L’attitudine xenofoba non è però soltanto appannaggio di alcune correnti politiche. Padre Pierre-François de Béthune attira l’attenzione sullo sviluppo parallelo di "manifestazioni" autoritarie "della religiosità" ("Par la foi et l’ospitalité".v.bibliografia).
Il fenomeno riguarda sia i sostenitori dell’induismo (v. la nostra "Religione del mese" nel numero 38 del maggio 2002) che quelli di un’ortodossia ebraica pura e dura; sia l’Islam della jihad versione Bin Laden, che il fondamentalismo protestante o l’integralismo cattolico o ortodosso. Ma tale fenomeno caratterizza anche l’atteggiamento di quei credenti che, senza cadere in un tale estremismo, manifestano una vera e propria ossessione per quel che riguarda la propria identità. "La causa del totalitarismo religioso, scrive Padre Joseph Moingt, consiste nel fatto di sentirsi talmente gratificato dalla (convinzione di possedere) la pienezza di Dio, che non si sente bisogno d’altro" (citato da P. de Bhéthune).
Il nostro dossier vuole dimostrare che la corrente xenofoba non può rifarsi alle religioni, se non a prezzo di un vero snaturamento del loro messaggio.
"Tutte le religioni, sottolinea Pierre-François de Béthune, hanno messo i precetti dell’ospitalità al centro delle loro esigenze". Ospitalità nei riguardi del "vicino" ma anche del "lontano".
"L’incontro dell’altro, affermava Louis Massignon, è una visita dello Straniero" cioè di Dio, "l’Emigrato per eccellenza". E, "lo straniero, venuto da parte di Dio, aggiunge Pierre François de Béthune, può preservarci dalla chiusura in noi stessi, (dai pericoli della) dalla consanguineità e dalla degenerazione".
L’autore si propone poi di fare un altro passo supplementare. Egli constata in effetti una situazione di "blocco" delle religioni monoteistiche, per le quali "l’accoglienza dello straniero si limita spesso a considerare solo la sua persona (entità) civile senza tener conto della sua religione". Egli raccomanda "una accoglienza specificatamente interreligiosa" che non consista solamente nell’accogliere le persone, ma prenda in considerazione le loro opzioni e la loro concezione di vita. E compito di ogni Tradizione introdurre un tale atteggiamento, a partire dai propri presupposti teologici. Da un punto di vista cristiano, l’impegno in un cammino di questo tipo, è motivato dalla "fedeltà al Vangelo" e raccomandato da numerosi testi ufficiali delle varie Chiese.
E' urgente dunque stabilire questo dialogo interreligioso, che, prosegue il nostro esperto, non è né una "negoziazione" né una "semplice discussione" né un "semplice procedimento pedagogico". E' "una parola di vita che si lascia attraversare da un’altra parola di vita".
Personalmente mi sento a disagio quando sento alcuni amici cattolici andare orgogliosi del fatto che la loro Chiesa, che è la mia, sarebbe la migliore di tutte nell’affrontare tutti gli aspetti concernenti il dialogo. Con P. F. de Béthune, io penso piuttosto che la nostra Chiesa "non ha in merito una grande esperienza" e che noi ci troviamo ancora solo allo stadio di una curiosità nascente e molto timida. "Eccettuate alcune belle ma rare eccezioni" prosegue il P., scopriamo in continuazione una ignoranza grossolana e sprezzante (in merito alle altre religioni), un’arroganza assolutamente non evangelica, e spesso persino una violenza scandalosa che insudicia la testimonianza della fede".
C’è ancora molto lavoro da fare!
(tratto dalla rivista francese "Fêtes et saisons". Traduzione, riduzione e adattamento a cura di Grazia Hamerl Sabatelli. Si tratta del contributo introduttivo ad un dossier dedicato al tema dell'ospitalità).