pubblico intorno all'anno 1920”. (1)
Non meno significativa è l'opera di Janni all'interno del protestantesimo italiano. Giovanni Miegge la ricorderà, un anno dopo la sua morte, con queste parole: “Janni è sempre stato l'assertore tenace della Chiesa nel piccolo mondo evangelico, individualistico e tendenzialmente antiecclesiastico, della sua generazione. Le cose sono oggi cambiate: ma è a lui che lo si deve in buona parte». (3) l'enciclica Mortalium animos invitando “i figli dissidenti” a ritornare e a sottomettersi alla Sede Apostolica. Il lavoro ecumenico diventa più difficile. Sono anche gli anni in cui l'Italia è costretta, dalla situazione politica, a disabituarsi al dialogo e al confronto.
Un discorso come quello di Janni riesce difficile anche all'interno dell'evangelismo italiano che stenta ad afferrarne la validità. Ernesto Buonaiuti, che aveva condiviso con Janni l'impostazione missionaria del lavoro evangelico, ricorda che, allora, la propaganda protestante aveva, a volte, un grossolano carattere anticlericale. (4)
In questo ambiente difficile, all'interno e all'esterno, si svolgeva l'opera ecumenica di Janni nella piena convinzione che la Chiesa di Roma non avrebbe potuto persistere nella sua chiusura e prescindere dal “pancristianesimo”. (5) In altre parole, essa non avrebbe potuto rinunciare alla sua vocazione di essere non solo il centro del mondo cristiano, ma anche il centro cristiano del mondo, (6) in vista del pieno esercizio della sua funzione storica ed universale. (7)
Teologicamente il pensiero di Janni s'inquadra al tramonto del liberalismo protestante nel momento del sorgere delle nuove energie sprigionatesi dal rinnovamento biblico.
Egli riconosce con insistenza gli errori del liberalismo protestante e ne condanna in modo particolare il razionalismo. Sente il bisogno di contrapporre all'influenza liberale quella di altre correnti di pensiero, che non condivide appieno, ma che gli servono da correttivo. Cita volentieri Karl Barth, Oscar Cullmann, si richiama alla “Formgeschichte”, ne apprezza il contributo chiarificatore, ma non si riconosce e non si ritrova nelle motivazioni teologiche più profonde di cui sono espressione. Sostanzialmente ha l'impressione che l'eccessiva enfasi messa sul trascendente vada a scapito totale dell'immanente. (8)
Certo Janni non conosceva - e non poteva conoscerlo - il pensiero di Karl Barth così com'è venuto maturandosi attraverso le pagine della sua monumentale dogmatica! D'altra parte dimostra di aver seguito da vicino le sofferenze spirituali di molti modernisti cattolici e di averne apprezzata molta parte dell'esperienza culturale. Parla spesso di Loisy, di Tyrrel e di Buonaiuti, ma non s'identifica con loro, anzi teme, in alcuni casi, che siano ormai fuori del cristianesimo. (9) Ritrova in essi errori classici del liberalismo protestante con tendenze adozionistiche in cristologia. (10)
Intuita la crisi della teologia del secolo scorso e dei suoi addentellati modernisti, Ugo Janni non aveva però colto tutta la potenzialità del fermento innovatore della nuova teologia che da quella crisi stava sorgendo. Segno caratteristico di questo stato di cose è l'uso del termine “coscienza”, così poco biblico, così fortemente liberale e così caro alla filosofia dell'immanenza. Ma che non appartenesse più a quella generazione ci è rivelato da un altro esempio significativo: il suo modo originale d'intendere il rapporto dogma-teologia.
Il dogma e la teologia
Si sa che il liberalismo protestante al seguito di Harnack aveva screditato la teologia rispetto al dogma nel tentativo di liberare dalle sovrastrutture della tradizione e dalle sedimentazioni storiche il nucleo centrale della fede cristiana.
Una conseguenza diretta di questa preoccupazione era la ricerca del Cristo storico in contrapposizione al Cristo tramandatoci dalla fede, e la predilezione del primo rispetto al secondo, considerato ormai privo di valore scientifico.
Si sa che da parte cattolica, prima e al di sopra delle varie riflessioni moderniste, si era formata la posizione del Newmann con la teoria del germe e del suo sviluppo. La tradizione ecclesiastica veniva così considerata come lo sviluppo legittimo del dogma e di conseguenza al riparo da ogni tentativo di sfrondatura relativizzante.
Ugo Janni cerca di riprendere le linee di questo problema, ormai classico nelle discussioni tra cattolici e protestanti, e di orientarlo verso nuove prospettive teologiche.
Intanto è chiaro, per Janni, che l'oggetto della fede non è una dottrina, ma il Cristo stesso. (11) I dogmi sono l'esperienza del divino, ma sono sempre riformabili, (12) cioè oggetto di approfondimento (13) e di reinterpretazione. (14) La formula dogmatica è una testimonianza. (15)
La teologia ha, invece, il carattere evolutivo della cultura e svolge un duplice ministero: sostanziale e formale. (16) Sostanzialmente la teologia si prefigge il compito della conservazione del “tipo”, cioè della sostanza del dogma, e formalmente essa si propone di dare alle formule dogmatiche la pieghevolezza necessaria al contatto con il divenire. (17) Dogma e teologia non devono perciò essere confusi. (18)
Gran parte del malessere della divisione del cristianesimo è stata ed è determinata dalla mancanza di chiarezza nella precisazione di questo rapporto. Lavorare per l'unità della Chiesa significa quindi impegnarsi seriamente nel distinguere il dogma dalla teologia e nel ricondurre il confronto ed il dialogo alle loro giuste proporzioni teologiche.
Di fronte ai liberali, Janni rivendicava l'importanza delle evoluzioni culturali e teologiche del dogma affermando il diritto di ogni generazione ad attualizzare la fede cristiana secondo il proprio momento storico.
Il dogma deve svilupparsi non in sé ma in noi. (19) Siamo così lontani dal liberalismo, preoccupato di mettere in evidenza l'essenza storica iniziale, e dal suo discredito della tradizione. Siamo inoltre lontani dal modernismo, per il valore canonico del dogma apostolico che non può essere messo sullo stesso piano dell'esperienza subapostolica ed attuale. Non v'è nulla delle relativizzazioni e demitizzazioni modernistiche. Siamo, infine, lontani dal Newmann e dalla sua teoria del germe e del suo sviluppo. Per Janni la teologia non prolunga, non continua il momento iniziale del dogma, ma si pone su un piano diverso che non ammette confusioni con esso. Rimanendo sul piano del Newmann è inevitabile - secondo Janni - la necessità di garantire lo sviluppo del germe mediante l'infallibilità della Chiesa, (20) mentre, distinguendo chiaramente i due piani, la garanzia rimane sempre nel riferimento al momento iniziale.
Queste indicazioni caratterizzano il momento teologico in cui si compie l'opera di Ugo Janni. Egli sa quanto si sia scritto e lottato a proposito del tema del rapporto tra dogma e teologia che nasconde dietro la sua impalcatura quello più profondo del rapporto tra Scrittura e Tradizione. Il nostro ecumenista si muove sul piano culturale di ricerca per sondare i veri motivi dell'attuale dissenso ecumenico, mentre intorno a lui, in casa e fuori di casa, gli spiriti cristiani sono per lo più frastornati dalla tormenta polemica. Dedicarsi al lavoro di ricerca significa addentrarsi nell'esperienza ecumenica e vivere, fin d'ora, un esempio di quella “simbiosi” che dovrebbe animare i vari settori del cristianesimo diviso in vista dell'unità della Chiesa. Il discorso sulla teologia e sul dogma va fatto tenendo presente quest'angolo di guardatura.
Si può - secondo Janni - risalire a Schleiermacher che tratta la Tradizione come “memoria”. In seguito si passa dal protestantesimo al cattolicesimo mediante l'interessamento del Newmann e la formulazione della teoria del germe. Dal Newmann si ritorna agli anglicani e ai protestanti, che riesaminano il tema, in rapporto più stretto con la Scrittura, fino a giungere alla conclusione che “lo sviluppo vero implica preservazione del tipo, continuità di principi, connessione logica; ossia l'immanenza dell'elemento statico, contenuto nella Scrittura, negli sviluppi vitali”. (21)
Se ci siamo soffermati su questo particolare del pensiero di Ugo Janni è perché esso ci permette di indicarne chiaramente l'attualità e di fissare il punto di osservazione dal quale ci sembra di poter afferrare con maggior precisione la portata del suo lavoro.
Meditando sul rapporto dogma-teologia egli ha introdotto in Italia, avvalendosi del contesto culturale nel quale si muoveva, quella distinzione tra tradizione apostolica e tradizione sub-apostolica, che ha impegnato la riflessione teologica del dopoguerra attuale. Basta non essere completamente estranei allo svolgimento del pensiero cattolico e protestante degli ultimi decenni, per ritrovare, con una certa facilità, le indicazioni date sullo stesso tema da E. Brunner, K. Barth, Giovanni XXIII e il cardinale E. Léger.
Janni ha insegnato alla sua generazione a distinguere tra fatto e commento, ad esercitare con cautela l'arte della spiegazione e dell'interpretazione esortando tutti a non confondere la testimonianza con ciò a cui si rende testimonianza.
Nel tentativo di cogliere l'attualità del suo pensiero ecumenico dovremo adottare lo stesso metodo cercando cioè di evidenziare il problema sollevato dall'autore nella piena consapevolezza che la teologia della nostra generazione non ci permette più di intenderlo nello stesso modo e di esprimerlo con lo stesso linguaggio.
Negli scritti di Janni ritorna spesso il detto : “Si separaveris pretiosum a vili, quasi os meum eris”. (22)Nel contesto di quanto siamo venuti esponendo ci sembra logico intendere per pretiosum, il contenuto stesso della fede cristiana, quale ci è rivelato dalla Sacra Scrittura. Perciò ci sembra lecito dover concludere che con questo detto latino Janni ci offre la formula classica del suo pensiero teologico, cioè del suo metodo di lavoro, formula che ci permette di penetrare le sue intuizioni più profonde.
Il rinnovamento della Chiesa, l'ecumenismo e la missione evangelica s'inseriscono in questa prospettiva.
Giovanni Miegge, riprendendo nel 1939 il tema del rinnovamento della Chiesa, si dichiara concorde con questo principio di Janni che permette d'iniziare il lavoro ecumenico nel solo modo possibile, partendo dal dato, confrontandone e discernendone gli elementi. (23)
L'unità della Chiesa
Esaminiamo ora alcuni aspetti dell'ecclesiologia di Janni con particolare riferimento allo stato di divisione del cristianesimo.
Diciamo subito che, per lui, l'unità della Chiesa non è in discussione. “Il principio costitutivo della Chiesa è l'unus dominus...”. (24) L'unità è un fatto obiettivo innegabile: (25) essa già esiste (26) e non dev'essere confusa con l'uniformità. (27)
La divisione, tuttavia, non distrugge l'essere della Chiesa anche se ne determina il malessere. (30)L'unità, nascosta per secoli sotto il moggio, dev'essere ora messa in evidenza mediante l'impegno comune a superare la divisione accidentale e secondaria. Per questo bisogna indicare con chiarezza gli elementi comuni della fede e la superabilità degli ostacoli che determinano la divisione.
Janni s'addentra in tale compito e coglie frequentemente l'occasione per produrre degli elenchi di punti comuni che rivelano ampiamente l'unità gia esistente, e non spende meno energie nel dimostrare l'inconsistenza di alcuni elementi classici del dissenso interconfessionale. (31)
Forse oggi questo genere di argomentazione ci sembra meno vivo ed interessante perché, passata l'età dei pionieri, siamo abituati a pensare teologicamente ed ecumenicamente in un modo diverso. Ma dobbiamo afferrare ciò che di esso oggi ancora rimane attuale ed urgente: l'unità della Chiesa di cui Dio stesso è il principio costitutivo è unità nella diversità delle funzioni. In termini più vicini al nostro tempo, noi diremmo che Janni parte dalla constatazione scritturale dell'unità della Chiesa in Cristo e rivela la contradditorietà della nostra situazione confessionale e teologica.
Se oggi l'unità non è visibile è perché tutti i cristiani sono dalla parte del torto teologicamente, poiché la volontà di Dio in proposito è chiara ed una.
la conferenza ecumenica di Stoccolma e si rifà, con sicurezza, al nuovo spirito dogmatico che ha governato la conferenza di Losanna nel 1927. È l'esigenza di una visione universale della fede cristiana, che lo guida nei suoi confronti e nelle sue ricerche.
Il problema dell'unità della Chiesa, esaminato nella prospettiva della distinzione tra dogma e teologia, dà al pensiero di Ugo Janni il suo valore attuale. Basti pensare al fenomeno della successio oppositorum che ha governato lo sviluppo della teologia protestante come una legge ferrea ed inesorabile. Esso non sarebbe comprensibile senza un latente cedimento alla tentazione di identificare il dogma con la teologia.
Quando l'ora del liberalismo è giunta al suo compimento, tutta la testimonianza di quella generazione teologica è caduta in disuso sotto la pesante accusa, più o meno celata, di aver annunciato un Cristo diverso. Oggi, mentre ci alimentiamo profondamente alla teologia sorta con il rinnovamento biblico, forse è già in via di formazione una nuova generazione che dovrà a sua volta respingere la nostra testimonianza continuando così la successione degli opposti. Buona parte di questo stato di cose è dovuta al fatto di non aver saputo cogliere la sostanza evangelica al di là della forma teologica di una determinata epoca. Affermare questo non significa, né per Janni né per la nostra generazione, svalutare la teologia, che è un esercitare la ragione sul piano della fede, ma al contrario un esaltarla nella sua giusta funzione, un dominarla per impedirle di trasformarsi da serva in padrona, da mezzo in fine, da forma in contenuto.
Janni era altamente qualificato per discutere questi problemi con la sua generazione e per orientare i cristiani alla ricerca dell'unità.
Il rinnovamento della Chiesa
Il lavoro da compiere per giungere ad una chiarificazione del problema ecumenico era enorme. Bisognava innanzitutto sgombrare il terreno dalle incomprensioni reciproche, dalle caricature, dal razionalismo, dalla speculazione e dalla superstizione. (33) Gli esempi che rivelano queste degenerazioni nel seno del cristianesimo non scarseggiano certamente. Ne scegliamo uno tra i più significativi: la dottrina della S. Cena. Già Calvino si era reso conto che nella disputa sull'eucaristia, tra luterani e zwingliani, vi era un accordo sostanziale nel dire che Dio “ci fa partecipi della sostanza propria del corpo e del sangue di Gesù Cristo”. (34) Il disaccordo era invece evidente sul come ciò accadesse.
Janni estende buona parte di questo ragionamento alla dottrina romana richiamandosi particolarmente alle dichiarazioni del Concilio di Trento. Egli nota che le interpretazioni della Scolastica soffocano la dottrina cattolica, ma sono con cura evitate dal Concilio di Trento e dovrebbero perciò essere relegate nella sfera dell'opinabile. (35)
È un incoraggiamento prendere atto che a Dio non è piaciuto rivelarci il modo della sua presenza nel sacramento e che, di conseguenza, siamo chiamati a rispettare il suo silenzio senza aggravare con le nostre intuizioni teologiche l'unità dogmatica di tutta la Chiesa. Ci troviamo qui di fronte ad un'indicazione conclusiva, non certo priva di attualità, che lascia intravedere tutta l'ampiezza del lavoro di ricerca e di confronto che la precede e nel quale non possiamo addentrarci in questa sede. Ci sembra invece interessante sottolineare la nozione di sacrificio che Janni esamina come esempio d'incomprensione protestante del cattolicesimo. (36)
Secondo il Concilio di Trento la messa non ha il carattere di un sacrificio espiatorio, poiché soltanto il sacrificio della croce ha questa irripetibile qualifica. La messa è invece un sacrificio propiziatorio che rappresenta ed applica il sacrificio della croce. Inoltre, quando parliamo di sacrificio, bisogna tener presente che parliamo di offerta a Dio e, nel caso specifico della S. Cena, si tratta dell'offerta che il Cristo fa di sé al Padre, continuamente, nel santuario celeste, secondo l'espressione biblica dell'epistola agli Ebrei (8,1-3) e le indicazioni dell'Apocalisse (5,6). (37)
a presentare a Dio i loro corpi come “sacrificio vivente”, cioè come sacrificio di lode. (38) Tutti questi elementi fanno parte integrante del culto cristiano e devono ritrovare il loro posto nel nostro cristianesimo moderno. Per Janni essi costituiscono, come abbiamo già detto, un esempio classico dell'incomprensione protestante del cattolicesimo, anche se il cattolicesimo ha un ampio compito da svolgere per liberare la sostanza cristiana, contenuta nella nozione di sacrificio, da tutte quelle sovrastrutture deformanti e spesso superstiziose che l'hanno accompagnata nella sua evoluzione teologica.
Nell'ultimo dopoguerra questi pensieri hanno assunto un'attualità di primo ordine nella meditazione teologica delle chiese riformate. Ricordiamo, ad esempio, gli studi del prof. T.F. Torrance. (39)
Un esempio dell'incomprensione cattolica del protestantesimo è - secondo Janni - la nozione del libero esame. Nella polemica tradizionale i nostri critici non si sono mai accolti che la dottrina del libero esame presuppone l'uomo credente a contatto con il Cristo vivente. (40)
In termini più vicini alla nostra epoca potremmo dire che bisogna conoscete la libertà per poter agire liberamente. Certamente Ugo Janni non si è reso il compito facile ed ha voluto indagare tutta la gamma dei dissensi all'interno del cristianesimo, e, alla ricerca costante delle vie dell'unità, offrire il suo contributo ad una chiarificazione teologica di fondo. Naturalmente non ha mancato di trattare la figura di Maria e l'istituzione del papato: i due punti della teologia cattolica più ostici al protestantesimo. Sono delle pagine dense di pensiero che anticipano in molti punti le riflessioni della teologia moderna.
Il futuro ecumenico
I vari rami del cristianesimo saranno impegnati, per anni, in un profondo lavoro di confronto dogmatico. Occorrerà sgombrare il terreno da quegli elementi di carattere interpretativo che si sono frapposti, nel tempo, ad una chiara visione del contenuto della fede.
Ma quale sarà il risultato di un simile impegno? Una volta che avremo eliminate tutte le incomprensioni possibili avremo noi raggiunta l'unità della Chiesa? Che ne sarà delle singole denominazioni?
Interrogativi di questo genere si affacciano alla nostra mente non appena cerchiamo di renderci conto del cammino da percorrere nella prospettiva di Ugo Janni. Il futuro ecumenico rimane un segreto della storia. (41)
Nella fase penosa della separazione, i vari rami del cristianesimo hanno avuto occasione di maturare i loro carismi particolari e di riscoprire la loro funzione nella storia. Ancora una volta Dio ha saputo trarre un bene dal male. (42) È quindi necessario che ogni singola vocazione trovi la sua integrazione armonica nel Corpo di Cristo. (43) È infatti volere di Dio che la Chiesa tutta si avvalga delle ricchezze acquisite. (44)
per le chiese anglicane, della loro capacità di incarnare i dati della Riforma in un organismo ecclesiastico; (46)per gli ortodossi, della nozione di “sobotnost”, conciliarità; (47) per Roma, della sua funzione storica universale. (48) uno e vario, (49) conoscerà così una nuova sintesi di valori, in nulla paragonabile ad un mosaico (50) o ad un amalgama di elementi contrastanti, che sarà una vera simbiosi delle varie esperienze. (51)
Parlare oggi di sintesi e di integrazione significa offrire il fianco al fraintendimento. Bisogna infatti prendere atto che questi termini hanno assunto negli ultimi anni un significato degenere ben diverso da quello prospettato da Ugo Janni. Per evitare questo equivoco sarà sufficiente tener presente che per lui la sintesi è il risultato dell'opera di Cristo. (52) In un contesto diverso egli ne parla addirittura come di una nuova creazione anche se non di una creazione ex nihilo. (53) Per gli stessi motivi preferisce parlate del rinnovamento della Chiesa anziché di riforma, perché quest'ultimo termine potrebbe lasciare intendete una meta correzione degli abusi, con la restaurazione di un cristianesimo statico, mentre la Chiesa ha bisogno di essere rinnovata e di entrare in una nuova fase di sviluppo. (54)
Il discorso diventa sempre più chiaro se teniamo presente che il concetto di pienezza non può essere determinato in base a preoccupazioni quantitative ed inclusive, ma è determinato, invece, qualitativamente. La pienezza è completa ed immanente nelle quattro grandi chiese storiche tanto che si può dire che “la Chiesa è presente in ognuna nella sua pienezza”. (55)
Non è difficile presentire, nelle argomentazioni di Janni, qualcosa della futura tematica ecclesiologica proposta dalle conferenze di Nuova Delhi (1961) e Montréal (1963).
Dobbiamo ancora accennare ad una particolare visione escatologica che anima la dottrina della Chiesa del nostro teologo. Guardando al periodo del millennio, descritto dall'Apocalisse, egli vi vede l'attuale rinnovamento ecumenico giunto alla sua naturale conclusione e perfezione.
Allora soltanto la Chiesa sarà uno strumento perfetto, nelle mani di Dio, in contrapposizione all'attuale stato di divisione. (56)
Il principio protestante
Lavorare per la manifestazione dell'unità della Chiesa in Cristo significa maturare la consapevolezza della propria funzione, del proprio carisma. Fin tanto che non si è presa coscienza della presenza dell'altro e del valore della sua testimonianza, si è logicamente inclini a trascurare un lavoro di ricerca della propria funzione in quanto si è necessariamente inseriti in una visione dilatata del cristianesimo che esige una corrispondenza a tutti gli aspetti della vita ecclesiastica.
Nel guardare ai valori universali della pienezza della fede si rischia di perdere di vista o di sminuire l'importanza dei valori particolari e specifici. L'impegno ecumenico richiede, invece, che nessuna delle due prospettive sia trascurata. Un genuino equilibrio è prova di sobrietà teologica.
Janni ha meditato a lungo sulle funzioni specifiche dei vari rami della Chiesa storica e ci ha perciò offerto un esempio valido di metodo di lavoro ecumenico. Abbiamo già accennato a come il nostro teologo descrivesse i singoli carismi delle grandi confessioni cristiane.
Ci soffermiamo ora su quello specifico del protestantesimo: il principio protestante. È un'intuizione attualissima che ritornerà frequentemente nelle prossime meditazioni teologiche del mondo della Riforma. Basti accennare a Paul Tillich. Tutta la sua etica e la sua dogmatica si sono abbarbicate intorno a questo principio che gli permette di criticare, con una severità impressionante, le forme ecclesiastiche attuali del protestantesimo e di prospettare la fine di quella che egli chiama l'era protestante. Il germe vitale che solo potrà aiutare il superamento della crisi è appunto il principio protestante. Ma allora il mondo della Riforma non avrà più il carattere di una Chiesa bensì di un movimento. Parole severe, ma di una serietà innegabile per il nostro mondo sulla via della secolarizzazione.
Certo l'intuizione di Janni non collima con quella di Tillich e nell'esaminarla ci rendiamo conto del veloce progresso del pensiero. Ma le teologie passano e il nostro interesse va ai valori che esse hanno saputo porre in rilievo. Per Janni il principio protestante ha un carattere di assolutezza e di universalità e costituisce la base della Riforma del XVI secolo. Esso è costituito da sette componenti: la coscienza, la sovranità del Vangelo, il libero esame, la funzione della Chiesa non autoritarista, la giustificazione per fede, la predicazione e l'opposizione al dericalismo. (57) Egli lo riassume con queste parole: “Il carisma protestante è consistito nel purificare i mezzi di grazia da elementi ad essi estranei e nel mettere fortemente in evidenza i valori religiosi soggettivi, cioè i vari aspetti dell'opera personale del credente, nell'appropriazione della salvezza”. (58)
Evidentemente oggi non ci esprimeremmo più nello stesso modo, anche se non possiamo evitare il problema che ci viene posto. Trapela infatti, da quanto ci è stato detto, l'affermazione della fiducia incondizionata della creatura verso il suo Signore, fiducia che determina l'impegno costitutivo della persona e della società cristiana.
Paul Tillich vede il principio protestante nella possibilità di perdere se stesso senza venir meno al proprio essere. Sono nozioni che vanno intese nel contesto della croce e della risurrezione e che intendono proclamare la disponibilità totale dell'uomo di fronte al Signore che interviene in suo favore. Esse rivelano una profonda esigenza di purezza.
inciso notevolmente sulla politica e sulla filosofia. Ma sarebbe undisconoscerlo il tentar di descriverlo secondo mere categorie sociologiche.
Ugo Janni intravede una ricettività cattolica al principio protestante, particolarmente viva e sensibile presso quei movimenti innovatori che animano la vita della Chiesa di Roma con l'intensità del loro pensiero e l'impegno della loro opera. La cultura laica all'interno dell'influenza ecclesiastica è particolarmente adatta a promuovere una simile ricettività che andrebbe a tutto vantaggio dell'elevazione spirituale del popolo cattolico. (60) Il principio protestante potrebbe significare, di riflesso, all'interno del cattolicesimo, l'esigenza che il papato sia un centro di vita e non di giurisdizione. L'elemento evangelico dovrebbe incoraggiare l'abbandono delle categorie giuridico-politiche. Gli stessi dogmi potrebbero essere suscettibili di una reinterpretazione moderna. Un processo di fermentazione teologica, secondo queste linee, non dovrebbe essere impossibile all'interno della stessa Chiesa di Roma. (61)
Ora, se il protestantesimo ha un carisma particolare da mettere a disposizione dell'intero corpo di Cristo e se vi è una particolare ricettività a questo carisma da parte della Chiesa romana, quali conseguenze ne derivano per il protestantesimo in generale e per la Chiesa valdese in particolare?
Seguiamo le indicazioni del nostro teologo.
Il rinnovamento della Chiesa romana sarà un rinnovamento “ab intra” perché le grandi rivoluzioni avvengono sempre dall'interno: così è stato per S. Francesco, per Pascal, per il movimento liturgico benedettino e per la lotta contro la superstizione compiuta da Geremia Bonomelli. (62)
La Chiesa valdese non potrà produrre nessuna rivoluzione dentro i confini ecclesiastici di Roma. (63) Janni sapeva di non essere solo in questo genere di riflessioni. Anche Giovanni Miegge condivideva le stesse idee e riteneva che il rinnovamento cattolico, nel caso si fosse attuato, si sarebbe modellato sui movimenti riformatori che agiscono dall'interno. (64)
Naturalmente il principio protestante fornirebbe lo strumento adatto ad una elaborazione interconfessionale. (65) I ricordi di Janni vanno volentieri al padre barnabita Semeria, al quale era legato da una sincera amicizia. Insieme avevano spesso parlato della limitata libertà d'azione di cui godevano le varie correnti di rinnovamento, ed era proprio a questo punto che si sentiva veramente il bisogno di solidarietà degli evangelici italiani. Si rendeva impellente una maggior conoscenza dei movimenti riformatori stessi ed un ampliamento dei contatti, dei confronti e delle relazioni. Certe sovrastrutture medievali sarebbero facilmente cadute in seguito a simili incontri. (66)
Movimento e Chiesa valdesi
I valdesi sono stati un movimento prima di essere Chiesa, e come movimento hanno saputo opporsi a molte generazioni del cristianesimo medievale. Janni ritiene che oggi, senza cessate di essere Chiesa, i valdesi dovrebbero ritrovare il modo di essere presenti in Italia come movimento per esercitarvi una funzione di fermento evangelico. (67) Dal punto di vista della teologia cattolica cominciava già allora a farsi strada l'idea che il Corpo di Cristo fosse più ampio dei confini ecclesiastici romani. Bisognava perciò approfittare di questa nuova sensibilità per dare uno spazio ecclesiastico alla presenza evangelica ed una base valida, (68) per la mentalità italiana, al movimento valdese. Come valdesi dobbiamo essere ascoltati in quanto parte della realtà italica e facenti parte della Chiesa Una. (69)
Per giungere alla costituzione di un movimento che sia all'altezza della situazione è necessario preparare gli uomini e porsi sul piano della cultura. I mezzi bisogna trovarli fuori della Chiesa valdese. Gli esempi non mancano e Janni ricorda: l'Unione Cristiana dei Giovani, il Movimento degli Studenti Cristiani, la traduzione della Bibbia, da parte della Fides et Amor, e, logicamente, la rivista “Fede e Vita” di cui era direttore. La missione protestante in Italia doveva ormai essere concepita come “movimento” per essere positiva e profonda. Non è difficile ritrovare alla base di simili orientamenti la dinamicità del principio protestante. (70)
Non si tratta di cambiare tutto e di innovare, ma di rimanere fedeli al carisma della Riforma e di essere sempre e di nuovo totalmente disponibili per il Signore, rinunciando a nascondersi dietro a schemi tradizionali. Bisogna perdere la propria vita per ritrovare se stessi.
Per avere un movimento capace di duttilità e di dinamicità, la Chiesa valdese deve proporsi il compito di alimentarlo alla sua ombra. Essa deve diventare un centro di irradiazione evangelica senza la preoccupazione delle iscrizioni ecclesiastiche. (71)
Il Sinodo valdese del 1855 si era espresso chiaramente, in proposito, con una dichiarazione unanime: “L'unico scopo della Chiesa valdese nel fare annunciare l'evangelo fuori del proprio seno è di obbedire all'ordine del Signore "Predicate l'evangelo ad ogni creatura" e di condurre le anime alla conoscenza e all'obbedienza di Gesù Cristo. Per conseguenza essa non ha alcuna pretesa di imporre loro la sua propria forma ecclesiastica”. (72) In questo spirito si erano mossi uomini come Paolo Geymonat e Giorgio Appia.
Si apre così il problema del proselitismo. Per Janni rimane chiaro che esso non potrà cessare fin tanto che vi è una fede degna di essere creduta. In Italia vi sono molti che possono essere inseriti nel Corpo di Cristo mediante una chiara opera di evangelizzazione. La Chiesa valdese può esercitare un'attrazione in molti settori dove altri mezzi sono poco adatti o non lo sono più. (73) Bisogna anzitutto badare a questo risultato e non al metodo. L'aggressione ecclesiastica è repellente e le anime che gravitano attorno alla Chiesa valdese, per motivi autenticamente religiosi, non sono attratte dai “ludi” delle controversie e dei contrasti. La polemica dev'essere abbandonata perché essa nasconde, sotto il moggio, l'unità della Chiesa.
Non è stato nostro intento di offrire un compendio del pensiero di Ugo Janni, ma piuttosto di cogliere le strutture essenziali della sua visione ecumenica, soffermandoci particolarmente sul suo modo di concepire le basi, il rinnovamento e l'unità della Chiesa.
Abbiamo voluto mettere in evidenza alcune ripercussioni delle premesse dogmatiche nella vita e nella missione del protestantesimo italiano. Non ci siamo limitati a fare la cronaca di un passato ancora recente. Ci siamo proposti, invece, di sentire la voce di Ugo Janni nel contesto di problemi ecumenici vivi oggi come allora, sui quali, forse, la meditazione è appena iniziata.
Abbiamo accennato alla sua attualità e ne abbiamo riscontrato alcune significative assonanze con le menti più ricche del mondo riformato odierno.
È da augurarsi che il nostro dialogo con un pioniere della ricerca dell'unità cristiana, possa trasmettere il desiderio di ritornare a leggere i suoi scritti e di riprendere le sue meditazioni teologiche. Siamo convinti che si potrà, per molto tempo ancora, attingere proficuamente alle indicazioni di Janni, soprattutto se si saprà riceverle con sensibilità teologica aggiornata al nostro tempo.
ha confermato buona parte dei suoi orientamenti. Questo è molto anche per un dottore della Chiesa! Certamente Ugo Janni avrebbe vissuto con gioia gli avvenimenti degli ultimi dieci anni all'interno del cristianesimo, e la sua gioia sarebbe stata un giusto compenso al suo lavoro paziente e difficile in tempi non ancora maturi. Ma la seminagione e il raccolto abbracciano difficilmente la stessa generazione e la stessa persona. In questo senso non v'è stata eccezione. Altri appartenenti a nuove generazioni teologiche, tra cui certamente Giovanni Miegge, sono entrati nella sua fatica.
Janni aveva saputo trovare un posto di testimone in mezzo al popolo italiano ed era stato ascoltato con interesse da molti uomini di cultura: un privilegio di pochi! Così facendo egli aveva indicato una via alla presenza evangelica in Italia, una via apprezzata e sobria.
Noi abbiamo oggi il compito di giudicare il suo metodo e di vagliarne l'efficacia, per la nostra generazione, di fronte al Signore della storia.
NOTE
1) U. JANNI, Corpus Domini, Guanda, Modena 1938, p. 790 (in seguito indicato con l'abbreviazione C. D.).
2) C. D., p. 793.
3) G. MIEGGE, Ugo Janni, Corpus Domini, in “Gioventù Cristiana”, maggio-giugno 1939, p. 141.
4) Citato da V. VINAY, Ernesto Buonaiuti e l'Italia religiosa del suo tempo, Claudiana, Torre Pellice 1956, p. 109.
5) U. JANNI, Il Rinnovamento Cattolico dell'Italia e la Missione del VaIdismo, Unitipografia Pinerolese, Pinerolo 1932, p. 74 (in seguito indicato con l'abbreviazione R.).
6) C. D., p. 730.
7) C. D. pp. 19 e 615ss.
8) R., p. 46.
9) Citato da V. VINAY, op. cit., p. 53.
10) C. D., p. 443.
11) C. D., p. 454.
12) U. JANNI, L'Autorità della fede, La Luce, Torre Pellice 1922, p. 29.(in seguito citato con l'abbreviazione A.).
13) C. D., p. 16.
14) R., p. 75.
15) C. D., p. 456.
16) C. D., p. 500.
17) C. D., p. 502.
18) U. JANNI, La Santa Chiesa Cattolica, S.A. Unitipografia Pinerolese, 1929, p.92 (in seguito citato con l'abbreviazione S. C. C.).
19) A., p. 28.
20) A., p. 53.
21) C. D., p. 784.
22) R., p. 76.
23) G. MIEGGE, art. cit., p. 143.
24) C. D., p. 368.
25) S. C. C., p. 29.
26) C. D., p. 734.
27) C. D., p. 572.
28) Idem.
29) S. C. C., p. 99.
30) R., p. 108.
31) S. C. C., p.30 e pp. 94ss.; C. D., p. 73.
32) S. C. C., p. 92.
33) C. D., pp. 744, 752, 756, 762, 760; S. C. C., pp. 143ss.
34) V. SUBILIA, Gesù 'nella più antica tradizione Cristiana, Claudiana, Torre Pellice 1954, p. 186.
35) S. C. C., p. 779.
36) C. D., p. 730.
U. JANNI, Il Culto Cristiano, La Luce, Torre Pellice 1920, pp. 43, 62; C. D., p. 751.
38) C. D., p. 160.
39) T. F. TORRANCE, Royal Priesthood, «Scottisb Journal of Theology», Paper n.3.
40) A., p. 98.
41) C. D., p. 729.
42) Cfr. C. D., p. 682.
43) R., p. 107.
44) R., p. 112.
45) C. D., p. 704.
46) C. D., p. 710.
47) C. D., p. 719.
48) C. D., pp. 615ss, 726ss.
49) C. D., p. 787.
50) C. D., p. 15.
51) C. D., p. 782.
52) C. D., p. 17.
53) C. D., p. 37.
54) S. C. C., p. 187.
55) C. D., pp. 15 e 676.
56) S. C., p. 193.
57) C. D., pp. 683ss.
58) C. D., p. 704.
59) R., p. 55.
60) R., pp.70ss.
61) Idem.
62) R., pp.10ss.
63) R., p. 68.
64) R., p. 20.
65) R., p. 26.
66) R., pp. 85, 93.
67) R., pp. 77, 82, 87.
68) R., p. 82.
69) R., p. 86.
70) R., pp. 65, 69, 79, 87.
71) R., pp. 97 e 103.
72) R., p. 102.
73) R., pp. 66, 77.