Ecumene

Martedì, 13 Luglio 2004 22:06

Le sorprese del dialogo (Thomas Michel s.j.)

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Se c'è vero dialogo, nessuna delle due parti coinvolte rimane come prima. Quando osservo come Dio ha arricchito la mia vita e reso più profonda la mia fede per essere stato in dialogo con gli altri, mi sento incoraggiato e animato nella speranza.

Qualcuno ha detto che "ogni buona teologia è autobiografia". Se la teologia è una riflessione sulla nostra fede e le sue implicazioni, allora la vicenda personale su come Dio ha agito e agisce nella vita di ciascuno di noi è il punto di partenza della comprensione teologica. Vorrei condividere con voi il desiderio spirituale che ha informato la mia relazione con Dio nella preghiera e nell'azione degli ultimi trent'anni. È il desiderio di una comprensione e di un amore più grandi tra cristiani e musulmani, unito al mio intento di contribuirvi.

Come prete cattolico, oggi posso considerarmi frutto del dialogo interreligioso. Il modo in cui vivo la mia vocazione religiosa è il risultato dei molti anni trascorsi a condividere la vita dei musulmani e a scoprime la ricchezza spirituale. Da loro ho imparato e mi sono lasciato sfidare. Ma ho anche colto l' occasione per testimoniare la mia fede in ciò che Dio ha compiuto per tutti nella persona di Gesù Cristo e per spiegare ciò che significa, per me, essere discepoli di Cristo. .

Insegno da circa trent' anni e come docente mi dedico soprattutto a far conoscere l'islam ai cristiani e la fede cristiana ai musulmani. Ho operato soprattutto nel sud-est asiatico, in Paesi come l'Indonesia, le Filippine, la Malaysia, ma ripetutamente anche in Turchia. Negli ultimi anni, il mio apostolato mi ha condotto oltre i confini dell'incontro con i musulmani, sospingendomi verso il dialogo con ebrei, indù, buddhisti, taoisti e seguaci delle religioni indigene. Quando rifletto sulla mia vita fino ad ora, vedo che Dio mi ha continuamente formato e trasformato con la sua grazia. Così che oggi sono diverso da com'ero all'inizio del mio viaggio interreligioso.

Sono consapevole che quando tengo dei corsi sull'islam o parlo dei musulmani, quello che dico e il modo in cui lo dico è diverso da quanto direbbe chi non ha vissuto la mia esperienza di conoscenza della comunità musulmana dal di dentro. Se sento denigrare o sminuire in modo disonesto l'islam, mi ritrovo a reagire emotivamente e con spontaneità. Proprio perché sono in gioco persone che amo e che hanno mostrato amore nei miei confronti. Se i musulmani sono insultati, mi sento insultato anch'io. Quando si rallegrano perché è successo qualcosa di buono, voglio condividere la loro gioia. Quando fanno qualcosa di sbagliato verso loro stessi o verso gli altri, ne provo vergogna.

Se c'è vero dialogo, nessuna delle due parti coinvolte rimane come prima. Quando osservo come Dio ha arricchito la mia vita e reso più profonda la mia fede per essere stato in dialogo con gli altri, mi sento incoraggiato e animato nella speranza. Precisamente perché lo stesso Spirito Santo che è stato tanto attivo nella mia vita, è all' opera nelle vite dei miei amici di altre fedi e utilizza i nostri incontri per toccare e cambiare anche le loro vite.

Il più delle volte, noi non vediamo coi nostri occhi gli esiti di questa azione. Operiamo sorretti da una speranza che, dopotutto, è un atto di fiducia in Dio, invisibilmente attivo in questo mondo. Ma Dio sa che abbiamo bisogno di incoraggiamento e di tanto in tanto ci offre dei feedback per tener viva la speranza. Più o meno quattro anni fa, ho ricevuto una di queste conferme da Said Khorrashahri, un pio musulmano iraniano, esperto in recitazione del Corano.

Ero andato in Iran per rappresentare il Vaticano in una cerimonia a carattere nazionale. Durante la mia permanenza, Said, laureato in lingua inglese, mi era stato affiancato come interprete. Siamo stati insieme per oltre due settimane e le opportunità per parlare di ogni genere di argomenti sono state molte. Si parlava della vita in Iran e a Roma, di sport, di politica, di musica, delle nostre speranze e desideri personali. Naturalmente anche di ciò che è più profondo nelle nostre vite: la fede. Comunicavamo in modo molto profondo e onesto e spesso ho avvertito la presenza del Signore. Dopo il mio rientro a Roma, Said mi ha scritto una lunga lettera in cui diceva che non avrebbe mai immaginato che Dio potesse ricorrere a un prete cattolico come strumento per cambiare radicalmente - rendendolo più profondo - il suo sguardo sulla vita, sulla fede e sulle sue relazioni con gli altri. Mi sono reso conto che non ero stato l'unico a riconoscere l'attiva presenza di Dio in quel nostro incontro. Anche il buon musulmano aveva avvertito che Dio era con noi e che "i nostri cuori ci ardevano in petto" per l' azione della grazia divina.

Un altro esempio è il dialogo avuto con alcune donne musulmane che non ho mai incontrato. Per molti anni ho avuto l'esperienza, inusuale per un prete cattolico, di vivere e insegnare in varie città della Turchia dove ero l'unico cristiano. In quei contesti incontravo i miei studenti musulmani non solo nelle classi, ma anche in moschee, case private - la mia e quelle di amici - e spazi pubblici come il mercato, l'ufficio postale e le librerie. Stavo insegnando introduzione alla teologia cristiana nella facoltà di teologia di Selcuk (nella provincia turca di Konya), città del caro sufi santo e poeta Mevlana, Jalal al Din Rumi. Avevo un piccolo appartamento nel quartiere popolare vicino all'università ed ero conosciuto e ben accetto come il rahip, termine coranico che designa i monaci cristiani. Un pomeriggio, ritornai a casa per incontrare una persona seduta sugli scalini di fronte al mio appartamento che mi aspettava. Mi disse che sua moglie era stata lì prima ma aveva trovato la porta chiusa. Risposi: "Generalmente chiudo a chiave quando non sono in casa". Ed egli: "Non è proprio necessario, perché le donne del vicinato non permetterebbero a uno sconosciuto di entrare".

Ho capito che il chiudere a chiave veniva letto come un segno di sfiducia nei confronti dei vicini. Da allora non l'ho mai più chiusa per tutto il periodo passato a Konya. Spesso, tornando dall'Università, trovavo che qualcuno aveva lasciato un piatto di riso e un uovo e una melanzana. Un giorno tornando dal lavoro ho trovato i miei vestiti lavati, il pavimento pulito, le lenzuola cambiate, le camicie stirate. Non ho mai conosciuto la persona o le persone che mi facevano quel servizio, ma presumibilmente erano le donne del vicinato.

Andò avanti così per sei mesi. Terminato il semestre, lasciai Konya per Roma. Ad un signore che mi fermò per augurarmi un buon viaggio, chiesi di poter incontrare le donne che in tutti quei mesi si erano premurate per me, per ringraziarle delle loro attenzioni. Mi rispose: "Non devi incontrarle. Non l'hanno fatto per te, l'hanno fatto per Dio e Dio, che vede tutto, le ricompenserà. Il Corano insegna che i monaci sono una delle ragioni per cui i cristiani restano la comunità più strettamente in amicizia con i musulmani. Quindi è un atto di culto, ibadah, trattarli con gentilezza". Questa persona e le donne che hanno onorato Dio con la loro ospitalità non erano esperti in scienze religiose, eppure mi hanno insegnato quanto sia importante la connessione tra l'amore di Dio e il generoso servizio allo straniero in mezzo a noi. Queste donne che hanno compendiato per me il discorso della montagna di Gesù, hanno fatto vero dialogo, insegnandomi, con i fatti più che con le parole, un aspetto chiave della vita islamica.

Mi chiedo: gli incontri con i credenti e praticanti musulmani ci hanno arricchito la mia vita di fede? La risposta è decisamente affermativa. Dio ha usato questi incontri per rendermi un cristiano migliore? Di nuovo la risposta è affermativa. Essi sono stati una grande grazia. Questa convinzione mi dà speranza perché se Dio ha lavorato così potentemente nella mia vita negli incontri con i musulmani, posso con fiducia pensare che lo stesso Spirito divino abbia lavorato tra i fratelli musulmani nei loro incontri con me. Più volte dei musulmani mi hanno confidato quanto sia stato significativo avere tra loro un cristiano credente. Essi sono rimasti musulmani, io rimango cristiano, ma nessuno di noi è rimasto lo stesso.

I benefici del dialogo come condivisione di vita non si limitano ad un vicendevole arricchimento, ma aiutano a superare pregiudizi, caricature e stereotipi tramandati di generazione in generazione e rafforzati dai media. Il dialogo offre ai credenti un'opportunità di esaminare insieme quanto può portare l'esclusivismo, lo sciovinismo, l'odio, la violenza che rovinano l'identità e la condotta religiosa. Nel dialogo diventa anche chiaro quanto sono più vicini i credenti di tutte le fedi tra loro che non coloro che promuovono una dottrina di mercato, competitivo, consumistico, materialistico.

Alcuni cristiani vorrebbero ridurre il beneficio del dialogo a una migliore conoscenza della fede altrui e respingere la possibilità di un qualsiasi vicendevole arricchimento, come se mancasse qualcosa alla fede cristiana. Nella sua prima visita pastorale il Papa ha invitato i cristiani di Ankara a "considerare ogni giorno le profonde radici di fede in Dio che i vostri concittadini musulmani hanno e di dedurne motivo di collaborazione in vista dell'umano progresso e dell'emulazione nel fare il bene". Nulla di questo suppone perdere fiducia nella bellezza e nella verità della nostra fede. Ancora più chiaramente parlando ai musulmani a Bruxelles, il Papa esortava "tutti i credenti cristiani e musulmani a conoscersi meglio, a impegnarsi nel dialogo per trovare stili di vita pacifici e arricchirsi vicendevolmente". E insisteva: "Questa mutua emulazione può recare grande beneficio a tutta la società specialmente a coloro che hanno più bisogno di giustizia, consolazione e speranza; in una parola di ragioni per vivere".

Il protagonista dell'incontro interreligioso resta sempre lo Spirito di Dio. Ho parlato della mia esperienza personale solo a titolo d'esempio. Ogni gesuita, ogni cristiano, che, in minor o maggior misura, si è coinvolto nel dialogo può raccontare esperienze simili. La mia si è svolta soprattutto tra i musulmani; altri potrebbero offrire testimonianze del tutto analoghe sulla presenza attiva di Dio sperimentata durante il dialogo con buddhisti, indù, ebrei o seguaci del credo baha 'i*.

Il punto è che quando apriamo realmente noi stessi a Dio, dialogando gli uni con gli altri, lo Spirito Santo si fa carico di quell'incontro e ne assume la guida.

Thomas Michel s.j.

 

* movimento religioso sorto nel diciannovesimo secolo e oggi diffuso in tutto il mondo con circa cinque milioni di aderenti.

 

Letto 2676 volte Ultima modifica il Venerdì, 24 Gennaio 2014 22:15
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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