Ecumene

Sabato, 07 Agosto 2004 02:13

Cristo fondamento e meta dell'ecumenismo

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di Renzo Bertalot

PREMESSA

Ci proponiamo di affrontare il tema del nostro incontro evidenziando tre momenti significativi. Innanzi tutto seguiremo le tappe del N.T. nell’individuare la figura di Gesù come fondamento della nostra vita cristiana. Si tratta di condividere con la comunità primitiva il formarsi e l’esprimersi della fede nel Signore Gesù Cristo.

In un secondo tempo ci soffermeremo sull’orizzonte che si apre di fronte a noi con l’avvento del Regno dei Cieli. Infine ci interrogheremo sull’incidenza delle due prospettive, quella di partenza e quella di arrivo, sul nostro tempo e sulla nostra testimonianza ecumenica.

A – Il fondamento: "Gesù Cristo e nessun’altro può darci la salvezza" (Atti 4,12).

  1. Il Profeta. Con l’inizio del ministero terreno di Gesù la gente che lo segue comincia a rendersi conto che un profeta si trova in mezzo a loro. Qualcosa di nuovo sta accadendo. Anche Giovanni Battista è considerato profeta. Gesù, prima visto come "uno" dei profeti, (Mc. 6,15) diventa ben presto "il" profeta (Mtt. 21,11). I tempi nuovi che il Signore sta inaugurando si concentrano sulla sua persona. Il titolo ha il carattere "preparatorio"dell’iniziativa che Dio porta avanti nella nostra persona.
  2. Figlio dell’Uomo. E’ l’unico titolo che Gesù attribuisce a se stesso. È un punto di partenza, ma presto cadrà in disuso superato da altre prospettive molto significative per quelli che lo seguono.
  3. Figlio di Dio. Il titolo fa parte delle confessioni forti della fede cristiana ed è spesso abbinato ad altri titoli. Gli esperti, in base ad assonanze linguistiche tra l’aramaico, l’ebraico e il greco aggiungono in questa prospettiva i titoli di "Agnello di Dio" e di "Servo del Signore", quest’ultimo evidenziato particolarmente dal profeta Isaia. Ricordiamo, come esempi particolarmente significativi, la bella confessione di Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente" (Mtt. 16,16) e quella parallela di Marta in occasione della risurrezione di Lazzaro: "Io credo che tu sei il Messia, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo" (Giov. 11,27).
  4. Il Messia: il Cristo. Come abbiamo visto è un titolo spesso affiancato ad altri. Così Gesù viene presentato al suo popolo. È il compimento delle attese dell’Antico Testamento. Gesù tuttavia rifiuta decisamente la componente politica di questo titolo.
  5. Il Signore (Kurios). Abbiamo in questo caso una delle confessioni di fede più antiche della comunità cristiana nascente. Il titolo si afferma nel periodo post-pasquale e vuole indicare la divinità del Cristo e il contesto trinitario. "...nessuno può dire: 'Gesù è il Signore' se non è veramente guidato dallo Spirito" (l Cor.12,3). E' una chiara alternativa ai signori (Cesare) di questo mondo!
  6. La Parola, il Logos.Soltanto l'apostolo Giovanni fa largo uso di questo titolo che mette in luce la preesistenza di Gesù: Dio era la Parola (Il Logos) (Giov. 1,1) e "La Parola (Il Logos) si è fatta carne" (Giov. 1,14).
  7. Dio Abbiamo la forte confessione di Tommaso: "Signore mio e mio Dio" (Giov.20, 28)

Prima conclusione

Le sette tappe che abbiamo preso in considerazione ci rendono attenti alla maturazione della primitiva fede cristiana nei confronti di Gesù. Si comincia con il notare la presenza di "un" profeta; poi ci si rende conto che si tratta del profeta, del Figlio dell'Uomo delle antiche profezie, poi del Figlio di Dio, del Messia, del Signore, del Logos e di Dio stesso.

Agli ebrei Gesù è testimoniato come Messia. Ai romani, dediti al culto dell'imperatore, Gesù è predicato come Signore in alternativa a Cesare. Infine ai greci, cultori di tanta filosofia, Gesù e annunciato come Logos, "principio" (arché) di tutte le cose. Si pone allora la domanda: "Come lo annunceremo noi oggi?" Non abbiamo più imperatori e abbiamo perso i punti di riferimento di quel tempo.

B - La meta: "Perchè in onore di Gesù in cielo, in terra e sotto a terra ognuno pieghi le ginocchia e per la gloria di Dio Padre ogni lingua proclami: Gesù Cristo il Signore" (Fil. 2,10).

  1. La nostra unità appartiene al Regno di Dio, Regno di Dio immanente e trascendente. L'unità appartiene ai santi, agli eletti, ai martiri. E’ un’unità perfetta così come il Cristo la volle il giorno del Venerdì Santo e il giorno di Pasqua. Nella sua morte e nella sua risurrezione siamo stati battezzati. Non abbiamo bene più prezioso; è un dono che ci accompagna attraverso la barriera della sofferenza e della morte. Si tratta di una comunione "perfetta" che ci pone oggi a confronto con le nostre divisioni, il nostro peccato e la nostra indifferenza. Viviamo in contraddizione con il nostro destino, con l'amore che Dio ci ha manifestato in Cristo Gesù. E’ ''una contraddizione che ha la caratteristica del tempo e dello spazio, ma non certo della risurrezione e dell'eternità. Se oggi siamo prigionieri del finito e condizionati in tutte le manifestazioni del nostro esistere, l’infinito è sullo sfondo del nostro essere che geme ed è in travaglio; tutta la creazione è in attesa della sua piena manifestazione nel Regno di Dio.
  2. Certo la nostra mente, prigioniera e condizionata, si pone spesso l’interrogativo sul "come" questa nostra speranza e l’attesa in Cristo siano possibili. Per secoli abbiamo cercato di spiegare alle nuove generazioni, ai nostri famigliari e al nostro prossimo il grande mistero della redenzione. Ma questa traduzione nel tempo non poteva e non può essere all’altezza delle realtà sublimi di Dio. Zaccaria pose a suo tempo la domanda in vista della nascita di Giovanni "il battezzatore". Maria la pose al momento dell’annunciazione. Le risposte furono diverse e ricolme del mistero di Dio che è contemporaneamente giudizio e grazia (Zaccaria e Maria). Per secoli le nostre teologie hanno tentato di rendere ragione del "come" dell’eucarestia, cioè del rapporto esistente tra il pane e il corpo di Cristo o tra il vino e il sangue di Cristo. Abbiamo riempito intere biblioteche, ma il Nuovo Testamento tace, ci lascia soli non soltanto con le nostre interpretazioni, ma anche con la rigidità delle nostre divisioni.

Eppure la meta dell’ecumenismo è chiara e senza equivoci: "Miei cari, ora siamo figli di Dio; quel che saremo ancora non si vede. Ma quando ritornerà, saremo simili a lui perché lo vedremo come è realmente" (1 Giov. 3,2).

La meta pone a noi l’esigenza di non contraddirla. Contraddire la meta significa sciupare la nostra riconoscenza e quindi tutta la nostra vita; significa non essere attenti alle "primizie" e alla "caparra" che lo Spirito Santo dispensa nel nostro tempo.

C - Ecumenismo

  1. Il fondamento della fede cristiana e la meta che il Signore ha posto al nostro orizzonte incidono sul nostro presente. Non siamo più condizionati dal nostro pensiero, rinchiusi in un’austera autonomia sempre intrisa di una malcelata anarchia imbizzarrita. Il "penso quindi sono" che sempre riecheggia nelle nostre filosofie è stato sostituito con : Dio ci ha pensati e quindi siamo (dal "cogito" al "cogitur"). L’apostolo Paolo ci avverte che "non possiamo più considerare nessuno con i criteri di questo mondo" (2 Cor. 5,16). In questo mondo siamo senza criteri e lo siamo anche nei confronti di noi stessi. Dobbiamo considerare noi stessi secondo il criterio del Venerdì Santo e della pasqua. "Amare il prossimo come noi stessi" sarebbe, preso alla lettera, adottare un criterio improntato al più bieco egocentrismo. Dobbiamo amare il prossimo come quel noi stessi che Cristo ha messo in evidenza con la sua morte e la sua risurrezione.
  2. E’ un compito difficile anche nell’area ecumenica. Oggi si parla di una grande varietà di ecumenismi, ma non vi sono aree al riparo dalla contraddizione. Si parla infatti dell’ecumenismo dei pionieri, degli osservatori, dei delegati fraterni, degli incaricati ufficiali e dei documenti del dialogo. Non sono sempre strade di sollievo e di conforto per i pellegrini che si affaticano verso la meta. Vale sempre la regola che chi si semina piangendo e chi raccoglie con gioia si trovano lontani nelle stagioni stabilite da Dio. Facilmente si dimentica la fatica di chi ha consumato la propria vita a rompere le zolle e a gettare il seme prezioso. L'oblio è un sottigliezza disumana e non certo una parabola dei Regno di Dio.
  3. L'ecumenismo è innanzi tutto predicazione dell'Evangelo, della 'buona notizia' del fondamento e della meta del nostro vivere oggi la fede cristiana. Come tradurre nel nostro tempo queste prospettive? Come portare ai nostri fratelli i due pesci e i cinque pani in attesa che la benedizione di Dio dia cibo a sufficienza per tutti. Agli ebrei era stato predicato il Messia, ai latini il Signore-il Kurios, ai greci il Logos. Il nostro secolo è anche un secolo di massacri, di pulizie etniche, di suicidi (di poveri e ricchi, di vecchi e giovani). La domanda cade quindi sulla vita. Cristo è la nostra vita. Egli è l'alfa e l'omega entro i quali spendiamo i nostri pochi giorni e le tante nostre fatiche. Come fondamento e meta, della comunione nella fede, egli è l'alfa e l'omega della nostra vita; è la stella polare che guida ogni nostra consapevolezza del nostro esistere e del nostro essere.

 

 

Letto 2281 volte Ultima modifica il Giovedì, 22 Settembre 2011 16:36
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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