Viaggio alla scoperta delle altre religioni
Un raggio della verità che illumina tutti
di Marino Parodi
La conoscenza delle religioni diverse da quella cristiana si impone a chiunque voglia conoscere il mondo, ma in particolare ai cristiani. Ciò non soltanto a seguito del fenomeno della globalizzazione, grazie al quale circolano regolarmente, con rapidità sino a poco tempo fa impensabile, messaggi di ogni genere, ivi compresi quelli di natura religiosa. Un’altra importante motivazione di fondo consiste nel fatto che il cristiano, per sua stessa natura portato a porre l’anima e quindi l’esigenza spirituale al centro del proprio pensare, sentire e agire, non può non interrogarsi sui mille messaggi di natura chiaramente o vagamente religiosa che circolano nel mondo di oggi un po’ a tutti i livelli. Un mondo che, a Dio piacendo, ha smentito clamorosamente ogni funesta profezia di "eclissi" o "tramonto" del sacro, imperante negli ultimi decenni.L’umanità del terzo millennio è profondamente assetata di spiritualità e di sacro, insomma di Dio. Questo è un dato di fatto innegabile, del quale, ci pare, tutti i cristiani hanno motivo di rallegrarsi. Altro discorso, estremamente complesso, è poi quello di constatare dove questa ricerca sacrosanta e naturalissima vada a finire. A maggior ragione, noi cristiani non possiamo non interrogarci. E, di conseguenza, deciderci a informarci.
«Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono»
Ancora una volta, la prospettiva più autenticamente cristiana e, al tempo stesso, più scientifica, come risulterà sempre più chiaro man mano che esploreremo i vari pianeti dell’affascinante galassia religiosa, è già indicata dallo stesso Vangelo.
Si tratta di trovare l’equilibrio tra due opposte esigenze: quella di conciliare la consapevolezza del fatto che Cristo è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), con l’altra affermazione evangelica, laddove lo stesso Cristo ci rassicura: «Chi non è contro di noi, è per noi» (Mc 9,40). Un’indicazione assai illuminante, alla quale san Paolo fa eco invitandoci a «esaminare ogni cosa e tenere ciò che è buono» (1Ts 5,21). Cristo ci precisa ancora, parlando dello Spirito, che «il vento soffia dove vuole» (Gv 3,8).
Va da sé che si tratta di un equilibrio non sempre facile da trovare, ma non vi è altra strada.
Nel corso del nostro "viaggio" cercheremo, per quanto possibile, di includere quasi tutte le tappe fondamentali del panorama religioso contemporaneo (il "quasi" è obbligatorio, giacché per affrontarle tutte occorrerebbero spazi e tempi ben maggiori). Seguiremo un ordine in linea di massima cronologico, partendo dalle religioni più antiche, assumendo come punto di riferimento il periodo della loro nascita, per quanto la datazione sia non di rado assai approssimativa.
Così passeremo in rassegna, oltre all’ebraismo e ai pilastri della spiritualità orientale (islamismo, al quale per ovvie ragioni dedicheremo un’attenzione particolare, induismo, buddismo e altri ancora), pure certe forme di spiritualità (ad esempio esoterismo e sciamanesimo), le quali, pur vantando radici antichissime, si sono riproposte all’attenzione generale negli ultimi decenni.
Ci atterremo ad alcune indicazioni di massima che corrispondono poi a una sorta di minuscolo vademecum necessario al cristiano che si prepara ad affrontare il viaggio alla scoperta delle altre religioni.
Superare i pregiudizi e la paura del confronto
Innanzitutto, sgombrare il campo, ossia la mente, da ogni pregiudizio. È facile identificare l’islam col fanatismo e il buddismo col rifiuto del mondo, ma tutto ciò non è assolutamente vero. L’apertura di mente e di cuore costituisce dunque la conditio sine qua non per il cristiano che voglia accostarsi allo studio delle altre religioni. «Non abbiate paura»: la storica esortazione di Giovanni Paolo II, rimasta scolpita nel cuore di chi sa quanti milioni di uomini e donne di ogni razza e religione, si adatta perfettamente allo scopo.
Sicuramente egli stesso non ebbe paura di confrontarsi con le altre religioni: anzi, se si è rivelato e confermato maestro universale, al di là dei confini religiosi e culturali, ciò è di sicuro dovuto anche alla capacità di conciliare ciò che a molti sembra, a torto, la quadratura del cerchio (pur essendo un compito certamente non facile da gestire): ossia fedeltà assoluta al Vangelo da un lato, nella consapevolezza della sua originalità, apertura totale di mente e di cuore alle altre religioni dall’altro.
Il mutato e più rilassato clima nei rapporti tra cristianesimo e altre religioni è sicuramente in buona misura da ricondurre all’insegnamento e alla testimonianza di Giovanni Paolo II, il quale non temette di compiere allo scopo gesti clamorosi, noncurante dello scandalo che inevitabilmente avrebbe suscitato tra i ben pensanti: come il fatto di inginocchiarsi e pregare in una moschea.
Del resto, il rifiuto del dialogo, o addirittura di conoscere l’altro, in definitiva non nasce forse dalla paura? Paura di non possedere in effetti quella verità, di cui si pretende di sbandierare l’esclusiva? Insomma, il sospetto che dietro tanto bigottismo si nasconda in definitiva una fede in realtà insicura e infantile pare tutt’altro che azzardato.
L’esercizio vigile e sapiente di una "coscienza osservante"
In secondo luogo, passo che è logica conseguenza del precedente, occorre accostarsi all’esperienza religiosa altrui collocandola nel contesto storico e culturale di cui essa è al tempo stesso madre e figlia, evitando cioè di applicarle schemi che sono tipici del nostro mondo. In altre parole, esercitare quella che la psicologia di orientamento più avanzato chiama, con termine preso a prestito dalla saggezza orientale, "coscienza osservante". Ossia, osservare senza giudicare, operazione tanto indispensabile quanto difficile, almeno, in quei casi (tutto sommato neppure poi così frequenti) in cui prendere atto di certe realtà come primo impulso non può che suscitare una riprovazione nella nostra coscienza di cristiani e di occidentali. È il caso, ad esempio, del sistema indiano delle "caste".
A relativizzare l’imbarazzo aiuterà comunque un dato confortante: proprio a seguito di un processo di maturazione spirituale portato avanti a livello di opinione pubblica mondiale da svariati fattori, un po’ tutte le religioni tendono a concentrarsi sulla ricerca spirituale, la quale di tutte costituisce poi l’anima, per tralasciare gli aspetti maggiormente legati a fattori storici e culturali (ancora una volta, l’esempio delle "caste" indiane non potrebbe essere più calzante).
Ciò va detto esplicitamente e con forza senza voler negare o minimizzare il deleterio fenomeno dei "fondamentalismi", i quali sono peraltro destinati a sgonfiarsi sempre più man mano che ci si concentra, appunto, su ciò che unisce, invece di sottolineare ciò che divide.
Al di là del "rumore" mediatico, verso differenti approcci al divino
In terzo luogo, occorre mantenere costantemente tale apertura curiosa e benevola, verrebbe voglia di dire, man mano che si procede nella ricerca. Mai dare nulla per scontato, insomma, mai pretendere di aver "compreso tutto" e mai banalizzare. Osservazione assai meno ovvia di quanto si potrebbe pensare se si tiene presente che viviamo nell’epoca dei talk show e del bombardamento mediatico, in cui alla quantità dell’informazione spesso non corrisponde affatto la qualità. Capita spesso che vengano intervistati certi soloni i quali, più che dell’assai complesso mondo religioso e spirituale, del quale pretendono di sapere tutto, sembrano invece esperti dell’arte di intrufolarsi in tutte le platee televisive possibili e immaginabili.
Le sorprese, insomma, possono sempre arrivare. Occorre infatti tenere presente che l’esperienza religiosa e spirituale è per sua natura evolutiva e dinamica: la stessa Chiesa cattolica non ha forse riscoperto in tempi recenti valori quali tolleranza o la libertà religiosa, i quali, benché scritti nel Dna del cristianesimo e abbondantemente praticati all’epoca delle sue origini, erano finiti negli ultimi secoli nel dimenticatoio, a seguito di complesse vicende storiche?
Il discorso si chiarirà man mano che ci addentreremo nelle varie tappe del nostro viaggio e si rivelerà interessante in quanto che scopriremo la diversità dell’approccio al divino di svariate altre scuole rispetto al cristianesimo. Un caso clamoroso riguarda a tal proposito la natura del buddismo, circa il quale si sente spesso dire che «non è una religione». Tale affermazione è al tempo stesso vera e falsa, a seconda della prospettiva che si sceglie di condividere.
Tutto infatti dipende da ciò che si intende per "religione": se con questo termine, infatti, intendiamo riferirci al rapporto con un Dio "trascendente" – ossia altro rispetto all’universo e agli esseri umani, dei quali viene considerato Creatore –, l’affermazione è da considerarsi vera, in quanto tale approccio, tipico delle tre grandi "religioni del Libro" (ebraismo, cristianesimo e islamismo) è estraneo non solo al buddismo, ma a tutta la cultura dell’Estremo Oriente (fatte salve le eccezioni che vedremo a suo tempo). Se invece per "religione" si intende, genericamente, la ricerca del divino, allora il buddismo si può senz’altro considerare una religione.
Partire dal comune e fecondo terreno dell’esperienza spirituale
In quarto luogo – si tratta veramente di un punto cruciale e decisivo – occorre tener presente che, al di là delle notevoli, innegabili e a tratti addirittura abissali differenze a livello di temi certo non trascurabili – quali la concezione dell’uomo, del suo posto nell’universo e in alcuni casi addirittura del suo destino eterno –, resta comunque un terreno di importanza fondamentale nel quale tutte le religioni si incontrano. Ossia, quello dell’esperienza spirituale a livello più profondo, dell’ineffabile incontro col divino che culmina nella mistica.
Il dialogo presuppone innanzitutto la consapevolezza della propria identità: "dialogare" significa aprirsi a un confronto costruttivo che permette di scoprire punti comuni. Tutto ciò non avrebbe senso, se le posizioni fossero già identiche o anche soltanto molto simili.
Infine, essere disposti a imparare dagli altri, ossia, per dirla in termini brutali, a "farsi furbi". Si tratta di un discorso particolarmente importante e urgente per gli operatori pastorali. Mi spiego: il cristianesimo è per sua stessa natura completo, in grado di rispondere in pieno a tutte le esigenze dell’uomo. Se poi vi sono nel mondo, specialmente in alcuni Paesi europei, sempre più cristiani affascinati da altre religioni – discorso bilanciato, sul piano numerico, dalla sostanziale tenuta del cristianesimo nei Paesi occidentali, la quale in alcuni di questi è addirittura un’avanzata, nonché dai suoi passi da gigante in tanti Paesi in via di sviluppo – ciò significa che siamo noi a mancare di vivacità e consapevolezza.
Infatti, se il buddismo e l’induismo fanno presa su molti per la loro obiettiva profondità spirituale, ciò non può che essere uno stimolo per noi, per conoscere e proporre la nostra spiritualità, la quale non può certo essere considerata da meno. Il discorso si fa particolarmente cruciale in un Paese come il nostro, dove, a causa di complesse vicende storiche, si ha troppo spesso l’impressione che la spiritualità cristiana venga messa in ombra a opera di non pochi operatori pastorali, specialmente in alto loco, a beneficio dell’insistenza su tematiche morali, sociali e politiche. A buon intenditor...
Una provocazione dal Concilio,ancora valida e attualissima
Per concludere, un piccolo promemoria per i cultori dell’ortodossia a oltranza: vale sicuramente la pena di citare qualche passo di quel magnifico documento che è la dichiarazione Nostra aetate, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Il documento, che risale al concilio Vaticano II, è tanto più illuminante se si pensa che, redatto quarant’anni orsono, suona estremamente attuale.
«Nel nostro tempo», si dice nel testo conciliare, «in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, e anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino» (NA 1).
E ancora, prima di ricordare, ovviamente, la propria missione di «annunciare il Cristo, che è via, verità e vita (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose» (NA 2), il Concilio afferma che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste [ossia nelle religioni altre rispetto al cristianesimo] religioni. Infatti essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». Di conseguenza «essa esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovino in essi» (NA 2).
(da Vita Pastorale n. 3, 2007)