Le risposte che vengono date sono fra le più disparate a seconda delle persone interpellate, dei momenti in cui viene rivolta la domanda e dei luoghi in cui si vive, quasi si trattasse di un treno che può andare indifferentemente avanti o indietro a seconda dei comandi che vengono azionati dal guidatore.
Prima di formulare una risposta bisogna in un primo momento chiarire che cosa si intende per ecumenismo, e poi se esista un metro per misurarlo e dove questo si applica.
Prima di tutto c’è da chiedersi se l’ecumenismo è solo o principalmente una questione di rapporti con altri. Il Concilio Vaticano II ci dice che l’ecumenismo è soprattutto un problema di vita interna della Chiesa, frutto di una profonda conversione: "Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione, poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità" (Unitatis Redintegratio, 7). Conversione che riguarda non solo il singolo cristiano, ma la Chiesa in quanto tale: "Siccome ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione, esso è senza dubbio la ragione del movimento verso l’unità. La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno, in modo che se alcune cose, sia nei costumi che nella disciplina ecclesiastica ed anche nel modo di enunziare la dottrina – il quale non deve essere assolutamente confuso con lo stesso deposito della fede – siano state, secondo le circostanze, osservate meno accuratamente, siano opportunamente rimesse nel giusto e debito ordine" (Unitatis Redintegratio, 6). L’ecumenismo, quindi, prima che un rapporto, è una mentalità, o meglio, una spiritualità, che si esprime in un coerente stile di vita, caratterizzato dal dialogo, prima di tutto all’interno della propria comunità e Chiesa, con un’apertura all’accoglienza degli altri e di tutto ciò che è espressione dell’azione dello Spirito.
Così è aperta la strada anche per la risposta al secondo quesito: dove si misura l’ecumenismo? Non certamente partendo dai rapporti con l’esterno. Soprattutto in questi ultimi tempi i risultati di una tale analisi o misurazione sarebbero disastrosi. Dalla caduta del muro di Berlino, nel 1989, le Chiese sono tutte concentrate nel recuperare e rendere visibile la propria identità, in un confronto di concorrenza con le altre Chiese, anche se si continua a chiamarle sorelle. Attualmente, una Chiesa non si può muovere, anche all’interno dei propri confini, che subito è sottoposta a giudizio dalle altre e cosìnascono grandi difficoltà di rapporti.
Neppure dai documenti emanati si può misurare l’ecumenicità di una Chiesa: basti pensare alle grandi affermazioni di principio emesse soprattutto prima del 1989, poi clamorosamente smentite sia da una prassi di vita interna che da una certa impostazione dei rapporti con le altre Chiese.
Allora, la conclusione o risposta al quesito sembra imporsi da sé: l’ecumenicità di una Chiesa o di una comunità cristiana si misura dalla qualità della sua vita: se in essa il vangelo è una realtà vissuta, se è in continuo stato di conversione e di riforma, se è dialogante e accogliente; in conclusione: se è realmente Chiesa e non solo istituzione, se l’amore infuso dallo Spirito è l’anima dell’istituzione.
L’ecumenismo negli ultimi decenni ha fatto grandi passi: il dialogo teologico ha chiarito moltissimi (quasi tutti) problemi che sembravano essere la causa del persistere delle divisioni; la collaborazione delle Chiese nel servizio all’uomo ha fatto grandi passi; nonostante ciò, le Chiese ufficiali hanno mantenuto immutate le loro distanze e distinzioni. E’ il momento di condividere il proprio essere Chiesa, cioè la propria fede e l’esperienza dello Spirito, di cercare insieme, scrutando il Vangelo, le vie di Dio. Se non ci si appropria della verità, se la strada non diventa proprietà privata e se le dimore di Dio non vengono pignorate, allora l’orizzonte si allargherà e l’ecumene diventerà luogo di riposo agognato anziché di rinuncia.
Soprattutto in questa fase l’ecumenismo si costruisce in casa propria e partendo dalla base, cioè dal vissuto (senza alcuna contrapposizione con l’istituzione), avvalorando i propri carismi, purificando, secondo lo spirito e i suggerimenti del Concilio Vaticano II, le proprie espressioni di vita cristiana, dialogando, accogliendo con gioia e gratitudine la diversità. Ogni situazione locale di carattere ecclesiale o comunitario, si presta a rivitalizzare questo settore; ciò avverrà automaticamente se si sarà più autentici e decisi nel rinnovamento; l’ecumenismo è legato alla fedeltà alla propria vocazione specifica: qualche Istituto religioso ne ha fatto l’esperienza.
In conclusione, se vogliamo comprendere e giudicare l’attuale situazione ecumenica dobbiamo guardare dentro, e non fuori casa.