Ciò che Giovanni Paolo II ha amato nell’Ortodossia è stata la sua fedeltà ostinata al messaggio apostolico, rispetto a un Occidente in cui interrogativi sempre nuovi hanno comportato rischi e deviazioni. Senza voler diminuire i problemi teologici ed ecclesiologici sui quali gli ortodossi insistono per definire la propria identità, Giovanni Paolo II ha compreso che le difficoltà principali tra le due Chiese sono anzitutto di natura storica e psicologica: ignoranza e disprezzo da parte cattolica accompagnati da uno stile di conquista; paura e disprezzo sul versante ortodosso con uno stile vittimistico. Di fatto, dopo la caduta di Bisanzio nel 1456, l’Occidente cattolico ha cercato più volte di annettere in modo totale o parziale l’Oriente cristiano, in particolare con la creazione delle Chiese “greco-cattoliche” (che gli ortodossi, in senso peggiorativo, chiamano “uniate”). Per rendere fecondo il dialogo iniziato da Paolo VI e Atenagora I, Giovanni Paolo II ha dunque affrontato il problema in due modi. Da una parte ha cercato di tener conto, in campo teologico (ed ecclesiologico) delle richieste dell’Ortodossia: sono frutto di tale volontà la nota del Vaticano sul Filioque, in cui si afferma chiaramente, con altri termini, la “monarchia” del Padre in seno alla Trinità, l’enciclica Ut unum sint, nella quale si accetta di rimettere alla riflessione ecumenica l’esercizio del primato. Con la lettera apostolica Orientale Lumen, inoltre, c’è stata l’apertura ai frutti migliori della spiritualità ortodossa. Infine la grande commissione teologica cattolico-ortodossa, con la dichiarazione di Balamand, ha cercato di abbozzare una soluzione alla drammatica questione dell’uniatismo.
Bisogna ammettere che tali testi hanno avuto scarsa risonanza nel mondo ortodosso sia perché non sono stati sufficientemente diffusi sia perché, come è avvenuto per la dichiarazione di Balamand in Russia, sono stati trasformati in falsi documenti destinati a far credere che il papato avrebbe fatto di tutta la chiesa ortodossa un’immensa chiesa uniata! Per quanto riguarda la commissione mista, dopo che i lavori sono rimasti fermi per anni, si è infine riunita nel 2000 a Baltimora solo per uno scambio di violenze verbali...(!)
Di fronte a tale situazione di blocco, Giovanni Paolo II ha cercato un’altra via: quella dei viaggi in terra ortodossa, viaggi nei quali si è voluto proporre come messaggero di riconciliazione. La prima meta è stata Costantinopoli. Bartolomeo I, a sua volta, ha ricambiato la visita a Roma. Questo scambio di visite ha permesso di instaurare un clima di fiducia reciproca, accompagnato però da un irrigidimento progressivo delle posizioni ecclesiologiche del patriarca, controllato da vicino dai teologi greci violentemente “antipapisti”. Accoglienza poco calorosa in Georgia dove i monaci (come in molte Chiese ortodosse) si sono irrigiditi su posizioni di rifiuto. La sola visita riuscita, feconda, è stata quella in Romania dove i cuori sono stati toccati e il conflitto tra ortodossi e greco-cattolici si è in parte placato... Ma importanti da esaminare sembrano essere gli ultimi due – o tre – viaggi del Papa, quelli in Grecia, a Damasco e in Ucraina.
GRECIA. IL MISTERIUM INIQUITATIS
La Chiesa greca appariva come una delle roccaforti più importanti, se non la principale, dell’anticattolicesimo ortodosso. L’annuncio della visita di Giovanni Paolo II ad Atene era stato accolto con ostilità o indifferenza ironica: chi stava per arrivare, un capo di Chiesa o un capo di Stato? In ogni caso non ci sarebbe stata né preghiera comune nè pasto condiviso (lo vietavano alcuni canoni del V e del VI secolo contro i monofisiti e i nestoriani). Il giorno precedente l’arrivo del papa è stata organizzata davanti all cattedrale di Atene una manifestazione di protesta con più di 8.000 persone. L’arcivescovo di Atene e primate della Chiesa greca, Christodoulos, ha accolto il papa con cortesia formale, ma ha pronunciato un discorso severo in cui ha ricordato i motivi teologici della separazione e le violenze ingiustificabili commesse dall’Occidente cattolico contro gli ortodossi, in particolare la “follia distruttrice dei crociati” nel 1204 e durante la successiva dominazione latina. A sorpresa il papa nella risposta ha chiesto perdono non soltanto per le “occasioni passate e presenti” in cui i cattolici hanno peccato contro i loro “fratelli ortodossi”, ma in particolare per la tragedia del 1204 dove si vede in azione, ha affermato, il “misterium iniquitatis”. L’Arcivescovo non ha potuto fare a meno di applaudire e ha sostenuto amichevolmente il papa quando, all’Aeropago, si è voluto avvicinare a una grande icona di san Paolo. E il comunicato finale “condanna ogni ricorso alla violenza, al proselitismo e al fanatismo in nome della religione”. La televisione, in assenza di celebrazioni comuni, ha permesso a molti greci di sentire la richiesta di perdono del papa e di vedere il sorriso dell’arcivescovo.
“Dopo quanto è successo”, ha scritto un teologo ortodosso svizzero (Noël Ruffieux, nella rivista La Voie orthodoxe, giugno 2001), “niente è più come prima. Le linee d demarcazione (...), senza scomparire, si assottigliano (...). Non è più l’immagine di Giovanni Paolo II, di Christodulos o di Alessio a profilarsi, ma quella del Cristo...”.
Il viaggio a Damasco ha messo in luce un accordo profondo tra il papa e il patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Ignazio VI (Hazim), uomo pieno di fede, intelligenza e apertura di spirito. Entrambi hanno auspicato un dialogo con l’Islam che, ha detto Giovanni Paolo II, sia “un cammmino di rispetto e di comprensione”. E il patriarca ha esaltato “la dolcezza evangelica” che deve “rivelare il Regno al mondo” e ha parlato della “comunità cristica”.
UCRAINA. IL PESO DEL PASSATO
Al contrario, nell’Ottocento e nel Novecento, l’Impero russo e poi l’Unione Sovietica, con l’appoggio e la complicità della Chiesa ortodossa, hanno perseguitato i greco-cattolici fino a che Stalin non ha annientato completamente la comunità nel 1946. La ricostruzione di tale Chiesa con la perestroika ha fatto nascere numerose dispute per l’attribuzione dei luoghi di culto e del patrimonio immobiliare. A questo bisogna aggiungere i maltrattamenti di cui i greco-cattolici sono state vittime nel periodo tra le due guerre da parte dei cattolici polacchi di rito latino, ancora oggi molto numerosi nell’Ucraina occidentale. Da parte loro, gli ortodossi ucraini sono suddivisi in diverse giurisdizioni. Quella che conta maggior fedeli è la “Chiesa autonoma” amministrata da mons. Vladimir e strettamente legata al patriarcato di Mosca. Viene poi “la Chiesa nazionale” guidata da mons. Filarete, il quale si definisce patriarca, e che viene favorita dal governo. La “Chiesa autocefala”, molto meno numerosa, è un residuo della Chiesa ucraina sorta dopo la prima guerra mondiale e che ha trovato nel contempo rifugio in Canada.
Sul piano della fede niente separa tali giurisdizioni. L’appartenenza all’una o all’altra è spesso frutto della casualità – la vicinanza a un luogo di culto, le relazioni ecc. È vero che mons. Vladimir dispone di migliori qualità umane e spirituali e di una situazione canonica più solida, e che gode inoltre dell’appoggio dell’Ucraina orientale russofona, mentre mons. Filarete, che ha fatto a lungo parte della Chiesa russa, ne è stato deposto ed è stato ridotto allo stato laicale per la sua condotta (ha moglie e figli...). Sono stati tuttavia intavolati dei negoziati tra le tre giurisdizioni, in particolare a Kiev dal 26 al 28 maggio 2001, per organizzare in Ucraina una Chiesa autocefala unita. Mosca cerca di mettere un freno a questo processo, sebbene esso sia inevitabile, in quanto il patriarcato russo perderebbe un buon terzo delle sue parrocchie.
Il 23 e il 24 giugno, i vescovi della giurisdizione moscovita hanno scritto al papa chiedendogli di rimandare la data della sua visita. Ma senza successo, poiché l’invito gli era stato rivolto non soltanto dal governo ma, tra gli altri, anche dai cattolici dell’Ucraina occidentale. Due giorni prima dell’arrivo di Giovanni Paolo II, è stata organizzata una “processione” di protesta che ha visto la partecipazione di circa 20.000 persone. Vladimir è scomparso, si è ritirato in provincia dopo aver vietato ai suoi fedeli ogni atto di ostilità. La sera del 24 giugno, per dare il benvenuto al papa, il consiglio interreligioso d’Ucraina ha organizzato un ricevimento dove sono intervenuti soltanto i rappresentanti delle due “entità” denunciate da Mosca come “dissidenti”, il metropolita Metodio Ternopol e il sedicente “patriarca” Filarete. Il giorno stesso, il patriarca di Mosca Alessio II, in visita pastorale in Bielorussia, affermava in modo minaccioso che questo incontro (tra Giovanni Paolo II e Filarete) avrebbe reso “più difficili” i rapporti tra cattolici e ortodossi.
In realtà, secondo testimoni oculari, molti ortodossi ucraini – di quale giurisdizione, nessuno lo sa – durante il soggiorno del Papa a Kiev, hanno ascoltato commossi le sue parole di pace e riconciliazione. Molti, d’altra parte, hanno visto in Giovanni Paolo II, il messaggero di quell’Europa di cui si augurano che il loro paese faccia parte.
Giovanni Paolo II è veramente uscito dal vicolo cieco? Era sua intenzione rivolgersi sia ai cattolici dell’Ucraina occidentale, cosa che ha fatto non senza successo, sia alla Chiesa ortodossa. Ma l’abbraccio con Filerete ha irritato molti dei responsabili delle Chiese ortodosse, per i quali Filarete resta un vescovo condannato e deposto. D’altra parte, Giovanni Paolo II non poteva riprendere la dichiarazione di Balamand, che i greco-cattolici ucraini non hanno “recepito”, senza alienarsi il loro consenso. Gli amar ricordi, talvolta divenuti miti, legati all’“uniatismo” della Chiesa ortodossa non hanno potuto trovare espressione ed essere superati, come invece è avvenuto in Grecia. Il bilancio resta quindi ambiguo.
Quale sarà il futuro? I viaggi del papa hanno favorito in una parte del mondo ortodosso un cambiamento di sensibilità, preludio ad un’apertura all’altro.
Ma cosa ci si può aspettare da tante autorità ecclesiastiche quando esse, come in Russia, giocano con il nazionalismo di Stato? Rimangono, più importanti che mai, le reti di preghiera e di amicizia e questa trasfusione spontanea che ha luogo tra le due Chiese.
(Tratto da: Eventi & idee - Dialoghi 3 - settembre 2001)
NOTA
(1)Olivier Clement, teologo laico e storico, è uno dei testimoni più stimati e fecondi dell’Ortodossia in Occidente. Professore all’Istituto di teologia ortodossa Saint-Sierge di Parigi e responsabile della rivista di teologia Contacts, è autore di moltissime opere dedicate alla storia e alla vita della Chiesa ortodossa e all’incontro tra Ortodossia, Cristianesimo occidentale, religioni non cristiane e mondo moderno.